Astronomia. L'espansione dell'Universo scoperta da un sacerdote
Piero Benvenuti venerdì 17 agosto 2018
Proposto riconoscimento postumo a George Lamaître. Gli
astronomi: cambiare nome alla legge di Hubble
George Lemaitre
(1894-1966)
Dal 20 al 31 agosto, più di 3.500
astronomi provenienti da un’ottantina di Paesi si incontreranno a Vienna per
partecipare alla XXX Assemblea Generale dell’Unione Astronomica Internazionale
(IAU).
L’Assemblea si celebra regolarmente ogni tre anni e ha come obiettivo
principale quello di stimolare la collaborazione internazionale sui temi più
attuali della ricerca astronomica.
Durante le Assemblee Generali
vengono anche approvate delle 'Risoluzioni', ovvero delle decisioni condivise
dagli astronomi professionisti su questioni astronomiche. Famosa rimane la
Risoluzione votata a Praga nel 2006 che ridefinisce le caratteristiche che un
corpo celeste deve possedere per essere chiamato 'pianeta'. Tale definizione
escluse Plutone dalla famiglia dei Pianeti del nostro Sistema Solare e lo
riclassificò come pianetino o pianeta nano, una decisione ancor oggi fortemente
contestata dal grande pubblico, soprattutto statunitense, su basi più
sentimentali che scientifiche.
Anche quest’anno verrà presentata
una Risoluzione che, se approvata, richiamerà l’attenzione generale: si propone
infatti di modificare il nome della famosa 'Legge di Hubble', utilizzata per
indicare la recessione delle galassie e l’espansione dell’universo, chiamandola
'Legge di Hubble-Lemaître'. Per comprendere le motivazioni della proposta, è
necessario ripercorrere la storia della scoperta che ha dato inizio alla nuova
cosmologia, una storia colorata di giallo.
Nel 1927, il sacerdote e astronomo
belga George Lemaître (1894-1966), applicando alla totalità dell’universo le
equazioni della Relatività Generale, enunciate da Albert Einstein pochi anni
prima, scopriva che la soluzione matematica prevedeva che l’universo fosse in
espansione: un risultato assolutamente inaspettato. Lemaître, raccogliendo
dalla letteratura i pochi dati allora disponibili sulla velocità di spostamento
delle galassie, verificava che essi confermavano in maniera convincente la sua
previsione teorica. Il sacerdote, certamente cosciente della portata
rivoluzionaria della sua scoperta, pubblicava subito il risultato su una
rivista belga di astronomia, in lingua francese, ma la scarsa diffusione della
stessa lasciò la notizia quasi disattesa.
L'anno successivo però si tenne a
Leiden, in Olanda, la terza Assemblea Generale dell’Unione Astronomica
Internazionale cui Lemaître partecipò, unitamente ai più importanti astronomi
dell’epoca. La sua scoperta destò grande interesse, ma anche notevole
scetticismo: Einstein ne definì ineccepibile la matematica, ma 'abominevole'
l’interpretazione fisica. L’americano Edwin Hubble invece, da valente astronomo
sperimentale, ritornò in America eccitato dalla discussione avuta con Lemaître
e iniziò subito una campagna osservativa con il nuovo telescopio da 100 pollici
di Mount Wilson per verificare l’ipotesi del sacerdote belga. Un anno dopo, nel
1929, pubblicava il famoso articolo che confermava, con l’evidenza dei nuovi dati,
la legge di espansione dell’universo che, da allora, prese il nome di 'Legge di
Hubble'.
La storia, come in un intrigo
poliziesco, non finisce qui perché, sollecitato dell’astronomo reale Sir Arthur
Eddington, George Lemaître tradusse in inglese il suo lavoro originale per la
nota rivista inglese Monthly Notices. La versione inglese però, mentre riporta
fedelmente il modello teorico, tralascia di pubblicare i dati osservativi che
ne rappresentavano la verifica sperimentale. Per qualche tempo gli storici sospettarono
un complotto editoriale, ordito per non oscurare la fama già conquistata
dall’astronomo americano, finché da una lettera ritrovata negli archivi di
Lemaître si capì che lui stesso aveva deciso di omettere i dati perché, dopo la
pubblicazione di quelli di Hubble, riteneva quest’ultimi più numerosi e
convincenti dei suoi. Da qui la motivazione della Risoluzione che vuole
riconoscere il valore, la modestia e l’onestà intellettuale di George Lemaître,
correggendo una non piccola distorsione storica.
Lemaître, nella sua duplice veste di
cosmologo e sacerdote, va anche ricordato per aver suggerito a Papa Pio XII di
evitare di identificare il Big bang dell’emergente modello cosmologico con
il Fiat Lux biblico, come il Pontefice si era espresso in un
discorso pubblico: non solo perché la comprensione e la verifica della nuova
cosmologia era ancora agli inizi, ma anche perché, come Tommaso d’Aquino già
aveva perfettamente intuito, la Creazione non è assimilabile a un evento che
avviene nello spazio e nel tempo. Di fatto il Pontefice ascoltò il saggio
consiglio e nella sua allocuzione rivolta agli astronomi riuniti nella VIII
Assemblea Generale dell’IAU, che si tenne a Roma nel 1952, non v’é traccia di
alcun ingenuo concordismo.
Questa storica ed interessante
interazione tra la cosmologia nascente e il Magistero ci porta ad una
considerazione di grande attualità. Dalle iniziali scoperte di Lemaître e
Hubble, dopo quasi un secolo di entusiasmanti nuove ricerche, il modello
cosmologico si è saldamente affermato e, se da un lato, come tutti i modelli
scientifici, continuerà ad evolvere, ha definitivamente eliminato ipotesi non
più sostenibili. Si tratta di una svolta epocale, che potremmo definire il
completamento della rivoluzione copernicana.
Infatti, quando Galilei, nelle notti
fatali dell’inverno del 1609-1610, apriva con il suo cannocchiale una nuova era
dell’astronomia, contemporaneamente infrangeva per sempre le sfere cristalline
della cosmologia aristotelica e soprattutto eliminava la divisione sostanziale
tra mondo terreno e l’empireo celeste. Non era in grado però di rimpiazzare il
modello aristotelico con una cosmologia altrettanto completa e comprensibile:
solo oggi la scienza moderna è riuscita ad offrire una visione unitaria e
razionale dell’universo e della sua storia evolutiva, sorprendentemente diversa
da quanto i nostri antenati avevano immaginato. Durante tutto questo tempo, in
assenza di una cosmologia credibile, la filosofia e la teologia, e quindi la
Tradizione cristiana e il suo Magistero, hanno continuato a svilupparsi sulla
base dell’unica concezione del mondo allora disponibile e la drammatica
separazione tra pensiero scientifico e pensiero umanistico, iniziata proprio
con la rivoluzione copernicana, non ha aiutato a comprendere la portata universale
del cambiamento in atto. Per questo motivo, molte formulazioni dei dogmi di
fede sono diventate oggi incomprensibili e rischiano di trasformarsi in un
insostenibile fardello per gli uomini di scienza (e non solo loro) che vogliono
diffondere il messaggio evangelico senza dover abiurare la loro conoscenza
scientifica del reale.
Il caso forse più eclatante e più
vicino a noi è rappresentato dalla formulazione del dogma dell’Assunzione,
proclamato solennemente ex cathedra da papa Pio XII nel 1950.
Il testo della proclamazione spiega chiaramente che il Magistero intendeva
elevare a dogma di fede una tradizione popolare nata nei primi secoli
dell’epoca cristiana e consolidatasi nel Medioevo, quindi nell’ambito di una
visione del mondo essenzialmente aristotelica, nella quale il «cielo» verso il
quale la Vergine è stata assunta «anima e corpo», aveva una sua collocazione
precisa nel modello cosmologico allora vigente. Evidentemente, la formulazione
letterale del dogma è divenuta oggi incomprensibile e, purtroppo, non offre
molti appigli per darne una interpretazione simbolica che salvi il nucleo di
fede che essa vuole esprimere e che la Tradizione secolare voleva significare.
Un analogo ragionamento si potrebbe estendere a molte altre formulazioni, incluso
il Simbolo Niceno, che risentono in modo più o meno evidente di una filosofia
della natura non più sostenibile.
Il rischio, elevatissimo ed
impellente, è che le nuove generazioni o le culture non occidentali che
vogliano avvicinarsi al messaggio evangelico, si trovino di fronte a una
barriera, perché si trova un linguaggio del passato non più comprensibile. I
teologi dovrebbero quindi – e molti già lo fanno – considerare come prioritaria
la revisione del prezioso bagaglio della Tradizione e recuperarne il valore
salvifico interpretandone il senso e riformulandolo. A mio parere, è questo il
senso dell’accorato appello della costituzione apostolica Veritatis
Gaudium, o almeno della prima parte, scritta di pugno da papa
Francesco: sta ora alle facoltà teologiche orientare i curricula dei
loro corsi di studio, reintroducendo le materie scientifiche, da tempo
abbandonate, e soprattutto la 'pietra di paragone', la cosmologia, com’era ai
tempi gloriosi di Tommaso d’Aquino.
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