martedì 30 ottobre 2018

LIMENA (che non c’è!) La peschiera tombinata di via Roma


LIMENA (che non c’è!)
La peschiera tombinata di via Roma (di fronte alla barchessa)
La supplica di Vincenzo Fini per captare acqua dal Brentella. Il Magistrato sopra i beni incolti e le bonifiche. La villa amministrativa di Limena. Il tombinamento della roggia
Attività di ricerca con ausilio di mappe e foto realizzata a scopo didattico
da Bruno Trevellin

(Peschiera della villa di Piazzola sul Brenta. Quella di Limena doveva essere molto simile)
(Limena, la cosiddetta ‘peschiera’ fino a prima dei lavori in corso oggi)

I limenesi di una certa età chiamano ancora ‘peschiera’ il percorso ciclo-pedonale davanti alle barchesse, che corre parallelo a via Roma (strada provinciale 47) dall’edicola al semaforo. E non senza ragione, perché il percorso, ora asfaltato, è stato ricavato dal tombinamento della roggia[1] fatta costruire da Vincenzo Fini nel 1722. Oggi un ‘nascondimento’ di questo tipo non sarebbe proprio concesso, rientrando le rogge dei centri abitati in quella categoria di beni culturali che un territorio è chiamato invece a tutelare e valorizzare. Ma all’epoca del tombinamento (anni ’60 del secolo scorso) non c’era ancora questa sensibilità e così la roggia, che oggi darebbe un significato diverso e migliore al centro del paese, è finita sotto una colata d’asfalto. Del resto, se pensiamo che a Padova quasi nello stesso periodo si procedeva all’interramento di quella che oggi è Riviera dei Ponti Romani e Riviera Tito Livio, intervento che ha di fatto sepolto sotto la pavimentazione stradale i ponti romani di Porta Altinate e di San Lorenzo, non dobbiamo stupirci più di tanto per un intervento simile anche a Limena.
In ogni caso, tanti limenesi sanno che la peschiera è in realtà una roggia tombinata, dove fino a cinquant’anni fa’ correva l’acqua derivata dal Brentella e dove vivevano pesci.
(Padova, foto Ponte Altinate prima dell’interramento avvenuto nel 1959)
Lavori di tombinamento della ‘peschiera’[2]
Negli anni ’60 dunque si procedette al tombinamento della peschiera e alla realizzazione dell’attuale percorso ciclo-pedonale davanti alle due barchesse. La foto sopra, pubblicata in un libro dello storico Renato Martinello, mostra le macchine operatrici in sosta all’altezza degli attuali pilastri centrali.
La cartolina con la peschiera[3]


La peschiera è ancora ben visibile in una cartolina di Limena, che possiamo far risalire agli anni ’50, che ne mostra il bacino davanti all’oratorio della Beata Vergine del Rosario. L’acqua era incanalata all’interno di due muretti in mattoni sormontati da lastre di trachite, dei quali rimane ancora quello a est, su via Roma. La peschiera nelle ville signorili serviva da ornamento, ma anche per l’allevamento del pesce[4].
La mappa con la supplica di Vincenzo Fini per la ‘peschiera’ di Limena (1722)[5]
La mappa del 1722 mostra il complesso di villa Fini (oggi scomparsa) con il sistema perimetrale di rogge e l’indicazione per la presa dell’acqua dal Brentella che il Fini doveva realizzare tra i due segni uscenti dalle dita della mano indicatrice. L’acqua verrà presa con una ‘ruota stabile’ sistemata sopra sandoli (sandoni)[6] per un quantitativo pari a sei once.


Il particolare della mappa mostra le estremità a monte e a valle dove collocare la ruota per la captazione dell’acqua dal Brentella. Il testo recita: ‘Fra li due sini conottati dalla presente mano dove mellio potrà (…)ire al N. H. M. Vicenzo Fini per supplica intende di poter costruire una ruotta stabile overo sopra sandoni per poter estrare once N. 6 di acqua con la medesma dalla Brentea per servirsene per l’uso domestico et di peschiera suplicato’.
Testo della supplica:
‘Disegno formato da me Antonio Gornizai, perito ordinario del Magistrato Eccellentissimo dei Beni Inculti, sopra la supplica presentata in esso Eccellentissimo Magistrato li 26 Novembre 1722 per parte e nome del Nobile Homo Messer Vincenzo Fini, Procuratore di San Marco, nel quale resta delineato l’uso domestico et di peschiera per la sua casa domenicale situatta nella villa di Limena, teritorio Padovano; il quale intende di restar investito di oncie numero 6 di acqua della Brenta per dover quella condurre, trare et scolare in conformità dell’anottazioni et linee rosse che nel presente si contengono. Ho havuto per collega domino Domenico Garzoni, perito straordinario. Terminato in Venetia, li 17 Decembre 1722’.
In pratica il nobile Fini chiede al Magistrato sopra i Beni Incolti di poter trarre sei once d’acqua da incanalare dentro le rogge poste a perimetro della sua villa padronale[7].
Il Magistrato dei Beni Incolti si occupava proprio della concessione di acqua per campi e giardini[8].
(La supplica mostra che la strada principale, oggi provinciale 47, aveva la roggia sia a destra che a sinistra, come nella villa di Piazzola sul Brenta)
Come le rogge di Piazzola sul Brenta
Le foto sottostanti mostrano la valenza monumentale e paesaggistica delle rogge davanti alla villa di Piazzola sul Brenta. La conservazione di quella limenese ci avrebbe lasciato forse qualcosa di simile.


La corsa alla terra e le bonifiche nel Veneto del ‘500
Nel ‘500 il Veneto cambiò volto. Il patriziato veneziano investì fortemente in terraferma, dando avvio all'esaltante ‘stagione non solo dell'acquisto della campagna, ma anche della sua valorizzazione (…). Dunque le bonifiche e la "civiltà della villa", le grandi barchesse, l'investimento del capitale. Alvise Cornaro ma anche Palladio, economia e cultura, dove il secondo termine della diade legittima e completa il primo, a coronamento di un'operazione voluta, pianificata, realizzata anzitutto dallo Stato che, a quanto pare, per l'occasione seppe fondere consenso sociale ed efficienza organizzativa’[9].
Quando Limena era una ‘villa’. Il particolarismo veneziano in terraferma
Nella supplica si fa riferimento al palazzo dei Fini che si trova nella ‘villa’ di Limena. Con tale termine, villa appunto (da non confondere con l’edificio), dobbiamo intendere l’entità territoriale con compiti di autogoverno, amministrata da assemblee di capi famiglia.
‘Lo Stato di Terraferma era anzitutto uno spazio politico, composito, giurisdizionale, frammentato e suddiviso in centinaia d’insediamenti che esprimevano modi assai diversi d’intendere il governo, o i governi del territorio e del suo ambiente circostante. Si passava, infatti, dalle piccole entità territoriali (villaggi o ville) amministrate da assemblee di capi famiglia – le comunità di villaggio: communi, Regole, vicinie -, sino alle grandi città rette da consigli formati da oligarchie aristocratiche’.
‘Ognuna di queste organizzazioni sociali della Terraferma era gelosissima delle proprie prerogative territoriali, politiche, fiscali e amministrative in precedenza concessegli. Nel corso della potestà veneziana, i territori si sarebbero sovente richiamati a questi antichi diritti per ottenere un riconoscimento da parte del Principe’.
‘Una volta acquisita, la Terraferma restò suddivisa nelle circoscrizioni consolidate attorno ai centri maggiori - lasciando di fatto inalterati i rapporti di sudditanza città-contado creati nel passato -, laddove la Serenissima inviava regolarmente i propri Officiali (Rettori) a gestire, unitamente a una corte, il buon governo attraverso la conservazione dell’ordine politico, sociale, giuridico, economico e fiscale’[10]
Terminologia specifica
Barchessa, Bonifica, Magistrato per i beni incolti, Peschiera, Roggia, Sandoli, Supplica, Villa



[1] ròggia (o róggia) s. f. [lat. *rugia, di origine preromana] (pl. -ge). – Nome con cui sono chiamati nell’Italia settentr. (spec. nella sua parte occidentale) i canali artificiali di non grande portata costruiti per dare acqua ai mulini, a piccole centrali elettriche, e per l’irrigazione. In: http://www.treccani.it/vocabolario/roggia/
[2] Foto pubblicata in RENATO MARTINELLO, Limena 1866-1970, Storie di uomini, uomini nella storia, Limena, 1992, p. 172
[3] La cartolina in oggetto è stata messa in vendita online.
[4] peschièra s. f. [variante settentr. di pescaia]. – 1. a. Bacino dove si tengono o si allevano pesci marini o d’acqua dolce: per lo più in muratura, scavato nel terreno e alimentato da acqua corrente; era già in uso presso i Romani, e continuò a esserlo più tardi nelle ville signorili, servendo sia per l’allevamento dei pesci sia per ornamento (in: http://www.treccani.it/vocabolario/peschiera/). 

[5] La mappa in questione è pubblicata in GIORGIO GALEAZZO-RENATO MARTINELLO, La barchessa Fini, Il recupero di una testimonianza di architettura e di storia, Limena, 2004, p. 33
[6] Per il tipo di imbarcazione chiamata sandolo si veda: https://venicewiki.org/wiki/Imbarcazioni_tipiche_della_laguna
[7] La diffusione delle ville nello stato da terra della Serenissima ebbe inizio proprio dopo la crisi cambraica, con l’avvio della riconversione del patriziato da ceto mercantile ad aristocrazia terriera: il governo mirava ad arginare la fuoriuscita annua di moneta pregiata necessaria per l’acquisto di grano all’estero (in: http://www.progetti.iisleviponti.it/Le_forme_dei_numeri/html/magistrato.html)
[8] Alvise Cornaro, studioso di idraulica e imprenditore agricolo, nel 1541 inviò al doge una lettera nella quale sosteneva che spettasse alla Signoria e non ai privati l’esecuzione dei lavori di bonifica. Divenne così l’ideatore del Magistrato dei Beni inculti che si occupava delle concessioni di acqua per l’irrigazione dei campi e dei giardini, e della bonifica dei terreni. Nel 1545 il Governo spedì dei periti a visitare tutti i territori e dopo nove anni di diligente esame il Senato nominò tre Provveditori che avevano il compito di sorvegliare e coordinare gli sforzi dei privati consigliandoli con elementi tecnici. A questi l’interessato doveva presentare una supplica, accompagnata da uno schizzo del terreno, spiegando quanta acqua voleva e per quali scopi. Venivano quindi mandati sul posto dei periti per redigere una mappa dettagliata e stendere una relazione, procedura simile ai moderni permessi edilizi. Questo permetteva di mediare gli interessi di tutti e di creare un enorme archivio di mappe, tuttora conservato. Le opere di irrigazione e di bonifica comportavano costi onerosi, ma le licenze concesse promettevano benefici enormi ed erano quindi fondi di rendita per lo Stato. Esenzioni fiscali, sovvenzioni, incoraggiamenti di ogni genere andarono ad incrementare sempre più quel movimento di “educazione” della terraferma: si crearono tanti consorzi quanti erano i fiumi da controllare. Con un sistema di saracinesche e di argini, l’acqua cominciò a seguire il corso voluto dall’uomo: le paludi vennero prosciugate, i territori aridi furono riforniti dell’acqua necessaria per ottenere raccolti costanti. Edifici stupendi come regge, collocati al centro di vasti poderi, sorsero accanto ai fiumi ricondotti su alvei sopraelevati, vicino ai porti fluviali o al centro di vaste radure strappate alle paludi. Grazie a questa politica unitaria, che durò fino alla caduta, la Serenissima rese possibile la fioritura delle ville che permise al Palladio di operare in tutte le province venete (in: http://www.progetti.iisleviponti.it/Le_forme_dei_numeri/html/magistrato.html). 

«[...] Dopo un primo tentativo nel 1541 [...], fallito per l'opposizione del magistrato alle acque, provveditori "sopra li luochi inculti", con prevalente funzione di informazione e di studio, furono istituiti nel 1545 [...] ed ancora nel 1549 [...]. In forma definitiva i provveditori sopra beni inculti ebbero origine nel 1556 [...]. Essi erano competenti in materia di bonifica e di irrigazione [...]. Dal 1768 [...] vennero eletti al loro interno due deputati all'agricoltura, con incarico di studiare perfezionamenti tecnici per migliorare la produzione sia agricola che di carne bovina, in armonia con il progresso scientifico, e di stimolare le accademie agrarie che sorgevano in ogni città in risposta all'invito del senato [...]. Nel 1780 i provveditori furono integrati da un aggiunto per il retratto (bonifica) delle Valli Veronesi, che operava di concerto con i Provveditori all'Adige ed era interessato anche a questioni confinarie con Mantova [...] (Guida generale, IV, p. 962) «I Provveditori ai Beni Inculti furono istituiti dal Senato nel 1566, per sopravegliare alle bonifiche e alle culture che si erano rese necessarie nel territorio della Repubblica. [...] Fu a questi nuovi officiali affidata la sorveglianza sulle bonifiche in corso, il promuovere consorzi a tale scopo e dare parere sui progetti dei tecnici [...]. Accanto a questi officiali vi era un Deputato all'Agricoltura con l'incarico di dare opportuni consigli tecnici» (Da Mosto, I, p. 168). (In: http://www.archiviodistatovenezia.it/siasve/cgi-bin/pagina.pl?Tipo=ente&Chiave=301)
[9]GIUSEPPE CULLINO, Quando il mercante costruì la villa, in: http://www.treccani.it/enciclopedia/dal-rinascimento-al-barocco-venezia-e-il-dominio-da-terra-e-da-mar-quando-il-mercante-costrui-la-villa-le-proprieta-dei-v_%28Storia-di-Venezia%29/
[10] ROBERTO BRAGAGGIA, Tra leggi et privileggi, p. 3-4, in: http://diritto.regione.veneto.it/?p=35

lunedì 22 ottobre 2018

Limena e i suoi beni storico-culturali


Limena e i suoi beni storico-culturali
(Limena, mappa del 1633)

Le ville venete, gli insediamenti rurali, i corsi d’acqua, i centri storici, le zone archeologiche

(Estratto dalla ‘Relazione specialistica. Sistema dei beni storico-culturali’ del Pat di Limena, a cura di Bruno Trevellin, con aggiunta di foto)

Il PAT (Piano di Assetto del Territorio) di Limena recepisce ed integra i sistemi e gli immobili da tutelare per i quali specifica la relativa disciplina.
Tali elementi sono così individuati:
- gli edifici di valore storico-architettonico, culturale e testimoniale ed i relativi spazi inedificati di carattere pertinenziale e i contesti figurativi;
- il sistema insediativo rurale e le relative pertinenze piantumate;
- la viabilità storica extraurbana e gli itinerari di interesse storico ambientale;
- le zone di interesse archeologico;
L’analisi di settore del territorio comunale ha evidenziato alcune specifiche presenze di seguito descritte.
Il territorio di Limena comprende due Ville Venete catalogate dall’Istituto Regionale Ville Venete. Esse sono: le Barchesse di Villa Fini, che facevano parte di un grande complesso monumentale costruito nella seconda metà del ‘600 dalla nobile famiglia veneziana Fini, originaria dell’isola di Cipro, come simbolo della grandezza della famiglia. La Villa si trovava al centro di due barchesse ad L da cui si dipartivano due emicicli ad esedra che terminavano lungo la strada ove si trovava una recinzione con cancellata su pilastri. I Fini erano proprietari in territorio di Limena di una grande quantità di terreni. Nella raccolta di iscrizioni del Salomonio (Agri Patavini Inscriptiones sacrae et prophanae) pubblicata nel 1696 la villa viene descritta come un “suntuoso palazzo costruito per incarico di Vincenzo Fini, procuratore di San Marco, che si erge per ampiezza di saloni, per numero di stanze, per terrazze e passaggi coperti e per la varietà degli ornamenti quasi un palazzo reale”. Non si conoscono le modalità della demolizione della Villa avvenuta verso la fine del ‘700. Del complesso rimangono, come detto, le due grandi barchesse e l’Oratorio edificato nella metà del Settecento. Nel 1813 la vedova di Gerolamo Fini vendette parte delle sue proprietà a Francesco Morsari, il quale dopo la sua morte, avvenuta nel 1850, lasciò i suoi beni in eredità alla Casa di Riposo di Padova. Nel 1982 la barchessa di sinistra fu acquistata dal comune e restaurata. L’Oratorio, dedicato alla Vergine del Rosario, è attribuito all’architetto Alessandro Tremignon. La sua opera più nota è la facciata della Chiesa di San Moisè in Venezia (1688 circa).
(Limena, catasto austriaco 1830 circa)

Villa Marioni, Pagan, Pacchierotti, Trieste, De Benedetti, sorge in un ansa del fiume Brenta ad est dell’attuale centro abitato nella località Tavello. Costruita probabilmente nella prima metà del Seicento, fu in seguito rimaneggiata e nelle dichiarazioni d’estimo del 1740 compare anche l’oratorio. E’ costituita da un volume compatto che si estende su tre piani caratterizzato da un triplo pronao tetrastilo, appena aggettante, coronato da timpano superiore. L’oratorio, annesso alla Villa, ha l’altare decorato da tre statue in pietra attribuite ad Orazio Mannali. La Villa è inserita in un parco cui si accede attraverso una cancellata con pilastri sormontati da statue.
Gli immobili sottoposti a tutela mediante Decreto ai sensi del D.Lgs 42/2004 nel territorio di Limena sono i due immobili sopra citati, Ex Barchessa Fini con Oratorio, spazio scoperto e pilastri d’ingresso e di recinzione, Villa Pacchierotti con le adiacenze ed inoltre la Chiesa arcipretale con affresco del sec. XV. Per le Ville Venete catalogate dall’IRVV e per la Chiesa sono state individuate le Pertinenze scoperte da tutelare. Per la Villa Marioni, Pagan, Pacchierotti, Triese, De Benedetti anche il Contesto figurativo.
Vengono individuati inoltre i seguenti provvedimenti di tutela ai sensi del D.Lgs 42/2004 art. 136 – Immobili ed aree di notevole interesse pubblico: Decreto Ministeriale 16 febbraio 1970 – Gazzetta Ufficiale n. 66 del 13.03.1970
- Alberature ai margini della strada statale 47 “Valsugana” nel territorio dei Comuni di Limena, Curtarolo, Campo San Martino, San Giorgio in Bosco e Cittadella.
(Limena, filare di platani lungo la Valsugana)

Elenco degli edifici di proprietà comunale ed ecclesiastica edificati presumibilmente da più di settanta anni esistenti nel territorio di Limena
Proprietà comunale
Caserma Carabinieri Ex Sede Municipale,
Edificio “delle Associazioni” Ex Distretto Sanitario;
Proprietà ecclesiastica
Chiesa Parrocchiale Santi Felice e Fortunato,
Casa del Villaggio via SS. Felice e Fortunato,
Centro Parrocchiale.
Tali immobili dovranno essere sottoposti a V.I.C. (Valutazione di Incidenza) ai sensi degli artt. 10 e 12 del D.L.gvo 42/2004 (Codice dei Beni Culturali).
Si segnalano nel capoluogo la Chiesa Parrocchiale dei SS. Felice e Fortunato e l’Oratorio della Beata Vergine del Rosario. La Chiesa attuale è stata costruita nei primi anni del Novecento (inizio dei lavori il 26.12.1914) su progetto dell’Ing. Tomasetti. Della vecchia Chiesa è rimasto solo il pavimento del coro e parte di un affresco della seconda metà del ‘400. La Chiesa sorge in posizione discosta rispetto alla piazza formatasi in periodo medioevale; precedentemente, prima dell’escavo del canale Brentella, il centro del paese era costituito dalla vecchia chiesa con il borgo circostante.
Vi sono altri edifici di valore monumentale testimoniale, aventi elevato grado di conservazione dell’architettura e della tipologia insediativa e costituenti complessi di notevole valore storico-ambientale ovvero:
- Edificio denominato Corte Ferro, sito all’interno dell’attuale centro edificato che, nel Catasto Austriaco (anno 1830-1845), risulta di proprietà di Ferro Bernardo q.m Marco; in questa planimetria l’edificio risulta di ingombro minore dell’attuale, nella mappa del Catasto Austro-Italiano (anno 1845-1885) assume la forma attuale, dunque l’attuale complesso edilizio può essere datato attorno alla metà del XIX secolo.
(Limena, corte Ferro)
- Edificio rurale denominato Ca’ Rossa, sito a sud ovest del territorio in prossimità del corso della Brentella, esistente nel Catasto Austriaco quale casa colonica di proprietà di Donà Nobile Vincenzo q.m Pietro e figli Nobili Pietro e Catterina amministrati dal proprio padre, possesso controverso da Foscarini Giacomo; l’edificio appare sostanzialmente invariato nel Catasto Austriaco e, dunque, le sue sembianze settecentesche appaiono verosimili.
(Limena, edificio rurale Ca’ Dona’-Ca’ Rossa)

- Edificio rurale denominato Corte Colpi, sito a sud est del territorio in prossimità del corso del Brenta, esistente nel Catasto Austriaco quale casa colonica di proprietà di Muja Levi Cervo q.m Leone usufruttuario e Seriman Fortunato, Taddeo e Rosa fratelli e sorella q.m Nazzaro proprietari; visti i Catasti storici la Corte Colpi può farsi risalire al XVIII secolo.
(Limena, edificio rurale Seriman-Colpi)

I corsi d’acqua sottoposti a vincolo paesaggistico sono il Brenta, che segna il confine est del territorio comunale, il Naviglio Brentella, che si dirama dal corso del fiume Brenta a nord del centro abitato e percorre il territorio verso sud, e lo Scolo Porra, che nasce a Taggì di Sopra dalla confluenza del rio Fosco con lo scolo Limenella e dopo aver attraversato il territorio di Limena in direzione ovest-est confluisce nel Brentella.
(Limena, scolo Porra all’imboccatura col Brentella)

Le zone gravate da “usi civici” sono terreni per i quali a seguito di una verifica catastale congiunta Comune e Regione ai sensi della L.R. 22.07.1994 n. 31 é stato riconosciuto originariamente un uso collettivo. Tali aree sono sottoposte a tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 142 lettera h) del D.Leg.vo 42/2004.
L'uso civico è un diritto che spetta ai componenti di una collettività delimitata territorialmente di godere di terreni o beni immobili appartenenti alla collettività medesima (in modo indiviso) ovvero a terzi (privati). Il diritto si esplica tramite l’esercizio di usi finalizzati a soddisfare i bisogni essenziali della collettività. I diritti di godimento più diffusi riguardano l’esercizio del pascolo e del legnatico. Altri diritti storicamente esercitati erano ad esempio la semina, il vagantivo (consistente nel diritto di vagare per terreni paludosi al fine di raccogliere canne, erbe e paglie, nonchè di cacciare e pescare), lo stramatico (consistente nel diritto di raccogliere erba secca e foglie per la lettiera degli animali). I beni di uso civico sono inalienabili, inusucapibili e soggetti al vincolo di destinazione agro-silvo-pastorale; il diritto di esercizio degli usi civici è imprescrittibile.
Il Comune di Limena ha verificato la documentazione storica presente presso l’Archivio del Commissario per la liquidazione degli usi civici di Venezia, eseguendo l’indagine catastale dei terreni comunali in particolare a destinazione attuale agro-silvo-pastorale ed ha avviato in data 27.06.2013 le procedure di accertamento e riordino previste dall’art. 4 della Legge sopra citata.
Per le zone di interesse archeologico, pur non segnate in cartografia, si segnala quanto riportato nella Carta Archeologica del Veneto – Vol. III°:
- notizia del rinvenimento di iscrizioni funerarie romane nel centro abitato, lungo la via principale, sulla riva sinistra del canale Brentella;
- notizia del rinvenimento di tombe non meglio determinate di età romana, di cui si conservano 12 tegole bollate presso il Museo Civico Archeologico di Padova.
Centri storici
Dall’esame dei Catasti Storici si evince che la Chiesa ed il Cimitero erano posti, come oggi, verso sud, in posizione mediana vi era il grande complesso Fini mentre il centro edificato vero e proprio era conurbato attorno al ponte sulla Brentella, presso cui si svolgevano tutte le attività commerciali del tempo. Tale impostazione non fu alterata neppure nella seconda metà del secolo ove si eccettui la costruzione dell’attuale viale che collega la Strada Valsugana con la Chiesa. Gli ambiti edificati perimetrati quali centri storici sono dunque di impianto settecentesco ma di costruzione riferibile al XX secolo.
Manufatti dell’archeologia industriale
Si prevede il riuso dei principali e più significativi manufatti che documentano la storia della civiltà industriale. Sono quindi individuati e valorizzati i manufatti dell’archeologia industriale (fabbriche, mulini, etc.) con lo scopo di un loro possibile recupero e riutilizzo per usi culturali, didattici, espositivi. Come edifici di Archeologia industriale vengono individuati i Colmelloni sul canale Brentella, e la Stazione ferroviaria della dismessa ferrovia Padova – Piazzola sul Brenta – Carmignano di Brenta.

(Limena, la stazione ferroviaria dopo il restauro)

Percorsi ciclabili
Per il settore turistico – ricettivo sono rintracciati nel territorio di Limena i seguenti percorsi ciclabili:
- la ciclopista del Brenta, prevista nella programmazione regionale e provinciale;
- Itinerario F – Anello fluviale Padova – Brentella – Piovego dal Piano Provinciale Piste Ciclabili;
- le piste ciclabili comunali esistenti e di progetto.

(NB: il testo è un ampio estratto dalla ‘Relazione specialistica. Sistema dei beni storico-culturali, Elaborato C0305 del Pat di Limena, dell’arch.  F. Zecchin, pubblicato nel sito del Comune)


domenica 21 ottobre 2018

Limena, le statue di Prometeo liberato (sec. XIX)


Limena, le statue di Prometeo liberato dalle catene all’ingresso di villa Manetti-Cozzi (inizi sec. XIX)
di Bruno Trevellin


Sui due pilastri all’entrata della villa Manetti-Cozzi di Limena sono collocate due statue in pietra raffiguranti l’eroe  Prometeo con le catene appena spezzate (ben visibili) da Ercole che, secondo il mito, lo liberò dalla roccia del Caucaso cui era incatenato dopo aver ucciso con una freccia l’aquila che lo tormentava. Oltre alle catene spezzate, risulta ben visibile anche la colonna/roccia cui era tenuto prigioniero. L’eroe è raffigurato con uno sguardo arcigno rivolto verso il cielo in atteggiamento di sfida.
Le statue si possono far risalire agli inizi del XIX secolo, all’epoca di edificazione della villa.

Prometeo (raro, alla greca, Prometèo; gr. Προμηϑεύς, lat. Prometheus) Personaggio della mitologia greca con un suo preciso posto anche nel culto: la festa ateniese Promètheia (gr. τὰ Προμήϑεια; corse con fiaccole) era una commemorazione del ratto del fuoco. Prometeo aveva una tomba a Opunte e ad Argo.
Il mito di Prometeo fu trattato con grande rilievo da Esiodo (che ne fu forse il creatore), Eschilo e Platone. In Esiodo (Teogonia) Prometeo è un Titano, figlio di Giapeto e dell'oceanide Climene, che in contrasto con Zeus favorisce gli uomini, dapprima con l'attribuire loro la parte migliore delle vittime sacrificate, poi dando loro il fuoco di cui Zeus per vendetta li aveva privati. Zeus punisce Prometeo facendolo incatenare a una colonna e inviando l'aquila a divorargli il fegato che sempre ricresce; gli uomini sono puniti con la creazione della donna, Pandora, che Epimeteo, il fratello stolto di Prometeo, accetta in sposa (Esiodo accetta per Prometeo l'etimologia da προμανϑάνω "saper prevedere" e in contrasto crea Epimeteo da ἐπιμανϑάνω "rendersi conto dopo"). Eschilo dedicò a Prometeo una intera trilogia, della quale rimane il Prometeo legato. Platone nel Protagora mette in bocca al sofista una versione poco diffusa del mito, che fa Prometeo creatore degli uomini; insieme a Epimeteo Prometeo viene poi incaricato da Zeus di distribuire agli esseri viventi le varie qualità e, poiché Epimeteo sbaglia favorendo gli animali, Prometeo rimedia donando agli uomini il fuoco e la saggezza. In tutto lo sviluppo letterario del mito appare evidente la tendenza ad arricchirlo di motivi filosofici, facendo di Prometeo l'incarnazione dello spirito d'iniziativa dell'uomo e della sua tendenza a sfidare le forze divine; in ciò si riflette probabilmente l'orgogliosa coscienza di ceti artigiani politicamente emergenti.
Nelle letterature moderne il mito di Prometeo, variamente inteso e celebrato, ha ispirato il frammento drammatico Prometheus (1773) di J. W. Goethe, il dramma lirico Prometheus unbound (1820) di P. B. Shelley, il poemetto Prometeo (uscito postumo nel 1832) di V. Monti, la prosa Prométhée mal enchaîné (1899) di A. Gide, il poema Prometheus und Epimetheus (1880-81) di C. Spitteler, cui lo stesso autore fece seguire molto più tardi (1924) l'altro poema Prometheus der Dulder; la trilogia drammatica Προμηϑέας ("Prometiade", 1942), di N. Kazantzàkis.
Anche varie composizioni musicali sono state dedicate al mito, dal balletto Die Geschöpfe des Prometheus (1800) di L. van Beethoven, al poema sinfonico Prometheus (1850-55) di F. Liszt, alla tragedia lirica Prométhée (1900) di G. Fauré, al Prometej. Poema ognia ("Prometeo. Il poema del fuoco", 1910) di A. N. Skrjabin, al Prometheus di (1968) C. Orff.
L'arte antica raffigura fino dal sec. VII a. C. la scena della punizione con Prometeo legato prima a una colonna, poi a una rupe. Il ratto del fuoco compare invece dalla seconda metà del V sec. a. C. Nel trono di Zeus a Olimpia, Paneno lo aveva dipinto liberato da Eracle. La scena della creazione degli uomini è raffigurata spesso sui sarcofagi romani con senso allegorico.
(testo da: http://www.treccani.it/enciclopedia/prometeo/)