lunedì 25 luglio 2016

Limena che non c'è. Il castello medioevale sul Brenta. Azioni didattiche per la ricerca di persone e luoghi scomparsi (o dimenticati)



Il castello medioevale sul Brenta
Da una mappa del ‘500 a una ricerca di storia locale
Attività con una classe prima
di Bruno Trevellin, docente

Un primo approccio
Sono ancora pochi i limenesi che sanno dell’esistenza di questo castello. Per un motivo molto semplice: quel castello proprio non c’è più da secoli. Ma sul fatto che ci sia stato non c’è dubbio. Dove? Sul lato destro del Brenta, all’altezza della derivazione del canale Brentella. E chi lo dice? Le fonti, soprattutto le mappe del territorio limenese conservate negli archivi. quella del 1559, conservata presso l’Archivio di Stato di Padova, che mi ha fatto conoscere l’amico Renato Martinello, è molto precisa.
 (mappa nella sua interezza)

(particolare della stessa)

Il disegnatore non ha tralasciato di precisare che lì ci sono nel 1559 le “vestigie del castelo”, cioè i ruderi di un castello.
Ho fotocopiato la mappa e l’ho consegnata ai ragazzi per una prima osservazione di quanto indicato. Dal disegno sembra si trattasse di un castello dalle dimensioni significative, non di una semplice torre di guardia.

Dalla mappa al territorio. Un’uscita per vedere ciò che non c’è?
Sì, ne vale la pena. Con la mappa in mano li ho accompagnati sul sito del castello, uno spazio che i limenesi conoscono molto bene, soprattutto coloro che frequentano l’area naturalistica del Tavello. Del castello però non c’è nulla! e oggi si può solo immaginarne la realtà, spostando l’attenzione dalla mappa al territorio, andando appunto sul sito. E comunque non doveva essere molto diverso da altri del periodo costruiti lungo i corsi d’acqua. Poteva assomigliare a quello di San Martino della Vaneza a Trambacche sul Bacchiglione, che molti limenesi di sicuro conoscono. La tipologia e la funzione erano le stesse.
(Castello di San Martino della Vaneza)

I ragazzi quindi hanno solo potuto ‘calpestare’ il sito, immaginandone la posizione, le mura, i merli, il torrione. Non c’è bisogno di dilungarsi su troppi particolari, sanno cos’è un castello medioevale.
Poi siamo ritornati in classe per osservare altre carte che parlano del nostro castello.
Ho mostrato un disegno, del 1686, contenuto nel libro di Martinello, I colmelloni di Limena (p. 21). Il disegnatore ha precisato che il punto C “è la vestigia di una tore deto castel di Limena già stato distruto et ora solo muri atorno a valino del piano del terreno”. 


Allora, nel ‘500 solo vestigia del castello, nel ‘600 ancor meno.
Poi è stata la volta di un disegno del 1739. Al posto dei ruderi troviamo una bella villa, probabilmente lo stesso edificio che ancor oggi si incontra all’altezza del primo colmellone, sede della protezione civile.

  (disegno del 1739, in I colmelloni di Limena di Renato Martinello)

Altre fonti sul castello
Ma il castello è presente anche in altre fonti.
Cercando in internet con la LIM o su libri di storia locale li ho guidati alla scoperta autonoma di altre fondamentali informazioni.
Se ne parla per esempio in un libro su Vigodarzere, proprio nel capitolo dedicato ai castelli.
“I castelli medioevali erano fortezze per sostenere assalti guerreschi e difendere paesi e città. Spesso una torre con mura era già una rocca. Ma, anche tralasciando le semplici torri, di veri castelli o rocche ce n'erano ben più di 100 nel territorio padovano. Della maggior parte non restano che poche vestigie e di molti anche appena il ricordo. Due castelli erano a Limena. Il più antico era dei signori da Limena, una famiglia che vantava tra i non pochi suoi uomini illustri il beato Arnaldo, abate di S. Giustina, fiero oppositore di Ezzelino, la cui festa si celebra il 14 marzo. L'altro sorse nel 1313 a difesa del canale Brentella”. (Adriano Schiavo, Vigodarzere e il suo territorio, 1970, p.29)

Costruito dunque nel primo ‘300 per difendere il Brentella, sappiamo che fu più volte perso e ripreso dai Carraresi (Martinello, I colmelloni, p. 6).

Nel 1405 arrivano i Veneziani che presero d’assalto il castello di Limena “i cui difensori sebbene pochi di numero si mantennero fino agli estremi con ostinata prodezza, ma finalmente soverchiati dalla esorbitanza degli avversari dovettero cedere e il capitano Trappolino ne uscì con tutti gli onori di guerra” (in Giovanni Cittadella, Storia della dominazione carrarese in Padova, 2, 1842).

Sia il libro su Vigodarzere sia quello sui Carraresi si trovano in internet. Usando la LIM questi libri entrano direttamente in classe senza passare attraverso le librerie o le biblioteche.

Distruzione del castello e massacro di 150 soldati schiavoni a Limena
E arriviamo all’atto finale. Il 13 agosto 1509 (durante la guerra di Cambrai) l’esercito dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo “occupò Limena, espugnò il castello, preso d’assalto da 400 spagnoli che uccisero i 150 schiavoni che lo difendevano…Il 6 ottobre…l’esercito di Massimiliano distrusse il castello e la rosta” (Martinello, I colmelloni, p. 7).
Il castello dunque svolse il suo ruolo di controllo e difesa del territorio limenese dal 1313 al 1509. Una volta distrutto, non venne più ricostruito.
Dell’altro castello invece, quello più antico dei Da Limena, a oggi abbiamo solo la notizia della sua esistenza, ma niente di più.

Due parole su questi schiavoni
“La nascita di questi reparti ha origini antiche e evidenzia lo spirito plurinazionale dello stato veneto. Arruolati in Dalmazia, Grecia e sulle coste Albanesi, essi furono usati all’inizio come “fanti da mar” imbarcati sulle navi della Serenissima, pronti all’arrembaggio di altri navigli o come truppe da sbarco (maestro in questo impiego fu Francesco Morosini durante la campagna di Morea), passarono poi al servizio in terraferma, presidiando fortezze e città in tempo di pace o di guerra” (M. Bozzolan, I temibili Schiavoni della Serenissima, testo online).

Una testimonianza archeologica
Un’ultima testimonianza, archeologica. È una foto scattata in occasione dei lavori di sistemazione della Brentella nel 1980. La si trova sempre nel libro di Martinello usato per questa attività. Si notano le ‘vestigie’ del vecchio castello che quindi ancora c’è, ovviamente solo i suoi ruderi, sotto il terreno arginale.






Dalle indicazioni nazionali per il curricolo 2012
Storia
Il senso dell’insegnamento della storia
(…) Lo studio della storia (…) contribuisce a formare la coscienza storica dei cittadini e li motiva al senso di responsabilità nei confronti del patrimonio e dei beni comuni
Per questa ragione la scuola è chiamata ad esplorare, arricchire, approfondire e consolidare la conoscenza e il senso della storia.

I metodi didattici della storia
I libri, le attività laboratoriali, in classe e fuori della classe, e l’utilizzazione dei molti media oggi disponibili, ampliano, strutturano e consolidano questa dimensione di apprendimento. La capacità e la possibilità di usufruire di ogni opportunità di studio della storia, a scuola e nel territorio circostante, permettono un lavoro pedagogico ricco, (…) indispensabile per avvicinare gli alunni alla capacità di ricostruire e concepire progressivamente il “fatto storico” per indagarne i diversi aspetti, le molteplici prospettive, le cause e le ragioni (…).

Traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola secondaria di primo grado
L’alunno si informa in modo autonomo su fatti e problemi storici anche mediante l’uso di risorse digitali.
Produce informazioni storiche con fonti di vario genere – anche digitali – e le sa organizzare in testi.
Comprende testi storici e li sa rielaborare con un personale metodo di studio,
Espone oralmente e con scritture – anche digitali – le conoscenze storiche acquisite operando collegamenti e argomentando le proprie riflessioni (…).
Conosce aspetti e processi essenziali della storia del suo ambiente.

Scheda tecnica di rilevamento e attività in classe
Alla fine ho proposto ai ragazzi una semplice scheda sull’attività svolta. L’hanno compilata per gruppi di 4-5. Aveva solo alcuni indicatori: Titolo dell’attività-Data dell’uscita-Elenco degli elementi rilevati.
Alla fine ho chiesto a un rappresentante per gruppo, in momenti diversi, di rispiegare alla classe l’attività svolta. Ho messo anche qualche voto, solo a chi ha saputo relazionare meglio.

Considerazioni finali
Un’attività di questo tipo va proposta ai ragazzi di Limena. Ti seguono, si appassionano, apprendono. Un castello ha sempre il suo fascino, è vero, ma è anche la storia che ci sta attorno che li attrae. Nel nostro caso è la storia di Limena, è la storia di una signoria, quella Carrarese, è la storia di una dominazione, quella veneziana. Soprattutto possono capire che la storia che trovano sui libri passa attraverso la storia scritta sul proprio territorio.
E io preferisco che i ragazzi conoscano questa storia anziché tutte le guerre combattute da un manzoniano principe di Condè.

lunedì 18 luglio 2016

Limena che non c'è. Il posto delle lavandare sul Brentella. Azioni didattiche per la ricerca di persone e luoghi scomparsi (o dimenticati)



Il posto delle lavandare sul Brentella
Dalla poesia del Pascoli al territorio, dall’antologia alla fatica delle lavandaie
Attività interdisciplinare con una classe prima
di Bruno Trevellin, docente

Un primo approccio
Come primo approccio alla poesia nelle antologie di prima media è facile trovare il madrigale del Pascoli Lavandare, tratto dalla raccolta Myricae (1891). Da un paio di anni la propongo per poi effettuare un’uscita sul territorio.

Eccone il testo, breve, non proprio facile, comunque bello:

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggiero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene.

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l’aratro in mezzo alla maggese.


Pascoli è veramente un genio: qui è riuscito a mettere insieme cielo e terra, acqua e vento, uomini e animali, suoni e silenzi.
Con l’aiuto della LIM è stato facile trovare siti con parafrasi, commenti, riferimenti. I ragazzi riescono con facilità a impararla anche a memoria. Ma io volevo portarli su un altro piano, un piano più storico-sociale che linguistico-letterario, quello appunto del lavoro dei campi e, soprattutto, del lavoro delle lavandaie, delle lavandaie di Limena.
Subito dopo la poesia un quadro, un’opera di Van Gogh che, meglio di altre e meglio di me, può spiegare il testo del Pascoli. Si tratta del Campo innevato con aratro, dove l’attrezzo è proprio senza buoi e dimenticato in mezzo ai campi!


(Van Gogh, Campo innevato con aratro. 1890)

Aratro e buoi
I ragazzi di oggi non sono quelli della mia generazione. Io alla loro età passavo le vacanze in campagna dai nonni materni e mi capitava spesso di aiutare mio nonno Toni nei suoi lavori: lo sfalcio dell’erba, la raccolta del fiero, la pulizia della stalla, la vendemmia. I buoi non si usavano più per l’aratura (c’era già il trattore), ma per tirare il carro o l’erpice sì. È un mondo, e un tempo, che ricordo ancora come bello, semplice e umile: il mondo della civiltà contadina da cui tutti o quasi proveniamo. Poi è arrivata l’industrializzazione, anche a Limena, e quel mondo è morto. Sono spariti pure gli aratri. Se c’è un’opera che meglio me lo ricorda, quel mondo, è proprio l’olio su tela sempre di Van Gogh, Contadini in siesta. Io quella scena l’ho vissuta prima di conoscere Van Gogh, io sulla paglia mi sono veramente sdraiato, stanco ma sereno, dopo aver aiutato mio nonno.

(Van Gogh, Contadini in siesta, 1890)

Ma torniamo alla classe, torniamo ai ragazzi. Ho scoperto che non si deve mai dare per scontato ciò che a noi sembra ovvio. Ho scoperto, per esempio, che nessuno sapeva descrivere con parole proprie un aratro. Qualcuno sapeva cosa può essere un trattore, ma un aratro, quello di Van Gogh e di Pascoli, è un’altra cosa. Per un motivo molto semplice: di aratri non se ne vedono più in giro. E allora non mi restava che mostrare un vecchio aratro, sempre usando la LIM, uno di quelli che si possono ancora vedere solo nei musei della civiltà contadina o abbandonato nelle vecchie case di campagna.


E poi ho dovuto spiegare che i buoi non sono le mucche che vedono al pascolo quando vanno in montagna e neanche vanno confusi con i tori. L’unico bue che conoscono è forse quello del presepe, ma è solo una statuina! I buoi li conoscono quelli della mia età, quelli che li hanno visti nelle stalle, quelli che li hanno visti lavorare nei campi. Solo noi sappiamo che sono veramente utili, forti e mansueti. Ma non potevo mostrarglieli dal vero. Mi sono servito di un quadro di Fattori e di una foto. Dicono più di tante parole e di tante pagine.
(Giovanni Fattori, Bovi al carro, 1867)


(foto di contadino all'aratro)

Ecco quello che poteva essere il lavoro contadino dei bisnonni (più che dei nonni) dei nostri ragazzi. Non è mio nonno quello della foto e le due bestie non sono i suoi buoi, ma ci assomigliano molto.

E poi le lavandare di Limena: cartoline, foto e testimonianze
Ma se della civiltà contadina tutti possiamo dire qualcosa, più impegnativo risulta trovare tracce, sul territorio, del lavoro delle lavandaie. Anche qui però non manca materiale illustrativo, come le foto d’epoca, e a Limena sul canale Brentella ci sono ancora sull’acqua le postazioni per un lavoro che si faceva tutto a mano prima che nelle nostre case entrasse la lavatrice. Ho mostrato la foto di una prima lavatrice manuale Perla e quella di una vecchia Zoppas, lavatrice finalmente elettrica.


Le foto e cartoline che seguono non sono di Limena. Con i ragazzi le abbiamo trovate in internet.





Donne piegate sull’acqua a lavare e battere panni per ore e ore. Nei loro volti rivedo le mie nonne, rivedo mia madre, che non andavano alla gora perché nelle vicinanze non avevano un corso d’acqua, ma all’abbeveratoio vicino al pozzo sull’aia o al mastello con l’asse di legno.



(esempio di asse da lavandaia, presente in ogni nostra casa fino a cinquanta anni fa, recuperata a un mercatino dell'usato)

(Padova, lavandaie a Ponte San Giovanni, cartolina)

(Padova, lavandaie sul Piovego, dietro la chiesa del Carmine, cartolina)

Uscita sul territorio…con tablet o cellulare
Li ho portati, i miei ragazzi di prima, a vedere il posto delle lavandaie sul canale Brentella. Ci sono tre postazioni: due tra le chiuse (a Limena le chiamiamo colmelloni) e una poco più a valle davanti alla scuola Manzoni. La linea retta del bordo del canale fa una rientranza a rettangolo consentendo all’acqua di stagnare e alle lavandaie di fare il loro lavoro senza correre il pericolo di vedersi i panni trascinati via dalla corrente. Con i ragazzi sono sceso fino all’acqua, facendo la lunga scalinata che dalla strada porta giù alla corrente.
È un’uscita di un’ora, ma vale certamente più di un’ora di lezione in classe. E non ho fatto prendere appunti, ma foto con il tablet o il cellulare per documentare l’attività di ricerca e di scoperta.
(foto scattata da via Matteotti: mostra l’invaso delle lavandaie sul lato destro del Brentella, davanti alla scuola Manzoni. Da questo lato io le vedevo scendere, avevano l’età di mia madre, ed io ero molto piccolo. La scaletta è stata messa di recente per scendere in acqua con le canoe.



(la foto, scattala sull’argine vicino alla caserma dei carabinieri, mostra i due invasi situati subito dopo il primo colmellone, uno sul lato destro e uno sul lato sinistro del canale)


(invaso sul lato sinistro, ancora ben conservato)


(particolare dell’invaso sinistro con vista anche dell’invaso sul lato destro)

(ancora l’invaso sinistro con vista della strettoia della chiusa)


(la scalinata per scendere all’invaso di sinistra, infestata dalle erbacce, ma basta poco per tenerla pulita. Non ha bisogno di restauri, la trachite di cui è fatta è ancora in ottimo stato)


(particolare della scalinata)

Una testimonianza orale
Ho chiesto ai ragazzi di informarsi se per caso in famiglia qualcuno conoscesse qualcosa di quel lavoro delle lavandaie sul Brentella. Solo una ragazza ha saputo dirci di sua nonna paterna, ancora in vita, che quand’era giovane scendeva sull’acqua a lavare i panni. Li lavava sull’invaso di destra e poi li stendeva ad asciugare sull’argine. Pensavo che qualcun altro riportasse altre informazioni, ma evidentemente è una memoria che rischia di essere cancellata se non viene più raccontata. La scuola però può ancora farla rivivere o evocarla.

Scheda tecnica di rilevamento e attività in classe
Alla fine ho proposto ai ragazzi una semplice scheda sull’attività svolta. Potevano compilarla da soli o con il vicino di banco. Aveva solo pochi indicatori: Titolo dell’attività-Data uscita-Indicazione degli elementi rilevati.
Alla fine ho chiesto a qualcuno di spiegare ai compagni di classe l’attività svolta, concedendo agli altri di intervenire per precisare meglio o correggere i contenuti riferiti.

Discipline coinvolte
Italiano, storia, geografia, arte

Cosa resterà?!
La memoria di un’uscita sul territorio, che non è come stare in classe
La scoperta che la storia è scritta sul territorio di appartenenza
La coscienza di appartenere a una comunità con una storia
La coscienza civica che la comunità è quella di oggi e quella di ieri
La coscienza che la propria storia locale è la storia di tante altre persone (lavandaie e contadini)
Guarderanno quegli invasi sul Brentella con l’occhio attento di chi non vede solo dell’acqua passare
Il gusto della scoperta, che è scoperta delle proprie radici e quindi di sé.

Un monumento alle lavandaie
A queste donne, alle lavandaie, bisognerebbe dedicare un monumento. Mi sa che lo proporrò al mio comune o meglio lo farò proporre ai miei ragazzi.