Limena:
la colonia elioterapica sul Brenta durante il fascismo
di
Bruno Trevellin
(Limena, bimbi dell’asilo
nell’area della colonia elioterapica sulla riva destra del Brenta dopo la
cascata, foto Martinello)
“Le prime colonie di
vacanza per bambini in Italia sorsero alla metà dell’Ottocento,
per poi diffondersi in modo più organizzato e sistematico tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento; avevano finalità essenzialmente
curative ed erano rivolte a bambini bisognosi e malati che non avevano accesso
alle terapie. Organizzazione e gestione erano in mano a banche, opere pie e
singoli benefattori religiosi o laici, e il carattere privato e lo scopo
caritatevole restarono prevalenti fino agli anni Venti del Novecento.
Fu l’avvento del
fascismo a mutare questo stato di cose in modo radicale. Nel corso degli anni
Venti il fascismo affidò la gestione delle colonie alle federazioni locali del
Partito nazionale fascista, all’Opera nazionale Balilla, l’organizzazione
legata al ministero dell’Educazione che inquadrava i bambini e i ragazzi,
maschi e femmine, dai 6 ai 18 anni, e all’Opera nazionale maternità e infanzia
per l’assistenza alle madri e ai bambini.
Nel 1937 esse, come
tutte le organizzazioni e le strutture destinate all’infanzia, furono affidate
alla Gioventù italiana del Littorio (Gil), dipendente dal Pnf, che collaborava
per la gestione delle colonie con i presidi sanitari locali e con le
prefetture. Negli anni Trenta e sino al 1942 crebbero in modo evidente sia il
numero delle colonie di vacanza che quello dei bambini ospitati.”
L’elenco delle colonie del fascio padovano in un
giornale dell’epoca
(pagina dal giornale Il Veneto
del 30 luglio 1936, in Certosa di
Vigodarzere sos, a cura di Francato-Dorio-Cesaro, p. 97)
Come evidenzia la pagina del giornale Il Veneto del 30 luglio 1936, erano numerose le colonie
elioterapiche diurne nel territorio padovano. Tra queste figura anche quella fluviale
di Limena, ubicata su via Manetti, gestita con turni che andavano dal 15 luglio
al 14 agosto. L’edificio, come per quello di Vigodarzere, doveva essere una
costruzione con ‘pareti di tavole di legno intonacate con sabbia miscelata a
calce e truciolo di legno’.
Assieme a quella di Limena sono menzionate anche quelle dei comuni vicini di
Cadoneghe, Vigodarzere, Curtarolo, tutte sulle spiagge venutesi a creare nell’alveo
del Brenta.
(colonia elioterapica fluviale di Vigodarzere, foto in Certosa di Vigodarzere sos, a cura di
Francato-Dorio-Cesaro, p. 98)
“La colonia
elioterapica era un nuovo luogo di socialità dove i bambini soggiornavano e
venivano curati per malattie ai giorni nostri completamente debellate, ma che
ai tempi della “marcia su Roma” erano causa di mortalità: le più temute erano la tubercolosi, il vaiolo, la difterite, i
linfatismi e la scrofola che, colpendo il sistema linfatico, produceva le
cosiddette “scrofole”, una serie di rigonfiamenti ghiandolari”.
“In base al ‘Regolamento
per le colonie elioterapiche fasciste 1932’, da parte del PNF, risultarono
esservi tre tipi di colonie elioterapiche:
-permanenti;
-temporanee;
-diurne.
Ognuna di queste aveva delle proprie
peculiarità. Ad esempio, le colonie elioterapiche permanenti, organizzate in
piccoli ospedali per la cura di malattie come rachitismo e tubercolosi,
potevano essere collocate sia al mare che in montagna, potevano funzionare
tutto l’anno, erano autonome dal punto di vista amministrativo e potevano
disporre di attrezzature di primissima scelta. Le colonie elioterapiche
temporanee erano istituti di cura improntati su un basso livello di profilassi,
in quanto erano attive esclusivamente nel periodo estivo e, di conseguenza, non
potevano esercitare un effetto curativo utile e durevole, anche se i
beneficiari erano bambini e bambine che nelle loro case non avrebbero mai
trovato i mezzi necessari per un miglioramento fisico “in un clima sano
improntato sull’esposizione del corpo al sole”, sfruttando al massimo le ore di
luce di una giornata per agevolare la loro spensieratezza, i giochi liberi, gli
esercizi ginnici, il canto corale, le passeggiate e le conversazioni improntate
su tematiche politico-fasciste, mentre le
colonie diurne, posizionate nelle periferie dei centri urbani, erano le uniche
ad avere un vero e proprio scopo profilattico, in quanto ospitavano fanciulli,
e fanciulle, che per una qualche ragione non potevano disporre di una sana,
corretta e sufficiente alimentazione: la loro cura consisteva nello stare
all’aria aperta in contatto con le forze biotiche della natura e, per questa
ragione, sono da considerarsi come le vere “colonie elioterapiche” fasciste,
nonostante fossero le “temporanee” le più diffuse, in quanto dotate di
intervento assistenziale del nuovo stato totalitario di massa e viste come
veicolo di propaganda attraverso un modello educativo imperniato sulle
gerarchie e sul gesto ripetuto (e ripetitivo).
Albergo, clinica e scuola
Le colonie fasciste
avevano un triplice effetto, essere albergo, clinica e scuola nello stesso
momento: “albergo”, perché al loro interno i piccoli coloni potevano alloggiare
in ottime strutture e mangiare pietanze che a casa non potevano permettersi;
“clinica” in quanto al loro interno venivano seguiti alla lettera dalle
“signorine vigilatrici” e dai medici per la cura delle malattie; “scuola”
poiché nelle strutture veniva inculcata la propaganda, l’educazione
patriottica, il rispetto e l’obbedienza alle gerarchie.
Per poter accedere al soggiorno coloniale, i
bambini e le bambine dovevano essere vaccinati almeno contro le malattie più
difficili da curare, mentre i più grandi dovevano aver fatto il richiamo, onde
evitare il diffondersi di tali malattie nelle strutture ad altri bambini.
I Segretari federali, a partire dagli anni ’30,
inviarono una serie di lettere agli organi direttivi delle strutture
elioterapiche contenenti indicazioni precise, come la prescrizione dei locali,
le diete alimentari o gli aspetti igienici: le colonie elioterapiche, per il
regime, dovevano essere condotte con uniformità in un ambiente sano,
confortevole, di sana propaganda fascista, di educazione igienica e di
elevazione morale.
Diversa era l’educazione all’interno della
colonia in quanto, a parte le due tranches giornaliere di due
ore di indottrinamento politico ed il saluto romano all’alza-ammaina bandiera,
il resto dell’attività di colonia era diviso in base al sesso: ai bambini venivano impartiti esercizi
ginnico-fisici di carattere paramilitare e nozioni di laboratorio manuale per
essere pronti un domani a lavorare ed entrare a far parte di un forte ed
intrepido esercito che avrebbe difeso l’”italica Patria”, mentre alle bambine venivano impartiti corsi
di economia domestica e di cucito, soprattutto.
Le signorine vigilatrici
Punto di riferimento nella colonia elioterapica erano le “signorine
vigilatrici”, ragazze di età compresa tra i 18 e i 30 anni, iscritte ai Fasci
femminili locali. Queste erano in rapporto di 1 a 30 con i coloni, dovevano
essere ben istruite tecnicamente nonché essere predisposte all'indole materna.
La loro iscrizione obbligatoria al Partito permetteva loro di insegnare la
politica fascista, soffermandosi con attenzione particolare sulla biografia del
Duce e su tutto ciò che ha fatto e farà per la Nazione, per l’”italica
gioventù” e per i destini del Paese per un domani migliore, spiegando le opere
compiute e quelle che saranno fatte dal fascismo. La lingua parlata dalle
“signorine vigilatrici” era l’italiano, poiché la maggior parte dei bambini, se
non tutti, si esprimeva in dialetto”.
(colonia elioterapica
fluviale di Curtarolo, foto Martinello)
“Al suo interno la
colonia disponeva, di solito, di:
-ampio refettorio;
-servizi igienici;
-infermeria;
- piccoli ambulatori per la cura, ad esempio, di
escoriazioni”.
“In puro stile
fascista, la ripetitività del gesto
caratterizzava la giornata all’interno delle colonie: appena giunti nella
struttura, i piccoli coloni si posizionavano intorno all’asta che sorreggeva il
tricolore nazionale e salutavano “romanamente” la sua “salita al cielo”. Nelle “diurne” si susseguivano la
ginnastica respiratoria, la visita medica, l’indottrinamento politico-fascista,
i giochi e le cure elioterapiche, il pranzo nel refettorio, la ricreazione
post-pranzo (ore 13:30–ore 15), la seconda tranche di indottrinamento politico,
i giochi e le cure, la doccia (nel caso di immersioni in piscina), il saluto
all’ammaina bandiera ed il ritorno a casa; nelle “permanenti” (le marine,
per intenderci) le attività in più rispetto alle altre erano la sveglia
collettiva, compresa tra le ore 6:30 e le 7:00 (a seconda del regolamento
interno alla colonia), la pulizia all’interno della camera e quella personale,
la passeggiata in riva al mare marciando, la cena in refettorio e il
“post-cena”, la preghiera serale ed il ritorno in camera.
I momenti clou dell’attività all’interno della
colonia marina erano la “terapia dell’acqua” e la “terapia del sole”, la
balneoterapia e l’elioterapia. Praticati nelle “marine”, per ovvi motivi, i
bagni d’acqua avvenivano dopo quelli d’aria e consistevano in immersioni di
circa venti minuti nell’acqua del mare, considerata la panacea di tutti i mali.
Con modalità diverse erano compiuti i bagni di
sole: nelle “marine” era fatta mediante l’esposizione totale del corpo stando
sdraiati su delle stuoie per circa un’ora, mentre nelle altre colonie l’elioterapia consisteva nello stare
all’aria aperta svolgendo gli esercizi ginnici o anche il semplice correre
all’interno della struttura, dimenticando tutti i problemi di salute. La
continua inaugurazione di colonie elioterapiche in Italia fu il segno dello
sforzo del fascismo di fornire alla popolazione servizi in grado di preservare
l’”italianità”.
Le colonie climatiche fasciste non prevedevano discriminazioni sociali,
visto che al suo interno si incontravano i figli del “popolino”, i figli delle
famiglie più disagiate delle città, e quelli della medio-alta borghesia. Si
possono individuare vari difetti
delle colonie. In primis, all’interno delle strutture, venivano azzerate le
individualità e le personalità dei piccoli ospiti, visto che al suo interno era
difficile la vita, sembrava di stare in una caserma dato il numero eccessivo di
controlli sanitari effettuati, il folle indottrinamento politico quotidiano,
impartito severamente dalle assistenti, senza contare che la separazione fra
bambini e bambine rendeva la nostalgia di casa, ed il distacco dalle madri,
ancora più intenso, soprattutto nelle “marine”: la precisione dei tempi che
scandivano la giornata delle colonie, l’obbligo di indossare divise uguali, il
numero di riconoscimento della biancheria intima e le camerate enormi resero le
“provvide” strutture fasciste un luogo di spersonalizzazione.
A partire dall'ottobre 1938 l’Italia, in piena
“fase di crisi” del fascismo secondo Renzo de Felice, si allineò alle politiche
della Germania nazista di "difesa della razza ariana", con la
promulgazione delle leggi razziali che discriminavano tutti gli italiani di
religione ebraica. In particolare, si iniziava a parlare di fortificazione dei
caratteri e di difesa della consistenza biologica, spirituale e razziale della
popolazione italiana da «inquinamenti con razze non ariane»: la razza nell’idea
del Duce era sia una concezione “spirituale” che “biologica”.
I medici criticarono pesantemente l’impostazione
dei programmi svolti all’interno delle colonie elioterapiche, programmi che
lasciavano poco spazio allo svago, con uno stile “da caserma” e con una estenuante
attività fisica”.