domenica 31 marzo 2019

BRUNO TREVELLIN, La bella stagione (presentazione libro)


Sabato 6 aprile 2019 - ore 18.30
Scuola secondaria B. Arnaldo da Limena
Via B. Arnaldo da Limena, 44-Limena

LA BELLA STAGIONE
Presentazione del libro di Bruno Trevellin
Accompagnamenti musicali a cura di Massimo Favaretti, chitarra acustica



“Quando il sole si mise al tramonto, la vendemmia finì anche per quell’anno. Il vecchio diceva che era stata un’ottima annata, che i quintali di uva erano stati più di quelli dell’anno precedente e che lui lo poteva dire perché per quel lavoro aveva occhio e non gli occorreva andare alla pesa. Ci mettemmo tutti a tavola, gli adulti a quella grande, noi ragazzi a quella piccola, usata per appoggiare le pentole e i piatti appena lavati”. (dal racconto  Il sole quieto).

Un libro della campagna veneta, impastato con la terra e con i fiumi, che ha il sapore della stagione passata, la bella stagione, quella che non tornerà più, perché riguarda il tempo dell'adolescenza e di un Veneto scomparso. 



A mio nonno Toni,
soldato, prigioniero
e contadino

Prefazione

Ne La bella stagione sono messi insieme otto racconti che hanno per protagonisti ragazzi e preadolescenti di mezzo secolo fa. Ambientati in un’area periferica e rurale che va da Limena a Villafranca a Rubano, dal Brenta al Brentella, quasi sempre nella minuscola parrocchia di Taggì di Sopra,  sullo sfondo di un Veneto in profonda trasformazione economica e sociale, questi protagonisti sono come gli ultimi testimoni della fine di una civiltà, quella contadina che, negli anni ’60 del Novecento, scomparve definitivamente senza lasciare alcuna traccia della sua millenaria esistenza. I vecchi rimanevano ancora sui campi nei loro antichi casolari bassi e umidi con la stalla sotto il portico vicino alla porta della cucina e il porcile subito dietro casa, ma i loro figli e anche le loro figlie erano già a lavorare come operai, e operaie, nelle fabbriche del paese o nei cantieri del nuovo mondo che si stava affermando.
Andare per i campi in compagnia è il divertimento preferito di questi ragazzi nei giorni d’estate e anche nei pomeriggi finita la scuola. Il tempo per loro non ha limiti e sembra quasi non esistere e lo spazio delle vicende, per quanto dilatato, non va mai oltre i poderi attorno a casa o a luoghi subito raggiungibili a piedi o in bicicletta. Una vita, la loro, vissuta all’ombra del campanile, ma carica di avvenimenti vissuti sempre insieme a coetanei della stessa contrada. Il calcio nei patronati, la pesca in ogni rigagnolo d’acqua, la sagra paesana estiva, le nuotate nei canali e nel Brenta, la maestra severa e la suora catechista, il prete onnipresente, le madri casalinghe e i padri muratori o metalmeccanici, i lavori agricoli col loro ritmo stagionale lento, i riti millenari della campagna, l’amore e la morte sono i soggetti veri attorno ai quali si sviluppano i racconti che mantengono una loro unitarietà nel tempo allora vissuto comunitariamente e nel mondo rappresentato.
C’è in ciascuno di essi come il presentimento della fine imminente di un’età vissuta a pieno e di un mondo che ha nei vecchi i suoi ultimi vinti destinati all’oblio. Finisce una stagione breve e bella della vita, finiscono i lavori di un tempo, finiscono le camminate interminabili su carrarecce e argini, finiscono i giochi antichi, finiscono fatalmente anche le amicizie.
La narrazione combina elementi verosimili insieme ad altri prettamente autobiografici ed è costruita con riferimenti a luoghi reali, a fatti accaduti e a persone esistite, anche se quasi sempre fortemente ripensate, ricomprese o trasfigurate e, proprio per questo, pur a distanza di decenni, sentite come ancor più vere.
Se per Fulvio Tomizza “Chi possiede una conoscenza integrale della realtà contadina, o si lascia vivere, e mai sentirà nulla di sublime, o è costretto a ripulirla di una parte sconveniente, e ne avrà continua nostalgia” (F. Tomizza, La miglior vita) ne La bella stagione, e non solo per ragioni anagrafiche (l’autore dei racconti non poteva, da ragazzo, coglierne la ‘parte sconveniente’, che quegli adulti, in ogni caso, raramente avrebbero lasciato trasparire), si ha come l’impressione che chi scrive  lo faccia sentendo di appartenere proprio e solo alla seconda categoria (Bruno Trevellin).

venerdì 8 marzo 2019

Pinocchio e il suo mistero


Pinocchio e il suo mistero
La nostalgia del padre, il male che affascina, la continua perdizione e la redenzione
Dal libro di Collodi a una graphic novel

Attività realizzata nella classe 1 A (gennaio-febbraio 2019)
Prof. Bruno Trevellin

Pinocchio non finisce di sorprendere. Da quando uscì, senza grandi pretese da parte dell’autore, nel lontanissimo 1883 fino a oggi continua ad attrarre lettori e a stimolare interpretazioni. Ricerche Unesco parlano di oltre 240 traduzioni![1] Anche chi ne conosce da tempo la vicenda, viene sempre catturato dalla sua lettura, e non solo da fanciullo. Proporlo in classe a ragazzi di undici anni si rivela sempre un successo, specie se vengono guidati a coglierne le valenze simboliche.

Modalità operative

1. Il testo integrale, un articoli e video nel registro elettronico
Il materiale utilizzato è stato messo a disposizione degli alunni nel registro elettronico. Innanzitutto il testo integrale nell’edizione Einaudi, ma anche video da youtube e un articolo di approfondimento di Giacomo Biffi.

2. Lettura integrale del testo
Il testo è stato letto integralmente in classe, soprattutto dall’insegnante, e a casa come attività pomeridiana durante i mesi di gennaio e di febbraio.

3. Attività svolte
Le attività prevalenti sono state di sintesi dei capitoli letti, orali e scritte, o di insiemi di capitoli o per sequenze di singoli capitoli, secondo le indicazioni del docente. In ogni caso sempre sintesi esaurienti.
Un altro tipo di attività è stata la produzione di disegni con relative didascalie esplicative del capitolo o di una sequenza dello stesso, liberamente scelta dagli alunni o assegnata dal docente.
Le attività sono state numerose, una quindicina in tutto. Anche queste realizzate in classe o per casa.

4. Film
La lettura in classe è stata accompagnata dalla visione di episodi e di scene dal film di Luigi Comencini (1972) e da quello di Roberto Benigni (2002). Episodi e scene sono stati trovati in youtube.

5. Le letture-commento di un docente, F. Nembrini

Come attività di approfondimento è stata utilizzata anche la lettura-commento di Franco Nembrini[2] (Tv2000), sempre da youtube, soprattutto per i capitoli relativi al carro guidato dall’Omino di burro che porta al Paese dei Balocchi.

L’Omino di burro viene descritto dall'autore come: «Un omino più largo che lungo, tenero e untuoso come una palla di burro, con un visino di melarosa, una bocchina che rideva sempre e una voce sottile e carezzevole, come quella d'un gatto che si raccomanda al buon cuore della padrona di casa.». È un personaggio diabolico, perverso e, talvolta, persino sadico: per punire i suoi somari recide loro le orecchie a morsi. Mentre il carro corre verso il paese dei Balocchi il cocchiere canta: "Tutti la notte dormono / e io non dormo mai..."[3].


6. Le sette verita’ fondamentali di Pinocchio secondo G. Biffi

È stato utilizzato un articolo da Avvenire per comprendere i significati simbolici dell’opera di Collodi, così come vengono presentati dal card. Giacomo Biffi[4] nella sua lettura teologica di Pinocchio[5].
1) Il mistero di un creatore che vuole essere padre
Pinocchio, creatura legnosa, origina dalle mani di chi è diverso da lui; è costruito come una cosa, ma dal suo creatore è chiamato subito figlio.
Il burattino, chiamato sorprendentemente a essere figlio, fugge dal padre. E proprio la fuga dal padre è vista come la fonte di tutte le sventure; così come il ritorno al padre è l’ideale che sorregge Pinocchio in tutti i suoi guai.
2) Il mistero del male interiore
In questo libro è acutissimo il senso del male. E il male è in primo luogo scoperto dentro il nostro cuore. Non è un puro difetto di conoscenza.
Pinocchio sa che cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l’alternativa peggiore (Vedi, c. 9: a scuola o al teatro dei burattini?; cc. 12 e 18: a casa o al campo dei miracoli col gatto e la volpe; cc. 27: a scuola o alla spiaggia a vedere il pescecane?; c. 30: dalla Fata o al Paese dei balocchi? ). Soggiace chiaramente alla narrazione di queste sconfitte la persuasione della «natura decaduta», della «libertà ferita», della incapacità dell’uomo a operare secondo giustizia.
3) Il mistero del male esteriore all’uomo
La nostra tragedia è aggravata dal fatto che sono all’opera, esteriormente a noi, le potenze del male. Nella fiaba queste forze malefiche sono rappresentate vivacemente nelle figure del Gatto e della Volpe e raggiungono il vertice della intensità artistica e della lucidità speculativa nell’Omino, corruttore mellifluo, tenero in apparenza, perfido nella realtà spaventosa e stupenda raffigurazione del nostro insonne Nemico:
«Tutti la notte dormono, e io non dormo mai» (c. 31).
4) Il mistero della mediazione redentiva
Pinocchio, interiormente debole e ferito, esteriormente insidiato da intelligenze maligne più astute di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo col padre, di riportarlo a casa, di dargli un essere nuovo.
Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è posto appunto a indicare l’esistenza di questa salvezza che è donata dall’alto e può guidare al lieto fine la tragedia della creatura ribelle.
5) Il mistero del padre, unica sorgente di libertà
La scelta di un burattino legnoso come protagonista della narrazione è anch’essa una cifra: è il simbolo dell’uomo, che è da ogni parte condizionato, che è schiavo degli oppressori prepotenti e dei persuasori occulti, che è legato a fili invisibili che determinano le sue decisioni e rendono illusoria la sua libertà.
Il senso del padre è la sola sorgente possibile della liberazione dalle molteplici, cangianti e sostanzialmente identiche tirannie che affliggono l’uomo.
6) Il mistero della trasnaturazione
Pinocchio riesce a raggiungere la sua perfetta libertà interiore e a realizzarsi perfettamente in tutte le sue virtualità soltanto quando si oltrepassa e arriva a possedere una natura più alta della sua, la stessa natura del padre. È la realizzazione sul piano dell’essere della vocazione filiale con la quale era cominciata tutta la storia.
Noi possiamo essere noi stessi soltanto se siamo più di noi stessi, per una arcana partecipazione a una vita più ricca; l’uomo che vuole essere solo uomo, si fa meno uomo.
7) Il mistero del duplice destino
La storia dell’uomo, come è concepita e narrata in questo libro, non ha un lieto fine immancabile. Gli esiti possibili sono due: se Pinocchio si sublima per la mediazione della Fata nella trasnaturazione che lo assimila al padre, Lucignolo — che non è raggiunto da nessuna potenza redentrice — s’imbestia irreversibilmente. La nostra vicenda può avere due opposti finali: o finisce in una salvezza che eccede le nostre capacità di comprensione e di attesa, o finisce nella perdizione.

7. La canzone di E. Bennato
La classe ha ascoltato anche la canzone di Edoardo Bennato Il gatto e la volpe. I ragazzi la conoscono e la cantano, pur essendo un testo uscito nel 1977. Capiscono che si tratta ancora dell’inganno e delle false promesse dei soliti due, anche se si presentano in tempi diversi, in contesti diversi e sotto altre vesti.

8. Una graphic novel finale della classe
Come ‘prodotto finale’ gli alunni sono stati invitati a realizzare un disegno con relativa didascalia, scegliendo liberamente tra i capitoli del libro, così da realizzare una sorta di graphic novel di 24 pagine (una per ciascun alunno), da pubblicare nel sito della scuola.
Prima del disegno c’è la scelta dell’episodio. Col disegno si immedesimano ancor meglio nella situazione. Più che con la scrittura. La didascalia doveva essere essenziale sì, ma esauriente. Non bastava un titolo, al limite un titolo accompagnato da un sottotitolo. Potevano scegliere qualsiasi episodio, anche se si rivelava lo stesso di un altro compagno. In ogni caso ciscuno di loro si è mostrato in grado di realizzarne una, di graphic novel, per l’intero libro.

Considerazioni finali
Gli alunni hanno mostrato di apprezzare la lettura integrale del libro e hanno sempre lavorato, tutti, con interesse alla realizzazione delle attività proposte.
Il tempo utilizzato in classe per lo svolgimento delle attività è stato di una quindicina di ore.
Vale la considerazione, altre volte sostenuta e ormai esperienza diffusa nella scuola, di andare oltre l’antologia come strumento di lavoro per arrivare alla lettura integrale di opere che, come si potrà facilmente dimostrare, attraggono di più gli alunni, facendoli lavorare con continuità e interesse, quasi scoprendo di volta in volta i contenuti proposti dal testo e riflettendo sugli stessi.
Per seguire meglio l’attività più di qualcuno si è fatto regalare il libro di Collodi.

La graphic novel della classe







[1]Collodi inizialmente pubblicò l'opera a puntate, quasi per caso e senza troppa voglia, sulla prima annata del 1881 del Giornale per i bambini diretto da Ferdinando Martini, un periodico settimanale supplemento del quotidiano Il Fanfulla, nella quale furono pubblicati i primi otto episodi. Collodi definisce il suo lavoro «una bambinata» e dice al direttore del giornale: «Fanne quello che ti pare; ma, se la stampi, pagamela bene, per farmi venire voglia di seguitarla»” (in: https://it.wikipedia.org/wiki/Le_avventure_di_Pinocchio._Storia_di_un_burattino)
[5] GIACOMO BIFFI, Contro maestro Ciliegia. Commento teologico a Le avventure di Pinocchio, Jaca Book, Milano, 1977.