lunedì 27 febbraio 2017

Occidentali’s karma. Il crollo della natalità a Limena e le ricadute sulla popolazione scolastica del futuro. Ma è suicido della Vecchia Europa



Occidentali’s karma. Il crollo della natalità a Limena e le ricadute sulla popolazione scolastica del futuro. Ma è suicido della Vecchia Europa
di Bruno Trevellin, docente

Distribuzione della popolazione limenese per età scolastica 2016 (dati Istat)
Età
Maschi
Femmine
Totale
0
32
31
63
1
29
19
48
2
32
28
60
3
35
38
73
4
46
42
88
5
45
48
93
6
48
39
87
7
46
34
80
8
40
30
70
9
46
42
88
10
40
38
78
11
44
38
82
12
42
39
81
13
37
40
77
14
41
40
81
15
58
41
99
16
46
33
79
17
49
39
88
18
51
34
85

I dati parlano da soli e dicono che il crollo delle nascite a Limena, come in tutto l’Occidente, c’è ed è preoccupante. La crescita della popolazione, che negli ultimi anni è passata dai 6858 abitanti del 2001 ai 7952 del 2015, non ha conosciuto un corrispondente incremento della natalità. I nati, che nel 2001 sono stati 99, nel 2016 sono solo 63 e l’anno prima ancor meno: 48!   
Con questi numeri nei prossimi anni a scuola avremo un numero minore di classi e correremo pure il rischio di averle ben numerose. Di sicuro non avremo bisogno di nuovi edifici scolastici, visto che saremo in difficoltà a riempire quelli attuali.


Gli ultimi giorni
Per cogliere meglio l’implosione cui stiamo andando incontro nella vecchia Europa, basta l’articolo di G. Meotti pubblicato da Il Foglio (20 marzo 2015) su un recente studio dello storico francese Michel De Jaeghere, Les derniers jours: La fin de l'Empire romain d'Occident

“L'Europa come l'Impero romano: l'implosione per il calo delle culle
La chiusura dei giardini d’occidente segnata dal calo demografico. Dati e libri a confronto
Quei razionalisti polemici di Voltaire e Gibbon attribuirono la caduta dell’Impero Romano al disfattismo ispirato dal cristianesimo, atterriti dall’immagine della chiesa dell’Aracoeli e dello sciamare sul Campidoglio di frati salmodianti. Altri sono ricorsi all’insufficienza militare, la sclerosi amministrativa, il benessere, il distacco degli animi, le diserzioni, le connivenze con gli invasori. Gli studiosi ispirati al materialismo storico, come Mazzarino e Mazza, hanno fatto risalire il crollo alla crisi monetaria, mentre i marxisti, come Gordon Childe, hanno puntato sulle contraddizioni di una società basata sulla schiavitù.
 Adesso uno storico francese, Michel De Jaeghere, nel suo libro di seicento pagine “Les derniers jours”, gli ultimi giorni, scrive che la causa della caduta dell’Impero fu l’implosione demografica. Il libro, recensito in maniera entusiastica dall’accademico francese Jean d’Ormesson, sostiene che Roma collassò, passando da un milione di abitanti ai ventimila del V secolo. Si produsse quella che Eric Dodds ha definito “un’epoca d’angoscia”. La denatalità portò alla crisi dell’amministrazione, del sistema stradale, dell’erogazione di acqua su lunghe distanze, dell’irrigazione, dei mulini; e così aumentarono la vulnerabilità alle malattie e l’emigrazione. Infine, il calo generale ridusse le capacità militari e di sicurezza dell’Impero. Dal 165 d.C., la popolazione diminuì bruscamente: un quarto degli abitanti scomparve tra il 200 e il 400, e un quarto della restante popolazione tra il 400 e il 500. E’ quella che De Jaeghere definisce “démographie du déclin”, la demografia del declino, riprendendo la tesi di un altro francese, il docente della Sorbona Pierre Chaunu che nel suo libro “Un futur sans avenir”, uscito da Calmann-Lévy, analizzò il crollo demografico del tardo Impero, il passaggio dai 55-60 milioni di abitanti dell’epoca di Augusto a 25-30 milioni. La storia della caduta dell’Impero, scrive De Jaeghere in conclusione, “è un avvertimento per noi”, ponendo in rilievo le analogie tra quell’immenso rivolgimento e il travaglio dell’occidente. Alcuni giorni fa, l’Economist ha dedicato un servizio speciale al crollo demografico della ricca e imperiale Germania. La città di Schladen-Werla, nella Bassa Sassonia, è uno dei centri urbani tedeschi entrati nella “spirale del diavolo”, come l’ha definita il sindaco Andreas Memmert. La città perderà un terzo della popolazione entro il 2030. Scrive l’Economist che nel 2060 i tedeschi saranno scesi di un quinto della popolazione totale. Dagli attuali 47 milioni di abitanti, la Spagna è destinata a passare a 35 milioni in trent’anni. E l’Italia è in pieno suicidio demografico. La burocrazia che si estende in modo incontrollabile, le ville dei senatori egoisti e oziosi, i fragori degli scontri religiosi e razziali scorrono ammonitori fra le belle pagine di De Jaeghere, costantemente tenendo di mira il presente, la nostra abulia, il nostro cedimento interiore”.
Forse il brano di Francesco Gabbani, Occidentali’s Karma, vincitore dell’ultimo San Remo vuole parlarci anche questo: del suicidio dell’Occidente.



domenica 26 febbraio 2017

Un verso al giorno (a memoria) toglie l’Alzhemimer di torno. E se tornassimo ad imparare le poesie a memoria? I consigli di Pennac, Eco e Calvino



Un verso al giorno (a memoria) toglie l’Alzhemimer di torno.
E se tornassimo ad imparare le poesie a memoria? I consigli di Pennac, Eco e Calvino
di Bruno Trevellin, docente


Il morbo infuria/il pan ci manca/sul ponte sventola/bandiera bianca, sentivo recitare spesso da mio padre, con passione e con competenza (mio padre si prese la licenza elementare a quarant’anni!). Conosco, però, anche tante altre persone ‘di una certa età’ che sanno a memoria poesie di Leopardi, di Pascoli, di Carducci, canti della Divina Commedia, l’Addio di Lucia ai suoi monti, il monologo Essere o non essere di Shakespeare, il Cinque Maggio. Persone che non sono docenti di Lettere o appassionati imitatori di Benigni. Persone con una cultura letteraria semplice o poco istruite ma colte, come mia madre -che non ha finito le elementari- e che, a quasi ottant’anni, sa ancora recitare la Cavallina storna e X Agosto.
Certo, quando propongo ai miei studenti di imparare a memoria una poesia, ricevo come prima reazione il loro gran rifiuto. Ma nel giorno fissato per la recita sono pochissimi quelli che non l’hanno imparata bene, anche tra i Bes. E ovviamente c’è il voto, che loro stessi pretendono come gratificazione per la loro fatica e riconoscimento per la loro bravura (‘abilità’ sarebbe il termine più propriamente scolastico). Non solo, riescono pure a giudicare chi la sa dire meglio di un altro! E quando le poesie le recito io in classe, la loro domanda, stupita, è sempre: “Ma la sa a memoria, professore?”.
So di non essere l’unico insegnante che ‘tortura’ così i propri studenti, ma coltivo anch’io la speranza che sia un’attività utile e bella. E poi trovo conforto in grandi scrittori che sulla questione possono essere più autorevoli e più credibili di me. Tra questi Pennac, Eco e Calvino, dei quali riporto, a mio sostegno, alcuni loro testi e affermazioni.

Daniel Pennac racconta di aver insegnato ai suoi alunni un testo a memoria a settimana, facendoli appassionare alla qualità dei brani scelti: dal contenuto alle competenze e non viceversa


D. Pennac, in Diario di scuola, mostra come le competenze siano secondarie rispetto al contenuto, rispetto a ciò che si studia. Solo quando un brano merita e appassiona, ha senso impararlo a memoria, anzi saperlo ripetere vuol dire, in fondo, imparare a parlare ed essere in grado di capire il mondo.
«E perché non imparare questi testi a memoria? In nome di che cosa non appropriarsi della letteratura? Forse perché non si fa più da tanto tempo? Vorremmo lasciare volar via pagine simili come foglie morte solo perché non è più stagione? È davvero auspicabile non trattenere simili incontri? Se questi testi fossero persone, se queste pagine eccezionali avessero volti, dimensioni, una voce, un sorriso, un profumo, non passeremmo il resto della vita a morderci le mani per averli lasciati scappare via? Perché condannarci a conservarne solo una traccia che sbiadirà fino a essere solo il ricordo di una traccia... In nome di quale principio, questo scempio? Unicamente perché i professori di una volta erano noti per farci recitare poesie spesso idiote e perché agli occhi di alcuni vecchi rimbambiti la memoria era più un muscolo da allenare che una biblioteca da arricchire?
(…) Mi si obietterà che una mente organizzata non ha alcun bisogno di imparare a memoria… Nell'epoca in cui la memoria si misura in giga!
Tutto questo è vero, ma l'essenziale è altrove.
Imparando a memoria, non supplisco a nulla, aggiungo a tutto.
La memoria, qui, entra nel cuore della lingua.
Tuffarsi nella lingua, è questo che conta
.
E se tuffandomi bevo, poi mi rituffo lo stesso.
Facendo imparare a memoria tanti testi ai miei allievi, dalla prima media all'ultimo anno delle superiori (uno per ogni settimana dell'anno scolastico e ciascuno da saper recitare tutti i giorni dell'anno), li gettavo vivi nel grande fiume della lingua, quello che scorre lungo i secoli per venire a bussare alla nostra porta e ad attraversare la nostra casa. Certo che recalcitravano, le prime volte! Immaginavano che l'acqua fosse troppo fredda, troppo profonda, la corrente troppo forte, loro di costituzione troppo debole. Legittimo! La classica strizza da trampolino:

"Non ci riuscirò mai!"
.
"Non ho memoria."

(Tirar fuori una scusa del genere con me, uno smemorato dalla nascita!)

"È troppo lunga!"
"È troppo difficile!"

(A me, l'ex deficiente di turno!)

"E poi i versi non è come si parla oggi!"
(Ah! Ah! Ah!)

"Ci dà il voto, prof?"
(Eccome!)

Senza contare le proteste della maturità vilipesa:

"Imparare a memoria? Non siamo più dei bebè!".
"Mica sono un pappagallo!"

Giocavano il tutto e per tutto, lealmente. E, sostanzialmente, dicevano quelle cose perché le sentivano dire. Dai genitori stessi, a volte, genitori sommamente evoluti: "Ma come, professor Pennacchioni, fa studiare i testi a memoria? Mio figlio non è più un bambino!". Suo figlio, cara signora, sarà sempre un bambino, un figlio della lingua, e anche lei un piccolo bebè, e io un ridicolo marmocchio, e tutti quanti noi minutaglia trascinata dal grande fiume scaturito dalla sorgente orale delle Lettere, e suo figlio vorrà sapere in quale lingua nuota, che cosa lo tiene a galla, lo disseta e lo nutre, e vorrà farsi lui stesso portatore di tale bellezza, e con quale orgoglio!(…)
Pennac racconta che da insegnante di scuole con ragazzi appartenenti a famiglie non colte esige - dopo aver appassionato alla cosa - la memorizzazione di un testo a settimana:  
«Un testo alla settimana, quindi, che dovevamo essere in grado di recitare ogni giorno dell'anno, senza preavviso, tanto loro quanto io. E numerati, per complicare la difficoltà. Prima settimana, testo n° 1. Seconda settimana, testo n° 2. Ventitreesima settimana, testo n° 23 . Tutte le apparenze di un meccanismo idiota, ma quei numeri a mo' di titoli erano un gioco, per aggiungere il piacere del caso all'orgoglio del sapere».
Il gusto di memorizzare viene però sempre dopo il gusto di aver capito l’autore, il gusto di aver intuito la segreta grandezza di un pensiero che fa crescere se ci si confronta con esso. Sempre prima il contenuto delle competenze!
«Appena capivano ciò che leggevano, scoprivano le loro capacità mnemoniche, e spesso, prima della fine della lezione, un buon numero di loro recitava il testo per intero, riuscendo a coprire un'intera vasca senza l'aiuto del maestro di nuoto. Cominciavano a godersi la loro memoria. Non se lo aspettavano. Era come la scoperta di una funzione nuova, come se fossero spuntate loro le branchie. Stupiti di ricordare così in fretta, ripetevano il testo una seconda, una terza volta, senza intoppi. Poiché, una volta eliminata l'inibizione, capivano ciò di cui si ricordavano. Non si limitavano a recitare una successione di parole, non era solo la loro memoria a risvegliarsi, ma anche la loro intelligenza della lingua, la lingua di un altro, il pensiero di un altro. Non recitavano Emilio, bensì restituivano il ragionamento di Rousseau. Orgoglio. Non che in quei momenti tu ti creda Rousseau, ma l'intuizione imprecatoria di Jean-Jacques si esprime attraverso la tua bocca!».
All’amore per i testi viene dietro la competenza. Pennac si stupisce di scoprire che, senza averlo suggerito, i suoi alunni cominciano a giocare con i testi ed a padroneggiarli al punto da saperli incrociare o recitare alla rovescia:
«A volte giocavano. Si esercitavano insieme, facevano gare di velocità oppure recitavano il testo con un tono estraneo alla sua natura: il furore, la sorpresa, la paura, il balbettamento, l'eloquenza politica, la passione amorosa; di tanto in tanto l'uno o l'altro imitava il presidente di turno, un ministro, un cantante, un conduttore del telegiornale (…)


Caro nipotino mio, non vorrei che questa lettera natalizia suonasse troppo deamicisiana, ed esibisse consigli circa l’amore per i nostri simili, per la patria, per il mondo, e cose del genere. Non vi daresti ascolto e, al momento di metterla in pratica (tu adulto e io trapassato) il sistema di valori sarà così cambiato che probabilmente le mie raccomandazioni risulterebbero datate. Quindi vorrei soffermarmi su una sola raccomandazione, che sarai in grado di mettere in pratica anche ora, mentre navighi sul tuo iPad, né commetterò l’errore di sconsigliartelo, non tanto perché sembrerei un nonno barbogio ma perché lo faccio anch’io. Al massimo posso raccomandarti, se per caso capiti sulle centinaia di siti porno che mostrano il rapporto tra due esseri umani, o tra un essere umano e un animale, in mille modi, cerca di non credere che il sesso sia quello, tra l’altro abbastanza monotono, perché si tratta di una messa in scena per costringerti a non uscire di casa e guardare le vere ragazze. Parto dal principio che tu sia eterosessuale, altrimenti adatta le mie raccomandazioni al tuo caso: ma guarda le ragazze, a scuola o dove vai a giocare, perché sono meglio quelle vere che quelle televisive e un giorno ti daranno soddisfazioni maggiori di quelle on line. Credi a chi ha più esperienza di te (e se avessi guardato solo il sesso al computer tuo padre non sarebbe mai nato, e tu chissà dove saresti, anzi non saresti per nulla). Ma non è di questo che volevo parlarti, bensì di una malattia che ha colpito la tua generazione e persino quella dei ragazzi più grandi di te, che magari vanno già all’università: la perdita della memoria. È vero che se ti viene il desiderio di sapere chi fosse Carlo Magno o dove stia Kuala Lumpur non hai che da premere qualche tasto e Internet te lo dice subito. Fallo quando serve, ma dopo che lo hai fatto cerca di ricordare quanto ti è stato detto per non essere obbligato a cercarlo una seconda volta se per caso te ne venisse il bisogno impellente, magari per una ricerca a scuola. Il rischio è che, siccome pensi che il tuo computer te lo possa dire a ogni istante, tu perda il gusto di mettertelo in testa. Sarebbe un poco come se, avendo imparato che per andare da via Tale a via Talaltra, ci sono l’autobus o il metro che ti permettono di spostarti senza fatica (il che è comodissimo e fallo pure ogni volta che hai fretta) tu pensi che così non hai più bisogno di camminare. Ma se non cammini abbastanza diventi poi “diversamente abile”, come si dice oggi per indicare chi è costretto a muoversi in carrozzella. Va bene, lo so che fai dello sport e quindi sai muovere il tuo corpo, ma torniamo al tuo cervello. La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi (dal punto di vista mentale) diversamente abile e cioè (parliamoci chiaro) un idiota. E inoltre, siccome per tutti c’è il rischio che quando si diventa vecchi ci venga l’Alzheimer, uno dei modi di evitare questo spiacevole incidente è di esercitare sempre la memoria. Quindi ecco la mia dieta. Ogni mattina impara qualche verso, una breve poesia, o come hanno fatto fare a noi, “La Cavallina Storna” o “Il sabato del villaggio”. E magari fai a gara con gli amici per sapere chi ricorda meglio. Se non piace la poesia fallo con le formazioni dei calciatori, ma attento che non devi solo sapere chi sono i giocatori della Roma di oggi, ma anche quelli di altre squadre, e magari di squadre del passato (figurati che io ricordo la formazione del Torino quando il loro aereo si era schiantato a Superga con tutti i giocatori a bordo: Bacigalupo, Ballarin, Maroso eccetera). Fai gare di memoria, magari sui libri che hai letto (chi era a bordo della Hispaniola alla ricerca dell’isola del tesoro? Lord Trelawney, il capitano Smollet, il dottor Livesey, Long John Silver, Jim…) Vedi se i tuoi amici ricorderanno chi erano i domestici dei tre moschettieri e di D’Artagnan (Grimaud, Bazin, Mousqueton e Planchet)… E se non vorrai leggere “I tre moschettieri” (e non sai che cosa avrai perso) fallo, che so, con una delle storie che hai letto. Sembra un gioco (ed è un gioco) ma vedrai come la tua testa si popolerà di personaggi, storie, ricordi di ogni tipo. Ti sarai chiesto perché i computer si chiamavano un tempo cervelli elettronici: è perché sono stati concepiti sul modello del tuo (del nostro) cervello, ma il nostro cervello ha più connessioni di un computer, è una specie di computer che ti porti dietro e che cresce e s’irrobustisce con l’esercizio, mentre il computer che hai sul tavolo più lo usi e più perde velocità e dopo qualche anno lo devi cambiare. Invece il tuo cervello può oggi durare sino a novant’anni e a novant’anni (se lo avrai tenuto in esercizio) ricorderà più cose di quelle che ricordi adesso. E gratis. C’è poi la memoria storica, quella che non riguarda i fatti della tua vita o le cose che hai letto, ma quello che è accaduto prima che tu nascessi. Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove. Ora la scuola (oltre alle tue letture personali) dovrebbe insegnarti a memorizzare quello che è accaduto prima della tua nascita, ma si vede che non lo fa bene, perché varie inchieste ci dicono che i ragazzi di oggi, anche quelli grandi che vanno già all’università, se sono nati per caso nel 1990 non sanno (e forse non vogliono sapere) che cosa era accaduto nel 1980 (e non parliamo di quello che è accaduto cinquant’anni fa). Ci dicono le statistiche che se chiedi ad alcuni chi era Aldo Moro rispondono che era il capo delle Brigate Rosse - e invece è stato ucciso dalle Brigate Rosse. Non parliamo delle Brigate Rosse, rimangono qualcosa di misterioso per molti, eppure erano il presente poco più di trent’anni fa. Io sono nato nel 1932, dieci anni dopo l’ascesa al potere del fascismo ma sapevo persino chi era il primo ministro ai tempi dalla Marcia su Roma (che cos’è?). Forse la scuola fascista me lo aveva insegnato per spiegarmi come era stupido e cattivo quel ministro (“l’imbelle Facta”) che i fascisti avevano sostituito. Va bene, ma almeno lo sapevo. E poi, scuola a parte, un ragazzo d’oggi non sa chi erano le attrici del cinema di venti anni fa mentre io sapevo chi era Francesca Bertini, che recitava nei film muti venti anni prima della mia nascita. Forse perché sfogliavo vecchie riviste ammassate nello sgabuzzino di casa nostra, ma appunto ti invito a sfogliare anche vecchie riviste perché è un modo di imparare che cosa accadeva prima che tu nascessi. Ma perché è così importante sapere che cosa è accaduto prima? Perché molte volte quello che è accaduto prima ti spiega perché certe cose accadono oggi e in ogni caso, come per le formazioni dei calciatori, è un modo di arricchire la nostra memoria. Bada bene che questo non lo puoi fare solo su libri e riviste, lo si fa benissimo anche su Internet. Che è da usare non solo per chattare con i tuoi amici ma anche per chattare (per così dire) con la storia del mondo. Chi erano gli ittiti? E i camisardi? E come si chiamavano le tre caravelle di Colombo? Quando sono scomparsi i dinosauri? L’arca di Noè poteva avere un timone? Come si chiamava l’antenato del bue? Esistevano più tigri cent’anni fa di oggi? Cos’era l’impero del Mali? E chi invece parlava dell’Impero del Male? Chi è stato il secondo papa della storia? Quando è apparso Topolino? Potrei continuare all’infinito, e sarebbero tutte belle avventure di ricerca. E tutto da ricordare. Verrà il giorno in cui sarai anziano e ti sentirai come se avessi vissuto mille vite, perché sarà come se tu fossi stato presente alla battaglia di Waterloo, avessi assistito all’assassinio di Giulio Cesare e fossi a poca distanza dal luogo in cui Bertoldo il Nero, mescolando sostanze in un mortaio per trovare il modo di fabbricare l’oro, ha scoperto per sbaglio la polvere da sparo, ed è saltato in aria (e ben gli stava). Altri tuoi amici, che non avranno coltivato la loro memoria, avranno vissuto invece una sola vita, la loro, che dovrebbe essere stata assai malinconica e povera di grandi emozioni. Coltiva la memoria, dunque, e da domani impara a memoria “La Vispa Teresa”.

Italo Calvino consiglia: "IMPARARE DELLE POESIE A MEMORIA" 


 Molti anni fa Italo Calvino in una intervista televisiva, al giornalista che gli chiedeva "tre chiavi, tre talismani per gli anni 2000", rispose, con quelle sue pause lunghe, meditate:
Imparare delle poesie a memoria... molte poesie a memoria, da bambini, da giovani, anche da vecchi ...perchè quelle fanno compagnia, uno se le ripete mentalmente ... e poi lo sviluppo della memoria e molto importante... anche fare dei calcoli a mano, delle divisioni delle estrazioni di radici quadrate... cose molto complicate... combattere l'astrattezza del linguaggio che ci viene imposto con delle cose molto precise... e sapere che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all'altro...