martedì 19 giugno 2018


Umberto Saba e Trieste: poesie da Il Canzoniere
Attività realizzata nella classe 3 A. a. s. 2017-18 (prof. Bruno Trevellin)



Le poesie da Il Canzoniere, lette e studiate in classe

Glauco
La capra
A mia figlia
Trieste
Città vecchia
Tre vie
Ed amai nuovamente…
Ritratto della mia bambina
Tre poesie alla mia balia (1. Mia figlia / mi tiene... 2. Insonne / mi levo...3. Un grido / s’alza...)
Mio padre…
A mia moglie
Ulisse
Goal
Squadra paesana




GLAUCO


Glauco, un fanciullo dalla chioma bionda,
dal bel vestito di marinaretto,
e dall’occhio sereno, con gioconda
voce mi disse, nel natìo dialetto:

“Umberto, ma perché senza un diletto
tu consumi la vita, e par nasconda
un dolore o un mistero ogni tuo detto?
Perché non vieni con me sulla sponda

Del mare, che in sue azzurre onde c’invita?
Qual è il pensiero che non dici, ascoso,
e che da noi, così a un tratto, t’invola?

Tu non sai come sia dolce la vita
Agli amici che fuggi, e come vola
A me il mio tempo, allegro e immaginoso.

La capra

Ho parlato a una capra
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
alla pioggia, belava.
Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perchè il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
"Trieste e una donna"

Umberto Saba nasce a Trieste e qui trascorre la sua vita: Trieste è la sua città, come la moglie Lina è la sua donna. Il poeta le accomuna nello stesso amore, come spiega in Storia e cronistoria del Canzonieree a loro dedica versi stupendi:

[…] la città e la donna assumono per la prima volta i loro inconfondibili aspetti; e sono amate appunto per quello che hanno di proprio e di inconfondibile. Trieste è la prima poesia di Saba che testimoni della sua volontà precisa di cantare Trieste proprio in quanto Trieste e non solo in quanto città natale.

Ed amai nuovamente…
Da: Autobiografia

Ed amai nuovamente; e fu di Lina
dal rosso scialle il più della mia vita.
Quella che cresce accanto a noi, bambina
dagli occhi azzurri, è dal suo grembo uscita.

Trieste è la città, la donna è Lina,
per cui scrissi il mio libro di più ardita
sincerità; né dalla sua fu fin ad oggi mai l'anima partita.

Ogni altro conobbi umano amore;
ma per Lina torrei di nuovo un'altra
vita, di nuovo vorrei cominciare.

Per l'altezze l'amai del suo dolore;
perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra,
e tutto seppe, e non se stessa, amare.

Trieste
Da: Trieste e una donna

Ho attraversata tutta la città.
Poi ho salita un’erta
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima una casa, l'ultima, s'aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un'aria strana, un'aria tormentosa,
l'aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva


Della raccolta Trieste e una donna fa parte anche la poesia Città vecchia a cui si è ispirato il cantautore Fabrizio De André comporre una famosa canzone che porta lo stesso titolo.

Città vecchia
Da: Trieste e una donna, 1910-12)

Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.


In Storia e cronistoria del Canzoniere, Saba scrive:

Città vecchia è una delle poesie più intense e rivelatrici di Saba. Forte è in lui il bisogno innato di fondere la sua vita a quella delle creature più umili ed oscure

Tre vie  
C’è a Trieste una via dove mi specchio
nei lunghi giorni di chiusa tristezza;
si chiama Via del Lazzaretto Vecchio.
Tra case come ospizi antiche uguali,
ha una nota, una sola, d’allegrezza;
il mare in fondo alle sue laterali.
Odorata di droghe e di catrame
dai magazzini desolati a fronte,
fa commercio di reti, di cordame
per le navi: un negozio ha per insegna
una bandiera; nell’interno, volte
contro il passante, che raro le degna
d’uno sguardo, coi volti esangui e proni
sui colori di tutte le nazioni,
le lavoranti scontano la pena
della vita: innocenti prigioniere
cuciono tetre le allegre bandiere.

A Trieste ove son tristezze molte,
e bellezze di cielo e di contrada,
c’è un’erta che si chiama Via del Monte.
Incomincia con una sinagoga,
e termina ad un chiostro; a mezza strada
ha una cappella; indi la nera foga
della vita scoprire puoi da un prato,
e il mare con le navi e il promontorio,
e la folla e le tende del mercato.

Pure, a fianco dell’erta, è un camposanto
abbandonato, ove nessun mortorio
entra, non si sotterra più, per quanto
io mi ricordi: il vecchio cimitero
degli ebrei, così caro al mio pensiero,
se vi penso ai miei vecchi, dopo tanto
penare e mercatare, là sepolti,
simili tutti d’animo e di volti.

Via del Monte è la via dei santi affetti,
ma la via della gioia e dell’amore
è sempre Via Domenico Rossetti.
Questa verde contrada suburbana,
che perde dì per dì del suo colore,
che è sempre più città, meno campagna,
serba il fascino ancora dei suoi belli
anni, delle sue prime ville, sperse,
dei suoi radi filari d’alberelli.

Chi la passeggia in queste ultime sere
d’estate, quando tutte sono aperte
le finestre, e ciascuna è un belvedere,
dove agucchiando o leggendo si aspetta,
pensa che forse qui la sua diletta
rifiorirebbe all’antico piacere
di vivere, di amare lui, lui solo;
e a più rosea salute il suo figliolo.

A MIA FIGLIA
Mio tenero germoglio,
che non amo perché sulla mia pianta
sei rifiorita, ma perché sei tanto
debole e amore ti ha concesso a me;
o mia figliola, tu non sei dei sogni
miei la speranza; e non più che per ogni
altro germoglio è il mio amore per te.
La mia vita mia cara
bambina,
è l’erta solitaria, l’erta chiusa
dal muricciolo,
dove al tramonto solo
siedo, a celati miei pensieri in vista.
Se tu non vivi a quei pensieri in cima,
pur nel tuo mondo li fai divagare;
e mi piace da presso riguardare
la tua conquista.
Ti conquisti la casa a poco a poco,
e il cuore della tua selvaggia mamma.
Come la vedi, di gioia s’infiamma
la tua guancia, ed a lei corri dal gioco.
Ti accoglie in grembo una sì bella e pia
Mamma, e ti gode. E il suo vecchio amore oblia.
Ritratto della mia bambina

La mia bambina con la palla in mano,
con gli occhi grandi colore del cielo
e dell’estiva vesticciola: "Babbo
-mi disse – voglio uscire oggi con te
"

Ed io pensavo: Di tante parvenze 
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo
 alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti 
e il vento sperde;

anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti.

Goal
Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

La folla- unita ebbrezza - per trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.

Pochi momenti come questo belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.

Presso la rete inviolata il portiere
- l’altro - è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa - egli dice - anch’io son parte.

Squadra Paesana


Anch'io tra i molti vi saluto, rosso-
alabardati,
sputati
dalla terra natia, da tutto un popolo
amati.
Trepido seguo il vostro gioco.
Ignari
esprimete con quello antiche cose
meravigliose
sopra il verde tappeto, all'aria, ai chiari
soli d'inverno.

Le angoscie

che imbiancano i capelli all'improvviso,
sono da voi così lontane! La gloria
vi dà un sorriso
fugace: il meglio onde disponga. Abbracci
corrono tra di voi, gesti giulivi.

Giovani siete, per la madre vivi;

vi porta il vento a sua difesa. V'ama
anche per questo il poeta, dagli altri
diversamente - ugualmente commosso.


Tre poesie alla mia balia


Da: Il piccolo Berto
 In queste poesie Saba rievoca la figura della balia, Peppa Sabaz, la sua dolcezza, il grande affetto che li legava e lo straziante dolore per la loro separazione:

 Mia figlia
mi tiene il braccio intorno al collo, ignudo;
ed io alla sua carezza m' addormento.
Divento
legno in mare caduto che sull’onda
galleggia. E dove alla vicina sponda
anelo, il flutto mi porta lontano.
Oh, come sento che lottare è vano!
Oh, come in petto per dolcezza il cuore
vien meno!
Al seno
approdo di colei che Berto ancora
mi chiama, al primo, all’amoroso seno,
ai verdi paradisi dell’infanzia




Insonne
mi levo all’alba. Che farà la mia
vecchia nutrice? Posso forse ancora
là ritrovarla, nel suo negozietto?
Come vive, se vive? E a lei m'affretto,
pure una volta, con il cuore ansante.
Eccola : è viva; in piedi dopo tante
vicende e tante stagioni. Un sorriso
illumina, a vedermi, il volto ancora
bello per me, misterioso. È l'ora
a lei d'aprire. Ad aiutarla accorso
scalzo fanciullo, del nativo colle tutto
improntato, la persona china
leggera, ed alza la saracinesca.
Nella rosata in cielo e in terra fresca
mattina io ben la ritrovavo. E sono
a lei d'allora. Quel fanciullo io sono
che a lei spontaneo soccorreva; immagine
di me, d' uno di me perduto...

...Un grido
s'alza il bimbo sulle scale. E piange
anche la donna che va via. Si frange
per sempre un cuore in quel momento.
Adesso
sono passati quarant'anni.
 Il bimbo
è un uomo adesso, quasi un vecchio, esperto
di molti beni e molti mali. È Umberto
Saba quel bimbo. E va, di pace in cerca,
a conversare colla sua nutrice;
che anch'ella fu di lasciarlo infelice,
non volontaria lo lasciava. Il mondo
fu a lui sospetto d'allora, fu sempre
(o tale almeno gli parve) nemico.
 Appeso al muro è un orologio antico
così che manda un suono quasi morto.
Lo regolava nel tempo felice
il dolce balio; è un caro a lui conforto
regolarlo in suo luogo. Anche gli piace
a sera accendere il lume, restare
da lei gli piace, fin ch'ella gli dice:
"È tardi. Torna da tua moglie, Berto".

Mio padre
da Canzoniere, “Autobiografia” (1924)
  


Mio padre è stato per me “l’assassino”;,
fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.
Allora ho visto ch’egli era un bambino,
e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.

Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
Andò sempre pel mondo pellegrino;
più d’una donna l’ha amato e pasciuto.



Egli era gaio e leggero; mia madre
tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un pallone.

“Non somigliare - ammoniva - a tuo padre”:
ed io più tardi in me stesso lo intesi:
Eran due razze in antica tenzone.

A mia moglie 


Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell'andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull'erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio,
Così, se l'occhio, se il giudizio mio
non m'inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun'altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.

Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
se l'incontri e muggire
l'odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l'erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t'offro quando sei triste.

Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d'un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.

Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l'angusta
gabbia ritta al vederti
s'alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?

Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest'arte.

Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un'altra primavera.

Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l'accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun'altra donna.
Ulisse
Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d'onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d'alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l'alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.


 Documentario su Saba  in youtube
https://www.youtube.com/watch?v=M3vEmkrB9t4

Un esempio di relazione finale sul lavoro svolto
Nell'ultimo periodo in classe abbiamo lavorato su alcune delle poesie di Umberto Saba.
Nella raccolta delle poesie, chiamata Il canzoniere, i testi sono dedicati a Trieste, alla figlia, alla moglie e alla balia che è stata una persona molto importante e significativa nel corso della sua vita.
Umberto Saba è nato a Trieste nel 1883 ed è morto a Gorizia 1957. Il suo vero cognome però è Poli e alcuni ricercatori e studiosi sostengono che lo pseudonimo Saba sia stato ripreso dal cognome della balia: Peppa Sabaz.
Saba ha avuto una vita difficile: è stato abbandonato dal padre e la madre, essendo da sola, doveva dedicare il suo tempo al lavoro per mantenere la famiglia.
Non potendo allattare il piccolo, decise di affidarlo alla balia Peppa Sabaz con la quale il futuro poeta instaurò un rapporto molto forte, come quello tra madre e figlio.
All'età di tre anni, dice Saba, sono iniziate le sofferenze della sua vita, quando arrivò il momento di staccarsi da Peppa.
Questo distacco fu per lui un trauma, il dolore che lo segnò per il resto della vita. La andava spesso a trovare e quando morì il marito di lei, il balio, si sostituì a lui in alcuni gesti quotidiani: sistemare l'orologio di casa, accendere il lume.
Aveva un rapporto davvero molto forte con lei tanto che decise di dedicarle tre poesie; una parla del dolore provato quando si dovettero separare, un'altra del loro rapporto amoroso e dell'affetto che provava nei suoi confronti, l'ultima di quando continuava ad andare a farle visita, anche dopo la loro separazione.
Peppa aveva perso un figlio prima che potesse nascere, era ancora in grembo e forse è per questo che il rapporto con Umberto Saba si è fatto ancora più forte.
Una poesia, quella che secondo Umberto Saba è la più bella che ha scritto, è dedicata alla moglie Lina.
All'inizio la moglie non la prese proprio bene e pensava fosse uno scherzo, in quanto la poesia la paragonava ad animali domestici (una cagna, una pollastra bianca, una coniglia).
In fondo ad ogni animale in realtà c'è l'aspetto più positivo di esso che rispecchiava la moglie (sono sereni animali che avvicinano a Dio).
Per esempio la cagna con i suoi occhi dolci, si mostra fedele e gelosa del proprio padrone a cui dimostra molto affetto.
O la coniglia che per fare un nido ai propri cuccioli si strappa il pelo di dosso.
In una poesia dedicata alla figlia descrive la sensazione che si prova vedendola crescere, quasi come se la vedesse scappargli troppo in fretta.
Uno dei primi testi su cui abbiamo lavorato è "Tre vie", ognuna di esse rappresenta qualcosa di Trieste.
La prima via che descrive è Via del Lazzaretto Vecchio dove si trova la tristezza, dove tutto è cupo e strano.
La seconda è Via del Monte, quella degli affetti familiari, la più bella.
La terza è la Via Domenico Rossetti, la via dell’amore, dove ogni finestra è un belvedere.
Un’altra delle poesie che abbiamo visto e che mi ricordo è quella intitolata "Glauco".
Glauco nella poesia è un ragazzo, suo amico, che fa delle domande ad Umberto riguardanti il perchè non riesce a vivere la vita con semplicità e felicità.
Questo lavoro è stato impegnativo ma interessante e coinvolgente.
Umberto Saba con le sue poesie è riuscito a farmi capire cose della vita che non avevo ancora colto.
(relazione di Samantha, 3 A, 2017)



Il canzoniere


Umberto Saba (Trieste 1883 - Gorizia 1957)

In uno stile semplice ma raffinato la sua poesia aderisce agli umili aspetti della realtà familiare della vita triestina. Le poesie sono raccolte nel Canzoniere (1900-45) e in Mediterranee e le prose in Scorciatoie e raccontini (1946); l'opera Storia e cronistoria del Canzoniere (1948) costituisce il miglior commento e la più sincera testimonianza della sua arte. Il mondo poetico pieno di malinconia e di triste saggezza e la sincerità e innocenza della sua lirica collocano Saba tra i più importanti autori del nostro Novecento.


Il canzoniere (Raccolta poetica)

ll canzoniere di Saba, pubblicato nel 1948, è opera poetica senza interruzioni, concepita come un lungo poema, sulla linea di un'autobiografia che lega indissolubilmente ogni evento lirico e fornisce quindi la trama della evoluzione artistica ed esistenziale del poeta. La formazione culturale dell'autore non è facilmente inquadrabile in un profilo storico della letteratura italiana, in quanto egli rimase sempre piuttosto estraneo alle correnti dominanti, libero da facili suggestioni e da superficiali adesioni, teso al contrario verso la personale elaborazione dei propri ritmi poetici. Il suo travaglio artistico infatti si è venuto svolgendo in modo quasi segreto, minuzioso, costante, deciso nel netto rifiuto di avanguardie e retroguardie poetiche. La lettura del Canzoniere mostra inequivocabilmente in Saba la propensione alla cura assidua e tenace dell'espressione poetica, la scrupolosa ricerca introspettiva, la grande onestà umana. L'evocazione degli oggetti è pervasa da una costante affettuosità, come se la realtà racchiudesse sempre gli spunti e le occasioni per la elaborazione poetica. Nascono così i grandi temi della poesia di Saba: il dolore e il conforto. Attraverso una estenuante ricerca nella realtà circostante, il poeta assimila con solidarietà la sofferenza che è negli uomini, nella natura, nelle cose, ne rimane coinvolto, tenta un chiarimento e restituisce un personalissimo discorso poetico.

Autobiografismo, quindi, ma purificato da ogni sovrastruttura individualistica, perchè inevitabilmente coinvolto nel dolore comune, teso a riassumere liricamente e in modo autentico la condizione umana. Si può affermare con il critico De Robertis che in Saba "la ricerca poetica tende a diventare "moralità", a raggiungere insomma il vertice di un'unità universale uguale per tutti, in quanto avvertita da tutti". L'esperienza drammatica della guerra provoca nel poeta una partecipazione ancora maggiore alla tragedia umana e dal Canzoniere, sia pure nella unitarietà di temi e di forme che lo caratterizzano, traspare questa insanabile frattura. "Negli anni posteriori alla tragedia europea Saba avrà saputo, avrà dovuto - avverte il critico Manacorda - armare il suo linguaggio anche dell'invettiva più aspra e tagliente che sarà tuttavia non la negazione dell'antico ideale di comprensione e di amore tra gli uomini, ma la sua sublimazione dopo l'esperienza della guerra e della persecuzione scatenata da chi rifiutava l'etica della fratellanza".

La poesia diventa allora più tormentata nella introspezione, tesa a scavare nel profondo, a penetrare lucidamente i tratti del male di vivere. Il dolore è per Saba ormai una condizione ineliminabile per l'umana esistenza, non può certo essere placato dalle parole e dalle emozioni liriche. Resta la concentrazione del poeta nella volontà di scoprire la vena più nascosta dell'amore per gli altri, nel rintracciare ancora una volta, nella realtà, le motivazioni dell'agire e le ragioni del cuore. Tutto questo alla luce di una commozione sempre trattenuta e di una coscienza onesta e attenta a seguire, come afferma il critico Carlo Bo, "la sua naturale umanità, che è qualcosa di molto diverso dalle altre umanità programmate dagli scrittori, e assomiglia piuttosto a un tentativo di denudamento insensibile, con la speranza di arrivare a un discorso diverso tra gli uomini, non più basato sulle facoltà di potere ma sull'umiltà, sulla semplicità, sulla pietà".

Attività nella classe
-          Leggere, comprendere, parafrasare, commentare, confrontare
-          Imparare a memoria
-          Scrivere testi poetici imitando l’autore




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