Poeti e poesie nelle parlate del
Nord-Est
Le chiamano dialetti, ma sono le
lingue preferite da Zanzotto, Pasolini, Marin, Noventa, Mate Balota
Attività realizzata nella classe 3 A, a. s. 2017-18 (prof. Bruno Trevellin)
Andrea
Zanzotto
Andrea
Zanzotto nasce nel 1921 a Pieve di Soligo, un piccolo paese in
provincia di Treviso. Il padre è un pittore e decoratore, cattolico e
socialista; la famiglia della madre possiede una bottega di calzature. Zanzotto
frequenta le scuole magistrali e poi consegue la maturità classica da
privatista in un liceo di Treviso. Scrittore e lettore dotato fin dalla tenera
età, si iscrive alla facoltà di Lettere di Padova. Si laurea nel 1942 e l’anno
successivo viene chiamato alle armi. Dopo l’armistizio torna in Veneto e si
unisce alla Resistenza. Nel 1963
ottiene un posto nella scuola media di
Pieve di Soligo, dove insegnerà fino alla metà degli anni Settante. Il
1951 è l’anno del suo libro d’esordio, Dietro il paesaggio, che suscita
fin da subito l’interesse della critica. La sua produzione in versi copre più di mezzo secolo: ricordiamo La
Beltà (1968), Il galateo in bosco (1978), Fosfeni (1983), Meteo
(1996) e il recente Conglomerati (2009). Zanzotto è anche autore di
prose e critico letterario. Dopo una lunga attività artistica e intellettuale,
trascorsa perlopiù a Pieve di Soligo, Zanzotto muore nel 2011. È considerato uno
dei massimi poeti italiani del secondo Novecento.
Andrea Zanzotto e la scelta del
dialetto
Il dialetto è “una forma di resistenza
all’omologazione dilagante: il poeta prova disagio di fronte all’italiano di
massa, e converge allora verso una lingua privata, periferica”.
Esso rappresenta per Zanzotto –ma anche per
molti altri: quello di Dante potrebbe certamente essere l’esempio più illustre-
la lingua materna, dell’infanzia, dell’affettività; confortante e sincera.
Femene che le lava
Tute le femene le va do’ al lavador:
no l’è ‘n mistier ‘sto qua
ma l’è ‘n destin, cofà l’amor
o ‘n fiol, o la só ora co la vien.
La va dó l’ora e la lava
co l’aqua che la fila via,
l’aqua che anca de ‘sta vita
e non sol de ‘ste poche nostre robe
la ne fa pulizhia.
(Tutte le donne si recano al lavatoio: non è un lavoro questo, è un destino, come l’amore o un figlio, o come l’ora nostra quando viene. Va giú l’ora e lava con l’acqua che fila via, l’acqua che anche di questa vita e non solo di questi nostri pochi panni fa pulizia.)
Tute le femene le va do’ al lavador:
no l’è ‘n mistier ‘sto qua
ma l’è ‘n destin, cofà l’amor
o ‘n fiol, o la só ora co la vien.
La va dó l’ora e la lava
co l’aqua che la fila via,
l’aqua che anca de ‘sta vita
e non sol de ‘ste poche nostre robe
la ne fa pulizhia.
(Tutte le donne si recano al lavatoio: non è un lavoro questo, è un destino, come l’amore o un figlio, o come l’ora nostra quando viene. Va giú l’ora e lava con l’acqua che fila via, l’acqua che anche di questa vita e non solo di questi nostri pochi panni fa pulizia.)
Filò, letto e interpretato da Rudy
Favaro
Zanzotto legge un suo testo
Le attività
Attività di lettura e comprensione
Lettura e
spiegazione delle poesie da parte del docente
Lettura
delle poesie da parte degli studenti
Attività di scrittura
Scrivere
testi poetici imitando quelli dell’autore
Scrivere
testi poetici ispirandosi a quelli dell’autore
Pier Paolo
Pasolini nasce a
Bologna nel 1922 da madre friulana e padre romagnolo. Tra il 1943 e 1949 si
trova a vivere a Casarsa, in Friuli, paese natale della madre, dove è fuggito
in seguito all’8 settembre. Fin da giovane dimostra il suo interesse per
la cultura popolare e i dialetti italiani. Risale al 1942 la raccolta di
poesie in friulano Poesie a Casarsa. Durante il suo periodo
friulano fonda l’Academiuta de lenga friulana. Nel 1945 viene ucciso il
fratello Guido, partigiano della brigata Osoppo. Nello stesso anno Pier
Paolo Pasolini si laurea in lettere a Bologna. (…)
Nel 1950 si
trasferisce con la madre a Roma. Nel 1953 lavora a un’antologia di
poesia popolare per la casa editrice Guanda, e nel 1954 pubblica la sua
raccolta di poesie in friulano, La meglio gioventù, con cui vince il premio “Giosuè Carducci”. Nello
stesso anno collabora alla sceneggiatura del film La donna del fiume,
avvicinandosi al cinema. Nel 1955 pubblica Ragazzi di vita, romanzo sulla vita dei ragazzi delle borgate romane,
con cui è entrato in contatto dal suo arrivo nella capitale. (…) Nel 1957 esce
la raccolta di poemetti Le ceneri di Gramsci, duramente criticato da
intellettuali vicini al partito comunista, ad eccezione di Italo Calvino. Nel
1959 Pasolini conclude Una vita violenta, un romanzo ancora una volta
incentrato sui ragazzi delle borgate, con risvolti politici - il
protagonista della storia si considera inizialmente fascista, in seguito si
avvicina ai democristiani e infine al PCI -.
Negli anni
‘60 Pasolini passa al cinema: il suo esordio alla regia è il
film Accattone (1961), trasposizione dei temi letterari di Ragazzi di vita e Una vita violenta. Altri film di questi anni da
ricordare, di cui firma sempre la sceneggiatura, sono Mamma Roma (1962),
Il vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e
uccellini (1965), Edipo re (1967), Teorema (1968)
e Medea (1969).
Nei primi anni ‘70 Pasolini si dedica al progetto cinematografico, chiamato “trittico della vita”, che comprende tre film: Il Decameron (1971), tratto dalle novelle di Boccaccio, I racconti di Canterbury (1972), tratti dall’opera di Chaucer, e infine Il fiore delle Mille e una notte (1974).
A partire dal 1973 Pasolini incomincia a collaborare con il “Corriere della Sera”, con articoli di argomento politico e di costume, che verranno poi raccolti nel 1975 in Scritti corsari e nel postumo Lettere luterane (1976).
(…) Nel novembre dello stesso anno (in un delitto che ancora ha molti lati oscuri) Pier Paolo Pasolini viene ucciso all’Idroscalo di Ostia, vicino a Roma. (…) Nel 1992 esce postumo Petrolio, romanzo ideato nel 1972 e a cui Pasolini stava ancora lavorando nel ‘75.
Nei primi anni ‘70 Pasolini si dedica al progetto cinematografico, chiamato “trittico della vita”, che comprende tre film: Il Decameron (1971), tratto dalle novelle di Boccaccio, I racconti di Canterbury (1972), tratti dall’opera di Chaucer, e infine Il fiore delle Mille e una notte (1974).
A partire dal 1973 Pasolini incomincia a collaborare con il “Corriere della Sera”, con articoli di argomento politico e di costume, che verranno poi raccolti nel 1975 in Scritti corsari e nel postumo Lettere luterane (1976).
(…) Nel novembre dello stesso anno (in un delitto che ancora ha molti lati oscuri) Pier Paolo Pasolini viene ucciso all’Idroscalo di Ostia, vicino a Roma. (…) Nel 1992 esce postumo Petrolio, romanzo ideato nel 1972 e a cui Pasolini stava ancora lavorando nel ‘75.
POESIE A
CASARSA (1941-1943)
I.
CASARSA
Il nini muàrt
Sera
imbarlumida, tal fossàl
a cres
l’aga, na fèmina piena
a ciamina
pal ciamp.
Jo ti
recuardi, Narcìs, ti vèvis il colòur
da la sera,
quand li ciampanis
a sùnin di
muàrt.
IL FANCIULLO
MORTO. Sera
luminosa, nel fosso cresce l’acqua, una donna incinta cammina per il campo.
Io ti
ricordo, Narciso, avevi il colore della sera, quando le campane suonano a
morto.
Ciant da li ciampanis
Co la sera a
si pièrt ta li fontanis
il me paìs
al è colòur smarìt.
Jo i soj
lontàn, recuardi li so ranis,
la luna, il
trist tintinulà dai gris.
A bat
Rosari, pai pras al si scunìs:
io i soj
muàrt al ciant da li ciampanis.
Forèst, al
me dols svualà par il plan,
no ciapà
pòura: io i soj un spirt di amòur
che al so
paìs al torna di lontàn.
CANTO DELLE
CAMPANE. Quando la
sera si perde nelle fontane, il mio paese è di colore smarrito.
Io sono
lontano, ricordo le sue rane, la luna, il triste tremolare dei grilli.
Suona
Rosario, e si sfiata per i prati: io sono morto al canto delle campane.
Straniero,
al mio dolce volo per il piano, non aver paura: io sono uno spirito d’amore,
che al suo
paese torna di lontano.
Pier Paolo Pasolini e il dialetto
Sullo
"Stroligut", in quella lingua friulana tanto amata, Pasolini spiega
molto didatticamente ai suoi lettori, prevalentemente contadini del paese, i
"segreti" del loro stesso dialetto. Vale la pena leggere almeno uno
stralcio dal suo scritto, nella "traduzione italiana" che Pasolini
stesso fece:
- "Il
dialetto è la più umile e comune maniera di esprimersi. È solo parlato, a
nessuno viene mai in mente di scriverlo. Ma se a qualcuno venisse
quell'idea? Voglio dire l'idea di adoperare il dialetto per esprimere i
propri sentimenti, le proprie passioni? […] con l'ambizione di dire cose
elevate, difficili, magari; se qualcuno, insomma, pensasse di esprimersi
meglio con il dialetto della sua terra, più nuovo, più fresco, più forte
della lingua nazionale imparata nei libri? "Se a qualcuno viene
quella idea, ed è buono a realizzarla, e altri che parlano quello stesso
dialetto lo seguono e lo imitano, e così, un po' alla volta, si ammucchia
una buona quantità di materiale scritto, allora quel dialetto diventa
"lingua". La lingua sarebbe così un dialetto scritto e adoperato
per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore. […]"
"L'Italiano una volta, tanti
secoli fa, era anche lui solo un dialetto, parlato dalla povera gente, dai
contadini, dai servitori, dai braccianti mentre i ricchi e quelli che avevano
studiato parlavano e scrivevano in Latino. Il Latino era insomma come adesso è
per noi l'Italiano, e l'Italiano (con il Francese, lo Spagnolo, il Portoghese),
era un dialetto del Latino, come adesso, per noi, l'Emiliano, il Siciliano, il
Lombardo… sono dialetti dell'Italiano."
- "Ma
ecco che saltano fuori, in Toscana, scrittori e poeti che vogliono sfogare
con più sincerità e vivacità i loro affetti, e in modo che tutti li
capiscano; e così si mettono a scrivere nel loro dialetto toscano. In
dialetto toscano Dante scrive la sua Divina Commedia, in dialetto toscano
Petrarca scrive le sue poesie, e così quel dialetto un poco per volta
diventa lingua e sostituisce il Latino."
- "E
siccome tutti gli altri dialetti italiani non danno né documenti scritti
né poeti, la lingua toscana si impone su tutti e diventa lingua
italiana."
|
|
- "Per
venire a parlare del nostro dialetto, fra i dialetti d'Italia, il Friulano
ha una fisionomia sua e ben distinta, per certi caratteri e certe forme
antiche che conserva e che non lo fanno confondere con nessun altro. […]
Purtroppo però il Friuli, per tante ragioni, non ha avuto in nessun tempo
un gran poeta che cantasse nella sua lingua e che gli desse splendore e
rinomanza; il Friuli ha sempre dovuto adoperare quella parlata per i
poveri lavori dei contadini, dei montanari, dei mercanti per ordinare o
chiedere di mangiare, di bere, di fare l'amore, di cantare, di lavorare.
[…]
- "Quando
un dialetto diventa lingua, ogni scrittore adopera quella lingua conforme
le sue idee, il suo carattere, i suoi desideri. Insomma ogni scrittore
scrive e compone in maniera diversa e ognuno ha il suo 'stile'. Quello
stile è qualcosa di interiore, nascosto, privato e, soprattutto,
individuale. Uno stile non è né italiano né tedesco né friulano, è di quel
poeta e basta".
Le attività
Attività di lettura e comprensione
Lettura e
spiegazione delle poesie da parte del docente
Lettura
delle poesie da parte degli studenti
Attività di scrittura
Scrivere
testi poetici imitando quelli dell’autore
Scrivere
testi poetici ispirandosi a quelli dell’autore
Biagio Marin
Il padre era persona di un certo rilievo sociale come sacrista della basilica di S. Eufemia e proprietario di un’osteria e di un trabaccolo, con il quale intratteneva rapporti commerciali con la vicina costa istriana. Il M., rimasto orfano della madre a neanche cinque anni d’età, fu allevato dalla nonna paterna, Antonia Maran, analfabeta, eppure donna di alta spiritualità, con la quale stabilì un legame profondo.
Il M. iniziò i suoi studi presso la scuola pubblica di Grado ma, a dieci anni, si trasferì a Gorizia per frequentare i corsi preparatori che gli dettero accesso al ginnasio di lingua tedesca. Bocciato al quinto anno, si spostò a Parenzo e poi a Pisino d’Istria, dove completò gli studi ginnasiali in italiano ottenendo la maturità nel 1911.
Fin dai primi anni il M. crebbe e si nutrì dell’esperienza dei luoghi, che seppe leggere e fare suoi, e senza i quali non è pensabile il suo itinerario di uomo e di poeta. In particolare dalla natia Grado gli venne l’antico dialetto veneto, connotato di forme arcaiche, in cui sarebbero fioriti, per oltre 72 anni, i suoi Canti de l’isola (…).
Il M. morì a Trieste il 24 dic. 1985 (…).
http://www.treccani.it/enciclopedia/biagio-marin_(Dizionario-Biografico)/
UNA
CANSON DE FÉMENA
Una canson de fémena se stende
comò caressa colda sul paese;
el gran silensio fa le maravegie
per quela vose drío de bianche tende.
El vespro setenbrin el gera casto:
fra le case incantàe da la so luse
se sentiva 'na machina de cûse
sbusinâ a mosca drento el sielo vasto.
Inprovisa quel'onda l'ha somerso
duto 'l paese ne la nostalgia:
la vose colda i cuori porta via
nel sielo setenbrin, cristalo terso.
Una canzone di donna si stende/ come carezza calda sul paese; /il gran silenzio fa le meraviglie/ per quella voce dietro bianche tende. // Il vespro settembrino era casto:/ fra le case incantate della sua luce/ si sentiva una macchina da cucire/ ronzare a mosca entro il cielo vasto. // Improvvisa quell’onda ha sommerso/ tutto il paese nella nostalgia:/ la voce calda i cuori porta via/ nel cielo settembrino, cristallo terso.
Una canson de fémena se stende
comò caressa colda sul paese;
el gran silensio fa le maravegie
per quela vose drío de bianche tende.
El vespro setenbrin el gera casto:
fra le case incantàe da la so luse
se sentiva 'na machina de cûse
sbusinâ a mosca drento el sielo vasto.
Inprovisa quel'onda l'ha somerso
duto 'l paese ne la nostalgia:
la vose colda i cuori porta via
nel sielo setenbrin, cristalo terso.
Una canzone di donna si stende/ come carezza calda sul paese; /il gran silenzio fa le meraviglie/ per quella voce dietro bianche tende. // Il vespro settembrino era casto:/ fra le case incantate della sua luce/ si sentiva una macchina da cucire/ ronzare a mosca entro il cielo vasto. // Improvvisa quell’onda ha sommerso/ tutto il paese nella nostalgia:/ la voce calda i cuori porta via/ nel cielo settembrino, cristallo terso.
Fa che la
morte mia
Fa che la
morte mia,
Signor, la sia
comò 'l score de un fiume in t'el mar grando,
comò la melodia
de la dosana¹ che de quando in quando
a ridosso de un faro la pianzota
per un momento,
e la va via apena co' un lamento
verso l'averto, sensa lota.
Fa che 'l gno ultimo respiro
el se pusa sul mondo incòra ciaro,
comò 'l maistro estivo
in t'i puninti el cala sensa amaro.
Tégneme senpre vivo,
che posso ringrassiate
de le ore de pena
e de quele beate
e de la luse, Signor, mia zogia piena,
d'ogni mio canto in te l'aria serena.
Signor, la sia
comò 'l score de un fiume in t'el mar grando,
comò la melodia
de la dosana¹ che de quando in quando
a ridosso de un faro la pianzota
per un momento,
e la va via apena co' un lamento
verso l'averto, sensa lota.
Fa che 'l gno ultimo respiro
el se pusa sul mondo incòra ciaro,
comò 'l maistro estivo
in t'i puninti el cala sensa amaro.
Tégneme senpre vivo,
che posso ringrassiate
de le ore de pena
e de quele beate
e de la luse, Signor, mia zogia piena,
d'ogni mio canto in te l'aria serena.
Traduzione:
Fa' che la
morte mia,
Signore, sia
come il fluire di un fiume nel mare grande,
come la melodia
della dosana¹ che di quando in quando
a ridosso di una briccola piagnucola
per un momento,
e va via appena con un lamento
verso l'aperto, senza lotta.
Fa' che il mio ultimo respiro
si posi sul mondo ancora chiaro,
come il maestrale estivo
nei ponenti cala senza amaro.
Tienimi sempre vivo,
che possa ringraziarti
delle ore di pena
e di quelle beate
e della luce, Signore, mia gioia piena,
d'ogni mio canto nell'aria serena.
Signore, sia
come il fluire di un fiume nel mare grande,
come la melodia
della dosana¹ che di quando in quando
a ridosso di una briccola piagnucola
per un momento,
e va via appena con un lamento
verso l'aperto, senza lotta.
Fa' che il mio ultimo respiro
si posi sul mondo ancora chiaro,
come il maestrale estivo
nei ponenti cala senza amaro.
Tienimi sempre vivo,
che possa ringraziarti
delle ore di pena
e di quelle beate
e della luce, Signore, mia gioia piena,
d'ogni mio canto nell'aria serena.
¹ Termine
veneziano che indica la marea che esce dalla Laguna di Venezia verso il mare.
Le attività
Attività di lettura e comprensione
Lettura e
spiegazione delle poesie da parte del docente
Lettura
delle poesie da parte degli studenti
Attività di scrittura
Scrivere
testi poetici imitando quelli dell’autore
Scrivere
testi poetici ispirandosi a quelli dell’autore
Alla fine della guerra, con la casa di Noventa di Piave prima occupata dalle truppe austroungariche e poi rasa al suolo dai bombardamenti inglesi, si stabilì con la famiglia a Venezia e alternò soggiorni con Torino, dove finì gli studi scolastici e si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza. A questo periodo risalgono le sue prime poesie.
Fino al 1934
rifiuta di trascrivere i versi in dialetto che recita agli amici Soldati,
Debenedetti, Levi, Carocci, affermando perentoriamente che “scrivere è
decadere”.
Solo tardi
dunque la sua opera poetica è stata divulgata al di là della stretta cerchia
degli amici
Il nucleo
della poetica noventiana sta nel recupero di una poesia classica, cioè nemica
di ogni individualismo e cattolica, ovvero nemica di ogni particolarismo, che
sappia parlare al cuore dei “picoli” di quelle cose che i poeti italiani, nel
loro linguaggio aristocratico, non sono più capaci di dire: “amore cuore dio
giustizia”. Solo l’espressione dialettale può restituire alle parole la loro
pregnanza, ma anch’esse rimangono al di qua di un limite non superabile.
Un giorno o l'altro mi tornarò
Un giorno o l'altro mi tornarò,
no' vùi tra zénte strània morir,
un giorno o l'altro mi tornarò
nel me paese.
Dentro le pière che i gà inalzà
su le rovine, mi cercarò,
dèntro le pière che i gà inalzà,
le vecie case.
Sarò pai zoveni un forestier,
che varda dove che i altri passa,
sarò pai zoveni un forestier,
no' lori a mi.
Carghi dei sogni dei me vint'ani,
vedarò i burci partir ancora,
carghi dei sogni dei me vint'ani,
dal Piave al mar.
Cussì che in ultimo mi no' starò,
coi altri vèci intorno al fògo,
cussì che in ultimo mi no' starò
a dir «Noialtri...».
E a un dei tosi che andarà via,
voltando i òci de nòvo al porto,
e a un dei tosi che andarà via,
ghe darò el cuor.
[Un giorno o l'altro io tornerò, non voglio morire tra
gente straniera, un giorno o l'altro io
tornerò nel mio paese. Dentro le pietre che hanno innalzato sulle rovine, io cercherò,
dentro le pietre che hanno innalzato, le vecchie case. Sarò per i giovani un forestiero, che
guarda dove gli altri passano, sarò per i giovani un forestiero, non loro per me. Carichi dei
sogni dei miei vent'anni, vedrò i burchi partire ancora, carichi dei sogni dei miei vent'anni,
dal Piave verso il mare. Così che alla fine io non starò, con gli altri vecchi intorno al fuoco,
così che alla fine io non starò a dire «Noialtri...». E a uno dei ragazzi che andrà via,
volgendo gli occhi di nuovo al porto, e a uno dei ragazzi che andrà via, darò il cuore.]
tornerò nel mio paese. Dentro le pietre che hanno innalzato sulle rovine, io cercherò,
dentro le pietre che hanno innalzato, le vecchie case. Sarò per i giovani un forestiero, che
guarda dove gli altri passano, sarò per i giovani un forestiero, non loro per me. Carichi dei
sogni dei miei vent'anni, vedrò i burchi partire ancora, carichi dei sogni dei miei vent'anni,
dal Piave verso il mare. Così che alla fine io non starò, con gli altri vecchi intorno al fuoco,
così che alla fine io non starò a dire «Noialtri...». E a uno dei ragazzi che andrà via,
volgendo gli occhi di nuovo al porto, e a uno dei ragazzi che andrà via, darò il cuore.]
Le attività
Attività di lettura e comprensione
Lettura e spiegazione delle poesie da parte del
docente
Lettura delle poesie da parte degli studenti
Attività di scrittura
Scrivere testi poetici imitando quelli dell’autore
Scrivere testi poetici ispirandosi a quelli
dell’autore
La
lingua istro-veneta
Mia
mare, di Mate Balota (Mijo Mirkovic)
Mia mare la iera una gran povareta,
la sapava la tera dei altri e i
pavimenti la ghe lavava.
La se cioleva tuti i ani de sta sua vita
maledeta,
e a poco a poco tuto ai altri la ghe
dava.
Da la matina a sera i sui giorni i iera
pieni de lavor,
de note la viveva in pensier per i altri
e co’una paura che snerva.
La portava sola ogni peso perché la iera
de bon cor,
la serviva tuti gratis meo de la più
brava serva.
Ela la pascolava le pegore, i altri le
tosava,
ela ghe dava de magnar ai porchi, i
altri i magnava el persuto.
Tuto quel che la ingrumava con fadiga, i
altri ghe lo rubava:
carne, vin e fighi, formaio, puina e
tuto.
Anca da mi la me gha dà de tuto, ma poco
ghe go tornà.
La xe lontan de mi, sola senza nissun,
sta mare mia.
Se ela la ghe domandaria qualcossa ai
vizini, forsi gnanca
i la staria scoltar.
E anca se la pregaria Iddio, lu piutosto
ai altri li aiutaria.
Saludi a quei de casa, di Mate
Balota
Letera mia camina, va verso le nostre care contrade,
saluda i parenti tuti, le nostre mare preocupade
saludime tute le crosere, i montisei, i scoi,
saluda quei che i ga i mii ani e che i ga paura per
noi
Saludime le valete, i campi coi cardi e usei,
le putele sui balcon, con quei oci vivi e bei,
saludime ogni sasso, ogni grota, ogni canton mio bel,
e dindola ogni cuna dovi pianzi un putel.
Saludime tuti i contadini che ti trovi e ogni massera
e dighe: dopo l’inverno vegnarà primavera.
Oltre el mar xe tuto nostro, questo dighe,
dove xe le mani
dure, dove xe solo fadighe.
Saludime le valisele, le deserte stradele,
credime, adeso me vien de pianser cò penso a quele.
Ma corajo, cari mii, soportè ste cadene,
l’ocio del foresto no’l devi veder le vostre pene.
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