martedì 19 giugno 2018


Poeti francesi moderni
(testi di Eluard, Prevert, Baudelaire, Peguy, Apollinaire, Mallarmè, Verlaine, Proust)
Attività realizzata nella classe 3 A dai docenti B. Trevellin (italiano) e L. Veronese (francese), a. s. 2017-18

Paul Eluard
Liberté

Pubblicata dalla clandestinità, nel 1942, durante l’occupazione tedesca di Parigi, mentre il poeta era entrato a far parte della Resistenza, venne lanciata a migliaia di copie dagli aerei alleati nella Francia occupata dai nazisti. Un canto in onore della libertà adattabile ad ogni epoca e ad ogni paese.

Juan Gris, La fenêtre ouverte, 1921



Sur mes cahiers d’écolier
Sur mon pupitre et les arbres
Sur le sable sur la neige
J’écris ton nom
Sur toutes les pages lues
Sur toutes les pages blanches
Pierre sang papier ou cendre
J’écris ton nom
Sur les images dorées
Sur les armes des guerriers
Sur la couronne des rois
J’écris ton nom
Sur la jungle et le désert
Sur les nids sur les genêts
Sur l’écho de mon enfance
J’écris ton nom
Sur les merveilles des nuits
Sur le pain blanc des journées
Sur les saisons fiancées
J’écris ton nom
Sur tous mes chiffons d’azur
Sur l’étang soleil moisi
Sur le lac lune vivante
J’écris ton nom
Sur les champs sur l’horizon
Sur les ailes des oiseaux
Et sur le moulin des ombres
J’écris ton nom
Sur chaque bouffée d’aurore
Sur la mer sur les bateaux
Sur la montagne démente
J’écris ton nom
Sur la mousse des nuages
Sur les sueurs de l’orage
Sur la pluie épaisse et fade
J’écris ton nom
Sur les formes scintillantes
Sur les cloches des couleurs
Sur la vérité physique
J’écris ton nom
Sur les sentiers éveillés
Sur les routes déployées
Sur les places qui débordent
J’écris ton nom
Sur la lampe qui s’allume
Sur la lampe qui s’éteint
Sur mes maisons réunies
J’écris ton nom
Sur le fruit coupé en deux
Du miroir et de ma chambre
Sur mon lit coquille vide
J’écris ton nom
Sur mon chien gourmand et tendre
Sur ses oreilles dressées
Sur sa patte maladroite
J’écris ton nom
Sur le tremplin de ma porte
Sur les objets familiers
Sur le flot du feu béni
J’écris ton nom
Sur toute chair accordée
Sur le front de mes amis
Sur chaque main qui se tend
J’écris ton nom
Sur la vitre des surprises
Sur les lèvres attentives
Bien au-dessus du silence
J’écris ton nom
Sur mes refuges détruits
Sur mes phares écroulés
Sur les murs de mon ennui
J’écris ton nom
Sur l’absence sans désir
Sur la solitude nue
Sur les marches de la mort
J’écris ton nom
Sur la santé revenue
Sur le risque disparu
Sur l’espoir sans souvenir
J’écris ton nom
Et par le pouvoir d’un mot
Je recommence ma vie
Je suis né pour te connaître
Pour te nommer
Liberté.


Su i quaderni di scolaro
Su i miei banchi e gli alberi
Su la sabbia su la neve
Scrivo il tuo nome
Su ogni pagina che ho letto
Su ogni pagina che è bianca
Sasso sangue carta o cenere
Scrivo il tuo nome
Su le immagini dorate
Su le armi dei guerrieri
Su la corona dei re
Scrivo il tuo nome
Su la giungla ed il deserto
Su i nidi su le ginestre
Su la eco dell’infanzia
Scrivo il tuo nome
Su i miracoli notturni
Sul pan bianco dei miei giorni
Le stagioni fidanzate
Scrivo il tuo nome
Su tutti i miei lembi d’azzurro
Su lo stagno sole sfatto
E sul lago luna viva
Scrivo il tuo nome
Su le piane e l’orizzonte
Su le ali degli uccelli
E il mulino delle ombre
Scrivo il tuo nome
Su ogni alito di aurora
Su le onde su le barche
Su la montagna demente
Scrivo il tuo nome
Su la schiuma delle nuvole
Su i sudori d’uragano
Su la pioggia spessa e smorta
Scrivo il tuo nome
Su le forme scintillanti
Le campane dei colori
Su la verità fisica
Scrivo il tuo nome
Su i sentieri risvegliati
Su le strade dispiegate
Su le piazze che dilagano
Scrivo il tuo nome
Sopra il lume che s’accende
Sopra il lume che si spegne
Su le mie case raccolte
Scrivo il tuo nome
Sopra il frutto schiuso in due
Dello specchio e della stanza
Sul mio letto guscio vuoto
Scrivo il tuo nome
Sul mio cane ghiotto e tenero
Su le sue orecchie dritte
Su la sua zampa maldestra
Scrivo il tuo nome
Sul decollo della soglia
Su gli oggetti familiari
Su la santa onda del fuoco
Scrivo il tuo nome
Su ogni carne consentita
Su la fronte dei miei amici
Su ogni mano che si tende
Scrivo il tuo nome
Sopra i vetri di stupore
Su le labbra attente
Tanto più su del silenzio
Scrivo il tuo nome
Sopra i miei rifugi infranti
Sopra i miei fari crollati
Su le mura del mio tedio
Scrivo il tuo nome
Su l’assenza che non chiede
Su la nuda solitudine
Su i gradini della morte
Scrivo il tuo nome
Sul vigore ritornato
Sul pericolo svanito
Su l’immemore speranza
Scrivo il tuo nome
E in virtù d’una Parola
Ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per chiamarti
Libertà.
(Traduzione di Franco Fortini)

Liberté - Clip officiel des Enfoirés, 2016
https://www.youtube.com/watch?v=2zGxfXjudC8&list=RD2zGxfXjudC8#t=0

Jacques Prévert
Les enfants qui s’aiment
Les enfants qui s’aiment s’embrassent debout
Contre les portes de la nuit
Et les passants qui passent les désignent du doigt
Mais les enfants qui s’aiment
Ne sont là pour personne
Et c’est seulement leur ombre
Qui tremble dans la nuit
Excitant la rage des passants
Leur rage leur mépris leurs rires et leur envie
Les enfants qui s’aiment ne sont là pour personne
Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit
Bien plus haut que le jour
Dans l’éblouissante clarté de leur premier amour.













I ragazzi che si amano
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.


Les enfants qui s’aiment, cantata da Juliette Greco, in https://www.youtube.com/watch?v=ef31iUwrCUE


I ragazzi che si amano, canzone di Luca Carboni, in https://www.youtube.com/watch?v=cmq4X4rvARk&list=RDcmq4X4rvARk








Charles Baudelaire
L’albatros
L’albatro (o albatros) è il titolo di una poesia di Charles Baudelaire (1821-1867), pubblicata all’interno della raccolta I fiori del male: è la seconda poesia della raccolta (prima edizione: 1857) e si trova nella prima delle sei sezioni in cui è divisa l’opera e che ha per titolo Spleen et Idéal.
Il titolo della poesia deriva dal nome dell’uccello marino albatros che, come ricorda la Treccani: “È bianco con remiganti brune. L’apertura alare di 3,6 metri è la maggiore fra tutti gli uccelli. Sfruttando le correnti ascensionali mantiene un volo planato ininterrotto e percorre enormi distanze sull’oceano. Abita la fascia circumpolare antartica”.
L’albatros: testo francese e traduzioni italiane
Dal punto di vista metrico L’albatros è una poesia composta da quartine con versi a rime alternate. Naturalmente la scansione metrica si apprezza meglio nell’originale francese, che è il seguente:
Souvent, pour s’amuser, les hommes d’équipage
Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.
À peine les ont-ils déposés sur les planches,
Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Comme des avirons traîner à côté d’eux.
Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!
Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid!
L’un agace son bec avec un brûle-gueule,
L’autre mime, en boitant, l’infirme qui volait!
Le Poète est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l’archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l’empêchent de marcher.
In italiano due sono le traduzioni principali della poesia L’albatros di Charles Baudelaire. La prima è di Giovanni Raboni per Mondadorihttp://ir-it.amazon-adsystem.com/e/ir?t=graph01-21&l=as2&o=29&a=8804627832:
Spesso, per divertirsi, i marinai
catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
indolenti compagni di viaggio delle navi
in lieve corsa sugli abissi amari.
L’hanno appena posato sulla tolda
e già il re dell’azzurro, maldestro e vergognoso,
pietosamente accanto a sé strascina
come fossero remi le grandi ali bianche.
Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!
E comico e brutto, lui prima così bello!
Chi gli mette una pipa sotto il becco,
chi imita, zoppicando, lo storpio che volava!
Il Poeta è come lui, principe delle nubi
che sta con l’uragano e ride degli arcieri;
esule in terra fra gli scherni, impediscono
che cammini le sue ali di gigante.

L’albatros, cantata da Leo Ferrè, in https://www.youtube.com/watch?v=g8atO7eJ9Cw

Elevation
Nella poesia “Elévation” di Charles Baudelaire, corrispondente alla terza poesia della famosa raccolta “I fiori del male“, l’autore fa riferimento a un conflitto fra due temi fondamentali: elevazione e purificazione.
1 – Elevazione
L’elevazione in questa poesia si caratterizza per il campo lessicale che indica un movimento verso l’alto: l’autore sfugge elevandosi, ascendendo.
D’altra parte, ci sono anche termini nel campo lessicale che indicano il volo: Baudelaire sembra trovare una sensazione di libertà, pace e felicità fuggendo dalla terra e dalla società in cui si sente vicino: “Mon esprit, tu te meus avec agilité” (Anima mia, tu ti muovi con agilità).
Formalmente, questa è rinforzata da un caratteristico ritmo che aumenta d’intensità man mano che si va avanti nella lettura: l’elevazione di cui si parla nella poesia riguarda essenzialmente lo spirito.
2 – Purificazione
Baudelaire espone diversi termini legati alla purificazione: l’autore sembra nuotare in un ideale, con un chiaro senso di felicità.
Un altro elemento da notare riguarda l’uso nel campo lessicale di riferimenti verso il cielo o le giornate di sole: elementi che facilmente possono essere associati alla bellezza, alla purezza, all’immensità.
Elévation (Elevazione) – traduzione della poesia di Charles Baudelaire con testo francese a fronte:
Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées,
Al di sopra degli stagni, al di sopra delle valli,
Des montagnes, des bois, des nuages, des mers,
delle montagne, dei boschi, delle nubi, dei mari,
Par delà le soleil, par delà les éthers,
oltre il sole e l’etere,
Par delà les confins des sphères étoilées,
al di là dei confini delle sfere stellate,
Mon esprit, tu te meus avec agilité,
anima mia tu ti muovi con agilità,
Et, comme un bon nageur qui se pâme dans l’onde,
e, come un bravo nuotatore che fende l’ onda,
Tu sillonnes gaiement l’immensité profonde
tu solchi gaiamente, l’immensità profonda
Avec une indicible et mâle volupté.
con indicibile e maschia voluttà.
Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides;
Via da questi miasmi putridi,
Va te purifier dans l’air supérieur,
và a purificarti nell’aria superiore,
Et bois, comme une pure et divine liqueur,
e bevi come un puro e divino liquore
Le feu clair qui remplit les espaces limpides.
il fuoco chiaro che riempie gli spazi limpidi.
Derrière les ennuis et les vastes chagrins
Dietro le noie e i molti dispiaceri
Qui chargent de leur poids l’existence brumeuse,
che gravano col loro peso la grigia esistenza
Heureux celui qui peut d’une aile vigoureuse
felice chi può con ala vigorosa
S’élancer vers les champs lumineux et sereins;
slanciarsi verso campi luminosi e sereni;
Celui dont les pensers, comme des alouettes,
colui i cui pensieri, come allodole,
Vers les cieux le matin prennent un libre essor,
verso i cieli al mattino prendono libero il volo,
– Qui plane sur la vie, et comprend sans effort
– che plana sulla vita, e comprende senza sforzo
Le langage des fleurs et des choses muettes!
il linguaggio dei fiori e delle cose mute!
Un confronto fra “Elévation” e la poesia dell’Albatros:
Dopo la caduta dolorosa e umiliante che Baudelaire esprime con “Albatros”, la situazione si rovescia e il poeta ha scoperto la gioia del movimento che simboleggia la vita. La poesia “Elévation” è l’inizio della sezione dei I fiori del malein cui la condizione del poeta, l’elevazione, diventa una sorta di fede, una missione.
Cosa ho imparato leggendo “Elévation” di Baudelaire:
Il movimento della poesia, quindi le parole, corrispondono al movimento della mente.
Vuoi ascoltare la pronuncia corretta con cui leggere la poesia? Ascolta la lettura:

  
Lettura, in: https://www.youtube.com/watch?v=wVpJoDOxxDw


Charles Péguy
LE PORCHE DU MYSTÈRE DE LA DEUXIÈME VERTU
Il portico del mistero della seconda virtù


 Composto in uno dei momenti più bui della vita di Charles Péguy, è un luminoso poema e la testimonianza del cammino spirituale dell'autore che si sta aprendo alla maturità della fede.

Lettura in: https://www.youtube.com/watch?v=8XBSqqYtqJI

La foi que j’aime le mieux, dit Dieu, c’est l’espérance.
La foi, ça ne m’étonne pas.
Ça n’est pas étonnant.
J’éclate tellement dans ma création.
Dans le soleil et dans la lune et dans les étoiles.
Dans toutes mes créatures.
Dans les astres du firmament et dans les poissons de la mer.
Dans l’univers de mes créatures.
Sur la face de la mer et sur la face des eaux.
Dans le mouvement des astres qui sont dans le ciel.
Dans le vent qui souffle sur la mer et dans le vent qui souffle sur la vallée.
Dans la calme vallée.
Dans la recoite vallée.
Dans les plantes et dans les bêtes et dans les bêtes des forêts.
Et dans l’homme.
Ma créature.
Dans les peuples et dans les hommes et dans les rois et dans les peuples.
Dans l’homme et dans la femme sa compagne.
Et surtout dans les enfants.
Mes créatures.
Dans le regard et dans la voix des enfants.
Car les enfants sont plus mes créatures.
Que les hommes
Ils n’ont pas encore été défaits par la vie.
De la terre.
Et entre tous ils sont mes serviteurs.
Avant tous.
Et la voix des enfants est plus pure que la voix du vent dans le calme de la vallée.
Dans la vallée recoite.
Et le regard des enfants est plus pur que le bleu du ciel, que le laiteux du ciel, et u’un rayon d’étoile dans la calme nuit.
Or j’éclate tellement dans ma création.
Sur la face des montagnes et sur la face de la plaine.
Dans le pain et dans le vin et dans l’homme qui laboure et dans l’homme qui sème et dans la moisson et dans la vendange.
Dans la lumière et dans les ténèbres.
Et dans le cœur de l’homme, qui est ce qu’il y a de plus profond dans le monde.
Créé.
Si profond qu’il est impénétrable à tout regard.
Excepté à mon regard.
Dans la tempête qui fait bondir les vagues et dans la tempête qui fait bondir les feuilles.
Des arbres dans la forêt.
Et au contraire dans le calme d’un beau soir.
Dans les sables de la mer et dans les étoiles qui sont un sable dans le ciel.
Dans la pierre du seuil et dans la pierre du foyer et dans la pierre de l’autel.
Dans la prière et dans les sacrements.
Dans les maisons des hommes et dans l’église qui est ma maison sur la terre.
Dans l’aigle ma créature qui vole sur les sommets.
L’aigle royal qui a au moins deux mètres d’envergure et peut-être trois mètres.
Et dans la fourmi ma créature qui rampe et qui
amasse petitement.
Dans la terre.
Dans la fourmi mon serviteur
Et jusque dans le serpent.
Dans la fourmi ma servante, mon infime servante,
qui amasse péniblement, la parcimonieuse.
Qui travaille comme une malheureuse et qui n’a point de cesse et n’a point de repos.
Que la mort et que le long sommeil d’hiver
(haussant les épaules de tant d’évidence.
devant tant d’évidence.)
J’éclate tellement dans toute ma création.
Dans l’infime, dans ma créature infime, dans ma servante infime, dans la fourmi infime.
Qui thésaurise petitement, comme l’homme.
Comme l’homme infime.
Et qui creuse des galeries dans la terre.
Dans les sous-sols de la terre.
Pour y amasser mesquinement des trésors.
Temporels.
Pauvrement.
Et jusque dans le serpent.
Qui a trompé la femme et rampe pour cela sur le ventre.
Et qui est ma créature et qui est mon serviteur.
Le serpent qui a trompé la femme.
Ma servante.
Qui a trompé l’homme mon serviteur.
J’éclate tellement dans ma création.
Dans tout ce qui arrive aux hommes et aux peuples,
et aux pauvres.
Et même aux riches.
Qui ne veulent pas être mes créatures.
Et qui se mettent à l’abri.
D’être mes serviteurs.
Dans tout ce que l’homme fait et défait de mal et de bien.
(Et moi je passe par dessus, parce que je suis le maître et je fais ce qu’il a défait et je défais ce qu’il a fait.)
Et jusque dans la tentation du péché.
Même.
Et dans ce qui est arrivé à mon fils.
A cause de l’homme.
Ma créature.
Que j’avais créé.
Dans l’incorporation, dans la renaissance et dans la vie et dans la mort de mon fils.
Et dans le saint sacrifice de la messe.

Dans toute naissance et dans toute vie.
Et dans toute mort.
Et dans la vie éternelle qui ne finira point.
Qui vaincra toute mort.

J’éclate tellement dans ma création.


Que pour ne pas me voir vraiment il faudrait que
ces pauvres gens fussent aveugles.




La charité, dit Dieu, ça ne m’étonne pas.
Ça n’est pas étonnant.
Ces pauvres créatures sont si malheureuses qu’à moins d’avoir un cœur de pierre, comment n’auraient-elles point charité les unes des autres.
Comment n’auraient-ils point charité de leur frères.
Comment ne se retireraient-ils point le pain de la bouche, le pain de chaque jour, pour le donner à de malheureux enfants qui passent.
Et mon fils a eu d’eux une telle charité.

Mon fils leur frère.
Une si grande charité.


Mais l’espérance, dit Dieu, voilà ce qui m’étonne.
Moi-même.
Ça c’est étonnant.

Que ces pauvres enfants voient comme tout ça se passe et qu’ils croient que demain ça ira mieux.
qu’ils voient comme ça se passe aujourd’hui et qu’ils croient que ça ira mieux demain matin.
Ça c’est étonnant et c’est bien la plus grande merveille de notre grâce.
Et j’en suis étonné moi-même.
Et il faut que ma grâce soit en effet d’une force incroyable.
Et qu’elle coule d’une source et comme un fleuve inépuisable.
Depuis la première fois qu’elle coula et depuis toujours qu’elle coule.
Dans ma création naturelle et surnaturelle.
Dans ma création spirituelle et charnelle et encore spirituelle.
Dans ma création éternelle et temporelle et encore éternelle.
Mortelle et immortelle.
Et cette fois, oh cette fois, depuis cette fois qu’elle coula, comme un fleuve de sang, du flanc percé de mon fils.
Quelle ne faut-il pas que soient ma grâce et la force de ma grâce pour que cette petite espérance,
vacillante au souffle du péché, tremblante à tous les vents, anxieuse au moindre souffle, soit aussi invariable, se tienne aussi fidèle, aussi droite, aussi pure ; et aussi invincible, et immortelle, et impossible à éteindre ; que cette petite flamme du
sanctuaire.
Qui brûle éternellement dans la lampe fidèle.
Une flamme tremblotante a traversé l’épaisseur des mondes.
Une flamme vacillante a traversé l’épaisseur des temps.
Une flamme anxieuse a traversé l’épaisseur des nuits.
Depuis cette première fois que ma grâce a coulé
pour la création du monde.
Depuis toujours que ma grâce coule pour la conservation du monde.
Depuis cette fois que le sang de mon fils a coulé
pour le salut du monde.
Une flamme impossible à atteindre, impossible à éteindre au souffle de la mort.

Ce qui m’étonne, dit Dieu, c’est l’espérance.
Et je n’en reviens pas.
Cette petite espérance qui n’a l’air de rien du tout.
Cette petite fille espérance.
Immortelle.

Car mes trois vertus, dit Dieu.
Les trois vertus mes créatures.
Mes filles mes enfants.
Sont elles-mêmes comme mes autres créatures.
De la race des hommes.
La Foi est une Épouse fidèle.
La Charité est une Mère.
Une mère ardente, pleine de cœur.
Ou une sœur aînée qui est comme une mère.
L’Espérance est une petite fille de rien du tout.
Qui est venue au monde le jour de Noël de l’année dernière.
Qui joue encore avec le bonhomme Janvier.
Avec ses petits sapins en bois d’Allemagne couverts de givre peint.
Et avec son bœuf et son âne en bois d’Allemagne.
Peints.
Et avec sa crèche pleine de paille que les bêtes ne mangent pas.
Puisqu’elles sont en bois.
C’est cette petite fille pourtant qui traversera les mondes.
Cette petite fille de rien du tout.
Elle seule, portant les autres, qui traversera les mondes révolus.
Comme l’étoile a conduit les trois rois du fin fond de l’Orient.
Vers le berceau de mon fils.
Ainsi une flamme tremblante.
Elle seule conduira les Vertus et le Mondes.

Une flamme percera des ténèbres éternelles.

Le prêtre dit.
Ministre de Dieu le prêtre dit :
Quelles sont les trois vertus théologales ?

L’enfant répond

Les trois vertus théologales sont la Foi, l’Espérance et
la Charité.

Pourquoi la Foi, l’Espérance et la Charité sont elles appelées vertus théologales ?

La Foi, l’Espérance et la Charité sont appelées vertus théologales parce qu’elles se rapportent immédiatement à Dieu.

Qu’est-ce que l’Espérance ?

L’Espérance est une vertu surnaturelle par laquelle nous attendons de Dieu, avec confiance, sa grâce en ce monde et la gloire éternelle dans l’autre.

Faites un acte d’Espérance.

La foi va de soi. La foi marche toute seule. Pour croire il n’y a qu’à se laisser aller, il n’y a qu’à regarder. Pour ne pas croire il faudrait se violenter, se torturer, se tourmenter, se contrarier.
Se raidir. Se prendre à l’envers, se mettre à l’envers, se remonter. La foi est toute naturelle, toute allante, toute simple, toute venante. Toute bonne venante. Toute belle allante. C’est une bonne femme que l’on connaît, une vieille bonne femme, une bonne vieille paroissienne, une bonne femme de la paroisse, une vieille grandmère, une bonne paroissienne. Elle nous raconte les histoires de l’ancien temps, qui sont arrivées dans l’ancien temps.

Pour ne pas croire, mon enfant, il faudrait se boucher les yeux et les oreilles. Pour ne pas voir, pour ne pas croire.

La charité va malheureusement de soi. La charité marche toute seule. Pour aimer son prochain il n’y a qu’à se laisser aller, il n’y a qu’à regarder tant de détresse. Pour ne pas aimer son prochain il faudrait se violenter, se torturer, se tourmenter, se contrarier. Sa raidir. Se faire mal. Se dénaturer, se prendre à l’envers, se mettre à l’envers. Se remonter. La charité est toute naturelle, toute jaillissante, toute simple,
toute bonne venante. C’est le premier mouvement du cœur. C’est le premier mouvement qui est le bon. La charité est une mère et une sœur.

Pour ne pas aimer son prochain, mon enfant, il faudrait se boucher les yeux et les oreilles.
À tant de cris de détresse.

Mais l’espérance ne va pas de soi. L’espérance ne
va pas toute seule. Pour espérer, mon enfant, il
faut être bien heureux, il faut avoir obtenu,
reçu une grande grâce.


C’est la foi qui est facile et de ne pas croire qui se-
rait impossible. C’est la charité qui est facile et
de ne pas aimer qui serait impossible. Mais c’est
d’espérer qui est difficile.

à voix basse et honteusement

Et le facile et la pente est de désespérer et c’est la
grande tentation.



La petite espérance s’avance entre ses deux gran-
des sœurs et on ne prend pas seulement garde à
elle.
Sur le chemin du salut, sur le chemin charnel, sur
le chemin raboteux du salut, sur la route inter-
minable, sur la route entre ses deux sœurs la
petite espérance
S’avance.
Entre ses deux grandes sœurs.
Celle qui est mariée.
Et celle qui est mère.
Et l’on n’a d’attention, le peuple chrétien n’a d’attention que pour les deux grandes sœurs.
La première et la dernière.
Qui vont au plus pressé.
Au temps présent.
À l’instant momentané qui passe.
Le peuple chrétien ne voit que les deux grandes sœurs, n’a de regard que pour les deux grandes sœurs.
Celle qui est à droite et celle qui est à gauche.
Et il ne voit quasiment pas celle qui est au milieu.
La petite, celle qui va encore à l’école.
Et qui marche.
Perdue entre les jupes de ses sœurs.
Et il croit volontiers que ce sont les deux grandes qui traînent la petite par la main.
Au milieu.
Entre les deux.
Pour lui faire faire ce chemin raboteux du salut.
Les aveugles qui ne voient pas au contraire.
Que c’est elle au milieu qui entraîne ses grandes sœurs.
Et que sans elle elles ne seraient rien.
Que deux femmes déjà âgées.
Deux femmes d’un certain âge.
Fripées par la vie.



C’est elle, cette petite, qui entraîne tout.
Car la Foi ne voit que ce qui est.
Et elle elle voit ce qui sera.
La Charité n’aime que ce qui est.
Et elle elle aime ce qui sera.


La Foi voit ce qui est.
Dans le Temps et dans l’Éternité.
L’Espérance voit ce qui sera.
Dans le temps et dans l’éternité.
Pour ainsi dire le futur de l’éternité même.


La Charité aime ce qui est.
Dans le Temps et dans l’Éternité.
Dieu et le prochain.
Comme la Foi voit.
Dieu et la création.
Mais l’Espérance aime ce qui sera.
Dans le temps et dans l’éternité.

Pour ainsi dire dans le futur de l’éternité.


L’Espérance voit ce qui n’est pas encore et qui sera.
Elle aime ce qui n’est pas encore et qui sera

Dans le futur du temps et de l’éternité.




Sur le chemin montant, sablonneux, malaisé.
Sur la route montante.
Traînée, pendue aux bras de ses deux grandes sœurs,
Qui la tiennent pas la main,
La petite espérance.
S’avance.
Et au milieu entre ses deux grandes sœurs elle a l’air de se laisser traîner.
Comme une enfant qui n’aurait pas la force de marcher.
Et qu’on traînerait sur cette route malgré elle.
Et en réalité c’est elle qui fait marcher les deux autres.
Et qui les traîne.
Et qui fait marcher tout le monde.
Et qui le traîne.
Car on ne travaille jamais que pour les enfants.

Et les deux grandes ne marchent que pour la petite.



Mes trois vertus, dit Dieu.
Maître des Trois Vertus.
Mes trois vertus ne sont point autrement que des
hommes et des femmes dans une maison des hommes.
Ce ne sont point les enfants qui travaillent.
Mais on ne travaille jamais que pour les enfants.
Ce n’est point l’enfant qui va aux champs, qui
laboure et qui sème, et qui moissonne et qui
vendange et qui taille la vigne et qui abat les
arbres et qui scie le bois.
Pour l’hiver.
Pour chauffer la maison l’hiver.
Mais est-ce que le père aurait du cœur à travailler
s’il n’y avait pas ses enfants.
Si ça n’était pas pour ses enfants.
Et l’hiver quand il travaille dur.
Dans la forêt.
Quand il travaille le plus dur.
De la serpe et de la scie et de la cognée et de la
hache.
Dans la forêt glacée.
L’hiver quand les vipères dorment dans le bois
parce qu’elles sont gelées.
Et quand il souffle une bise aigre.
Qui lui transperce les os.
Qui lui passe au travers de tous les membres.
Et il est tout transi et il claquerait des dents.
Et le givre lui fait des glaçons dans la barbe.
Tout d’un coup il pense à sa femme qui est restée
à la maison.
À sa femme qui est si bonne ménagère.
Dont il est l’homme devant Dieu.
Et à ses enfants qui sont bien tranquilles à la maison.
Qui jouent et qui s’amusent à c’te heure au coin du
feu.
Et qui peut-être se battent.
Ensemble.
Pour s’amuser.
Ils passent devant ses yeux, dans un éclair devant les yeux de sa mémoire, devant les yeux de son âme.
Ils habitent sa mémoire et son cœur et son âme et les yeux de son âme.
Ils habitent son regard.
Dans un éclair il voit ses trois enfants qui jouent et qui rient au coin du feu.
Ses trois enfants, deux garçons et une fille.
Dont il est le père devant Dieu.
Son aîné, son garçon qui a eu douze ans au mois de septembre.
Sa fille qui a eu neuf ans au mois de septembre.
Et son cadet qui a eu sept ans au mois de juin.
Ainsi la fille est au milieu.
Comme il convient.
Afin qu’elle soit défendue par ses deux frères.
Dans l’existence.
Un avant et l’autre après.
Ses trois enfants qui lui succéderont et qui lui survivront.
Sur terre.
Qui auront sa maison et ses terres.
Et s’il n’a point de maison et de terres qui auront du moins ses outils.
(S’il n’a point de maison et de terres il n’en aurontpoint non plus.
Voilà tout.)
(Il s’en est bien passé pour vivre.
Ils feront comme lui. Ils travailleront.)
Sa hache et sa cognée et sa serpe et sa scie.
Et son marteau et sa lime.
Et sa pelle et sa pioche.
Et sa bêche pour bêcher la terre.
Et s’il n’a pas de maison et de terre.
S’ils n’héritent pas sa maison et sa terre.
Au moins ils hériteront ses outils.
Ses bons outils.
Qui lui ont servi tant de fois.
Qui sont faits à sa main.
Qui ont tant de fois bêché la même terre.
Ses outils, à force de s’en servir, lui ont rendu
la main toute calleuse et luisante.
Mais lui, à force aussi de s’en servir, il a rendu poli
et luisant le manche de ses outils.
Et à force de travailler il a la peau aussi dure et
aussi tannée que le manche de ses outils.
Au manche de ses outils ses fils retrouveront, ses
fils hériteront la dureté de ses mains.
Mais aussi leur habileté, leur grande habileté.
Car il est un bon laboureur et un bon bûcheron.
Et un bon vigneron.
Et avec ses outils ses fils hériteront, ses enfants
hériteront.
Ce qu’il leur a donné, ce que nul ne pourrait leur
ôter.
(Presque même pas Dieu).
(Tant Dieu a donné à l’homme).
La force de sa race, la force de son sang.
Et ils sont Français et Lorrains.
Fils de bonne race et de bonne maison.
Or bonne race ne peut mentir.
Fils de bonne mère.
Et par dessus tout ce qui est par dessus tout avec
ses outils et avec sa race et avec son sang ses
enfants hériteront.
Ce qui vaut mieux qu’une maison et un morceau de
terre à laisser à ses enfants.
Car la maison et la terre sont périssables et périront.
Et la maison et la terre sont exposées au vent de
l’hiver.
À cette bise aigre qui souffle dans cette forêt.
Mais la bénédiction de Dieu n’est soufflée par aucun
vent.
Ce qui vaut mieux que les outils, ce qui est plus
laborieux, plus ouvrier que les outils.
Ce qui fait plus de travail que les outils.
Et les outils finissent tout de même par s’user.
Comme l’homme.
Ce qui vaut mieux, ce qui est plus durable que la
race et le sang.
Même.
Car la race même et le sang sont périssables et périront.
Excepté le sang de Jésus.
Qui sera versé dans les siècles des siècles.
Et la race même et le sang sont exposés au vent de l’hiver.
Et il peut y avoir un hiver des races.
Avec sa maison peut-être s’il en a une et sa terre.
Avec ses outils sûrement et sa race et son sang ses enfants hériteront.
Ce qui est au dessus de tout.
La bénédiction de Dieu qui est sur sa maison et sur sa race.
La grâce de Dieu qui vaut plus que tout.
Il le sait bien.
Qui est sur le pauvre et sur celui qui travaille.
Et qui élève bien ses enfants.
Il le sait bien.
Parce qu’il l’a promis.
Et qu’il est souverainement fidèle dans ses promesses.

Ses trois enfants qui grandissent tellement.
Pourvu qu’ils ne soient pas malades.
Et qui seront certainement plus grands que lui.
(Comme il en est fier dans son cœur).
Et ses deux gars seront rudement forts.
Ses deux gars le remplaceront, ses enfants tiendront sa place sur la terre.
Quand il n’y sera plus.
Sa place dans la paroisse et sa place dans la forêt.
Sa place dans l’église et sa place dans la maison.
Sa place dans le bourg et sa place dans la vigne.
Et sur la plaine et sur le coteau et dans la vallée.
Sa place dans la chrétienté. Enfin. Quoi.
Sa place d’homme et de chrétien.
Sa place de paroissien, sa place de laboureur.
Sa place de paysan.
Sa place de père.
Sa place de Lorrain et de Français.
Car c’est des places, grand Dieu, qu’il faut qui soient tenues.
Et il faut que tout cela continue.
Quand il n’y sera plus comme à présent.
Sinon mieux.
Il faut que la paysannerie continue.
Et la vigne et le blé et la moisson et la vendange.
Et le labour de la terre.
Et le pâtour des bêtes.
Quand il n’y sera plus comme à présent.
Sinon mieux.
Il faut que la chrétienté continue.
L’Église militante.
Et pour cela il faut qu’il y ait des chrétiens.
Toujours.
Il faut que la paroisse continue.
Il faut que France et que Lorraine continue.
Longtemps après qu’il ne sera plus.
Aussi bien comme à présent.
Sinon mieux.
Il pense avec tendresse à ce temps où il ne sera plus
et où ses enfants tiendront sa place.
Sur terre.
Devant Dieu.
À ce temps où il ne sera plus et où ses enfants
seront.
Et quand on dira son nom dans le bourg, quand on
parlera de lui, quand son nom sortira, au hasard
des propos, ce ne sera plus de lui que l’on parlera
mais de ses fils.
Ensemble ce sera de lui et ce ne sera pas de lui,
puisque ce sera de ses fils.
Ce sera son nom et ce ne sera plus et ce ne sera pas son nom, puisque ce sera (devenu) le nom de ses fils.
Et il en est fier dans son cœur et comme il y pense avec tendresse.
Que lui-même ne sera plus lui-même mais ses fils.
Et que son nom ne sera plus son nom mais le nom de
ses fils.
Que son nom ne sera plus à son service mais au service de ses fils.
Qui porteront le nom honnêtement devant Dieu.
Hautement et fièrement.
Comme lui.
Mieux que lui.
Et quand on dira son nom, c’est son fils qu’on appellera, c’est de son fils qu’on parlera.
Lui il sera depuis longtemps au cimetière.
Entour de l’église.
Lui, c’est-à-dire son corps.
Côte à côte avec ses pères et les pères de ses pères.
Aligné avec eux.
Avec son père et son grand père qu’il a connus.
Et avec tous les autres tous ceux qu’il n’a pas connus.
Tous les hommes et toutes les femmes de sa race.
Tous les anciens hommes et toutes les anciennes femmes.
Ses ancêtres et ses aïeux.
Et ses aïeules.
Tant qu’il y en a eu depuis que la paroisse a été fondée.
Par quelque saint fondateur.
Venu de Jésus.
Son corps, car pour son âme il y a longtemps.
Qu’il l’a recommandée à Dieu.
La mettant sous la protection de ses saints patrons.

Il dormira, son corps ainsi reposera.
Parmi les siens, (attendant les siens).
Attendant la résurrection des corps.
Jusqu’à la résurrection des corps son corps ainsi reposera.

Il pense avec tendresse à ce temps où on n’aura pas besoin de lui.
Et où ça ira tout de même.
Parce qu’il y en aura d’autres.
Qui porteront la même charge.
Et qui peut-être, et qui sans doute la porteront mieux.

Il pense avec tendresse à ce temps où il ne sera plus.
Parce que n’est-ce pas on ne peut pas être toujours.
On ne peut pas être et avoir été.
Et où tout marchera tout de même.
Où tout n’en marchera pas plus mal.
Au contraire.
Où tout n’en marchera que mieux.
Au contraire.
Parce que ses enfants seront là, pour un coup.

Ses enfants feront mieux que lui, bien sûr.
Et le monde marchera mieux.
Plus tard.
Il n’en est pas jaloux.
Au contraire.
Ni d’être venu au monde, lui, dans un temps ingrat.
Et d’avoir préparé sans doute à ses fils peut-être un temps moins ingrat.
Quel insensé serait jaloux de ses fils et des fils de ses fils.

Est-ce qu’il ne travaille pas uniquement pour ses enfants.

Il pense avec tendresse au temps où on ne pensera plus guère à lui qu’à cause de ses enfants.
(Si seulement on y pense quelquefois. Rarement.)
Quand son nom retentira (cordialement) dans le bourg.
C’est que quelqu’un appellera son fils Marcel ou son fils Pierre.
C’est que quelqu’un aura besoin de son fils Marcel ou de son fils Pierre.
Et les appelera, heureux de les voir. Et les cherchera.
Car c’est eux qui régneront alors et qui porteront le nom.
C’est eux qui régneront sur la face de la terre.
Peut-être quelque temps encore un vieux se rappellera.
Dira.
Les deux gars Sévin c’est des braves gars.
Ça n’est pas étonnant.
Ils ont de qui tenir.
Le père était un si brave homme.
Et quelque temps les jeunes rediront de confiance :
Le vieux était un si brave homme.
Mais déjà ils n’en sauront rien.
Puis ils ne sauront plus et cela même, ce propos même se taira.
Il pense avec tendresse au temps où il ne sera plus même un propos.
C’est à cela, c’est pour cela qu’il travaille, car n’est-ce pas pour ses enfants que l’on travaille.

Il ne sera plus qu’un corps dans six pieds de terre sous six pieds de terre sous une croix.
Mais ses enfants seront.
Il salue avec tendresse le temps nouveau où il ne sera plus.
Où il ne sera pas.
Où ses enfants seront.
Le règne de ses enfants.

La fede che più amo, dice Dio, è la speranza.
La fede, no, non mi sorprende.
La fede non è sorprendente.
Io risplendo talmente nella mia creazione.
Nel sole e nella luna e nelle stelle.
In tutte le mie creature.
Negli astri del firmamento e nei pesci del mare.
Nell'universo delle mie creature.
Sulla faccia della terra e sulla faccia delle acque.
Nei movimenti degli astri che sono nel cielo.
Nel vento che soffia sul mare e nel vento che soffia nella valle.
Nella calma valle.
Nella quieta valle.
Nelle piante e nelle bestie e nelle bestie delle foreste.
E nell'uomo.
Mia creatura.
Nei popoli e negli uomini e nei re e nei popoli.
Nell'uomo e nella donna sua compagna.
E soprattutto nei bambini.
Mie creature.
Nello sguardo e nella voce dei bambini. Perché i bambini sono più creature mie.
Che gli uomini.
Non sono ancora stati disfatti dalla vita.
Della terra.
E fra tutti sono i miei servitori.
Prima di tutti.
E la voce dei bambini è più pura della voce del vento nella calma della valle.
Nella quieta valle.
E lo sguardo dei bambini è più puro dell'azzurro del cielo, del bianco latteo del cielo, e di un raggio di stella nella calma notte.
Ora io risplendo talmente nella mia creazione.
Sulla faccia delle montagne e sulla faccia della pianura.
Nel pane e nel vino e nell'uomo che ara e nell'uomo che semina e nella mietitura e nella vendemmia.
Nella luce e nelle tenebre.
E nel cuore dell'uomo, che è ciò che di più profondo v'è nel mondo.
Creato.
Così profondo da esser impenetrabile a ogni sguardo.
Tranne che al mio sguardo.
Nella tempesta che scuote le onde e nella tempesta che scuote le foglie.
Degli alberi della foresta.
E al contrario nella quiete d'una bella serata.
Nelle sabbie del mare e nelle stelle che son sabbia nel cielo.
Nella pietra della soglia e nella pietra del focolare e nella pietra dell'altare.
Nella preghiera e nei sacramenti.
Nelle case degli uomini e nella chiesa che è la mia casa sulla terra.
Nell'aquila mia creatura che vola sui picchi.
L'aquila reale che ha almeno due metri d'apertura d'ali e fors'anche tre.
E nella formica mia creatura che striscia e che ammassa miseramente.
Nella terra.
Nella formica mio servitore.
E fin nel serpente.
Nella formica mia serva, mia infima serva, che ammassa a fatica, la parsimoniosa.
Che lavora come una disgraziata e non conosce sosta e non conosce riposo.
Se non la morte e il lungo sonno invernale.
(...)
Io risplendo talmente in tutta la mia creazione.
Nell'infima, nella mia creatura infima, nella mia serva infima, nella formica infima.
Che tesaurizza miseramente, come l'uomo.
Come l'uomo infimo.
E che scava gallerie nella terra.
Nel sottosuolo della terra.
Per ammassarvi meschinamente dei tesori.
Temporali.
Poveramente.
E fin nel serpente.
Che ha ingannato la donna e che perciò striscia sul ventre.
E che è mia creatura e che è mio servitore.
il serpente che ha ingannato la donna.
Mia serva.
Che ha ingannato l'uomo mio servitore.
Io risplendo talmente nella mia creazione.
In tutto ciò che accade agli uomini e ai popoli, e ai poveri.
E anche ai ricchi.
Che non vogliono esser mie creature.
E che si mettono al riparo.
Per non esser miei servitori.
In tutto ciò che l’uomo fa e disfa in male e in bene.
(E io passo sopra a tutto, perché sono il signore, e faccio ciò che lui ha disfatto e disfo quello che lui ha fatto).
E fin nella tentazione del peccato.
Stesso.
E in tutto ciò che è accaduto a mio figlio.
A causa dell'uomo.
Mia creatura.
Che io avevo creato.
Nell'incorporazione, nella nascita e nella vita e nella morte di mio figlio.
E nel santo sacrificio della messa.
In ogni nascita e in ogni vita.
E in ogni morte.
E nella vita eterna che non avrà mai fine.
Che vincerà ogni morte.
Io risplendo talmente nella mia creazione.
Che per non vedermi realmente queste povere persone dovrebbero esser cieche.
La carità, dice Dio, non mi sorprende.
La carità, no, non è sorprendente.
Queste povere creature son così infelici che, a meno di aver un cuore di pietra, come potrebbero non aver carità le une per le altre.
Come potrebbero non aver carità per i loro fratelli.
Come potrebbero non togliersi il pane di bocca, il pane di ogni giorno, per darlo a dei bambini infelici che passano.
E da loro mio figlio ha avuto una tale carità.
Mio figlio loro fratello.
Una così grande carità.
Ma la speranza, dice Dio, la speranza, sì, che mi sorprende.
Me stesso.
Questo sì che è sorprendente.
Che questi poveri figli vedano come vanno le cose e credano che domani andrà meglio.
Che vedano come vanno le cose oggi e credano che andrà meglio domattina.
Questo sì che è sorprendente ed è certo la più grande meraviglia della nostra grazia.
Ed io stesso ne son sorpreso.
E dev'esser perché la mia grazia possiede davvero una forza incredibile.
E perché sgorga da una sorgente e come un fiume inesauribile
Da quella prima volta che sgorgò e da sempre che sgorga.
Nella mia creazione naturale e soprannaturale.
Nella mia creazione spirituale e carnale e ancora spirituale.
Nella mia creazione eterna e temporale e ancora eterna.
Mortale e immortale.
E quella volta, oh quella volta, da quella volta che sgorgò, come un fiume di sangue, dal fianco trafitto di mio figlio.
Quale non dev'esser la mia grazia e la forza della mia grazia perché questa piccola speranza, vacillante al soffio del peccato, tremante a tutti i venti, ansiosa al minimo soffio,
sia così invariabile, resti così fedele, così eretta, così pura; e invincibile, e immortale, e impossibile da spegnere; come questa fiammella del santuario.
Che brucia in eterno nella lampada fedele.
Una fiamma tremolante ha attraversato la profondità dei mondi.
Una fiamma vacillante ha attraversato la profondità delle notti.
Da quella prima volta che la mia grazia è sgorgata per la creazione del mondo.
Da sempre che la mia grazia sgorga per la conservazione del mondo.
Da quella volta che il sangue di mio figlio è sgorgato per la salvezza del mondo.
Una fiamma che non è raggiungibile, una fiamma che non è estinguibile dal soffio della morte.
Ciò che mi sorprende, dice Dio, è la speranza.
E non so darmene ragione.
Questa piccola speranza che sembra una cosina da nulla.
Questa speranza bambina.
Immortale.
Perché le mie tre virtù, dice Dio.
Le tre virtù mie creature.
Mie figlie mie fanciulle.
Sono anche loro come le altre mie creature.
Della razza degli uomini.
La Fede è una Sposa fedele.
La Carità è una Madre.
Una madre ardente, ricca di cuore.
O una sorella maggiore che è come una madre.
La Speranza è una bambina insignificante.
Che è venuta al mondo il giorno di Natale dell'anno scorso.
Che gioca ancora con il babbo Gennaio.
Con i suoi piccoli abeti in legno di Germania coperti di brina dipinta.
E con il suo bue e il suo asino in legno di Germania. Dipinti.
E con la sua mangiatoia piena di paglia che le bestie non mangiano.
Perché sono di legno.
Ma è proprio questa bambina che attraverserà i mondi.
Questa bambina insignificante.
Lei sola, portando gli altri, che attraverserà i mondi passati.
Come la stella ha guidato i tre re dal più remoto Oriente.
Verso la culla di mio figlio.
Così una fiamma tremante.
Lei sola guiderà le Virtù e i Mondi.
Una fiamma squarcerà delle tenebre eterne.
(...)
Si dimentica troppo, bambina mia, che la speranza è una virtù, che è una virtù teologale, e che di tutte le virtù, e delle tre virtù teologali, è forse quella più gradita a Dio.
Che è certamente la più difficile, che è forse l'unica difficile, e che probabilmente è la più gradita a Dio.
La fede va da sé. La fede cammina da sola. Per credere basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare. Per non credere bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Prendersi a rovescio, mettersi a rovescio, andare all'inverso. La fede è tutta naturale, tutta sciolta, tutta semplice, tutta quieta. Se ne viene pacifica. E se ne va tranquilla. È una brava donna che si conosce, una brava vecchia, una brava vecchia parrocchiana, una brava donna della parrocchia, una vecchia nonna, una brava parrocchiana. Ci racconta le storie del tempo antico, che sono accadute nel tempo antico. Per non credere, bambina mia, bisognerebbe tapparsi gli occhi e le orecchie. Per non vedere, per non credere.
La carità va purtroppo da sé. La carità cammina da sola. Per amare il proprio prossimo basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare una tal miseria. Per non amare il proprio prossimo bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Farsi male. Snaturarsi, prendersi a rovescio, mettersi a rovescio. Andare all'inverso. La carità è tutta naturale, tutta fresca, tutta semplice, tutta quieta. È il primo movimento del cuore. E il primo movimento quello buono. La carità è una madre e una sorella.
Per non amare il proprio prossimo, bambina mia, bisognerebbe tapparsi gli occhi e le orecchie.
Dinanzi a tanto grido di miseria.
Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da sola. Per sperare, bambina mia, bisogna esser molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia.
È la fede che è facile ed è non credere che sarebbe impossibile. È la carità che è facile ed è non amare che sarebbe impossibile. Ma è sperare che è difficile
(...)
E quel che è facile e istintivo è disperare ed è la grande tentazione.
La piccola speranza avanza fra le due sorelle maggiori e su di lei nessuno volge lo sguardo.
Sulla via della salvezza, sulla via carnale, sulla via accidentata della salvezza, sulla strada interminabile, sulla strada fra le sue due sorelle la piccola speranza.
Avanza.
Fra le due sorelle maggiori.
Quella che è sposata.
E quella che è madre.
E non si fa attenzione, il popolo cristiano non fa attenzione che alle due sorelle maggiori.
La prima e l'ultima.
Che badano alle cose più urgenti.
Al tempo presente.
All'attimo momentaneo che passa.
il popolo cristiano non vede che le due sorelle maggiori, non ha occhi che per le due sorelle maggiori.
Quella a destra e quella a sinistra.
E quasi non vede quella ch'è al centro.
La piccola, quella che va ancora a scuola.
E che cammina.
Persa fra le gonne delle sorelle.
E ama credere che sono le due grandi a portarsi dietro la piccola per mano.
Al centro.
Fra loro due.
Per farle fare questa strada accidentata della salvezza.
Ciechi che sono a non veder invece
Che è lei al centro a spinger le due sorelle maggiori.
E che senza di lei loro non sarebbero nulla.
Se non due donne avanti negli anni.
Due donne d'una certa età.
Sciupate dalla vita.
È lei, questa piccola, che spinge avanti ogni cosa.
Perché la Fede non vede se non ciò che è.
E lei, lei vede ciò che sarà.
La Carità non ama se non ciò che è.
E lei, lei ama ciò che sarà.
La Fede vede ciò che è.
Nel Tempo e nell'Eternità.
La Speranza vede ciò che sarà.
Nel tempo e per l'eternità.
Per così dire nel futuro della stessa eternità.
La Carità ama ciò che è.
Nel Tempo e nell'Eternità.
Dio e il prossimo.
Così come la Fede vede.
Dio e la creazione.
Ma la Speranza ama ciò che sarà.
Nel tempo e per l'eternità.
Per così dire nel futuro dell'eternità.
La Speranza vede quel che non è ancora e che sarà.
Ama quel che non è ancora e che sarà.
Nel futuro del tempo e dell'eternità.
Sul sentiero in salita, sabbioso, disagevole.
Sulla strada in salita.
Trascinata, aggrappata alle braccia delle due sorelle maggiori,
Che la tengono per mano,
La piccola speranza.
Avanza.
E in mezzo alle due sorelle maggiori sembra lasciarsi tirare.
Come una bambina che non abbia la forza di camminare.
E venga trascinata su questa strada contro la sua volontà.
Mentre è lei a far camminar le altre due.
E a trascinarle,
E a far camminare tutti quanti,
E a trascinarli.
Perché si lavora sempre solo per i bambini.
E le due grandi camminan solo per la piccola.
(da Il portico del mistero della seconda virtù)




Profilo biografico: scrittore francese (1873-1914), di famiglia contadina, compì studi nella Scuola Normale di Parigi, dove ebbe a maestro il filosofo Henri Bergson. Partito da una forma di socialismo personale, si accostò in seguito al cattolicesimo, esperienza religiosa che si rivela nelle sue ultime opere, le più importanti. Allo scoppio della prima guerra mondiale, si arruolò volontario trovando presto la morte nella battaglia della Marna. Nel 1900 aveva fondato i Cahiers de la quinzaine, proseguendo la pubblicazione fino alla morte e dovendo lottare contro molte difficoltà.

Marcel Proust, POESIE

À Gustave L. de W.
«Amants. Heureux amants!» (La Fontaine)

L’ amour monte des cœurs comme une odeur de roses!
Il est beau de connaître un cœur empli d’amour,
De voir jusqu’en leur fond ses sources large écloses
Qui vont si vite et clair par cet éclatant jour.
Pourtant les Cœurs aimants ressemblent beaucoup mieux

À la nuit exaltante encor plus que le jour,
À la nuit, claire ou noire, et qui verse des cieux
Un trouble doux, mystérieux comme l’amour.

La nuit! la mer! les deux seules choses magiques
Serré dans son manteau magnifique et soyeux,
Je me perds en noyant mes regards dans ses yeux,
Ses yeux indifférents, langoureux et mystiques

Marcel Proust, da “Scritti Giovanili”

POESIA
A Gustave L. de W.

L’amore sale dai cuori come un profumo di rose!
È bello conoscere un cuore pieno d’amore,
vederne sin nel profondo le ricche fonti dischiuse,
che si gettano tanto rapide e limpide in questo giorno
[splendente
ma i cuori che amano sono molto più simili

Alla notte ancor più esaltante del giorno,
alla notte chiara o buia, che versa dai cieli
un dolce scompiglio, misterioso come l’amore.

La notte! il mare! le sole due cose magiche!
Avvolto nel suo serico e magnifico mantello
in essa mi perdo annegando i miei sguardi nei suoi occhi,
i suoi occhi indifferenti, languidi e mistici.

(Traduzione di Giuliano Brenna)


ESULI

Esuli
respiriamo all’alba l’alito del sogno
questo sogno vivo come sangue sorgivo
sgorgante da vaghe visioni
vivido come silenzio
sibilante tra le valli del vuoto

Esuli noi
da insondabili esili, vaghiamo su sospirate nebbie
in solitarie veglie inconsapevoli
vere, forse
sopra il vero
vive polene in vortici desti
palpitanti su sussurrate polveri di bruma

Esuli noi, sì esuli!
simili a sfocati viandanti
esponiamo ansimanti miserie e sospiri
e nuovi Cristi in flagello
sferzati da sordidi sogni
riponiamo chimere in ansiti estremi

Oh noi
esiliati dalla vita!
che consegniamo arresi al calar della coltre
illusori destini
che cediamo inerti alle spire del sonno
delitti incolpevoli
che sgonfiamo i corpi insufflati da demoni
con spilli minori

O forse
finalmente vivi
respiriamo l’alba dell’alba dei giorni
fluttuanti come profughi erranti
su navi corsare
abbandonati ignari al veleggiar dei flutti
su canoe inconsapevoli
perse e disperse in vaghi ingombri di tenebre
squarciate a strappi
da lampi di luce

Sì,
finalmente vivi!
Perché volti riflessi nella sostanza del nulla
Perché paghi e incoscienti
di inconsapevole vivere
perché assolti e sedati
da pensieri sognanti
perché sazi e sopiti in essenza incorporea

Noi
divenuti alla fine sostanza del cosmo
soffio di sogno
fiato di vita




Apollinaire



IL PLEUT





















PIOVE
Il pleut des voix de femmes comme si elles étaient mortes même dans le souvenir
c’est vous aussi qu’il pleut, merveilleuses rencontres de ma vie. ô gouttelettes!
et ces nuages cabrés se prennent à hennir tout un univers de villes auriculaires
écoute s’il pleut tandis que le regret et le dédain pleurent une ancienne musique
écoute tomber les liens qui te retiennent en haut et en bas
Piovono voci di donne come se fossero morte anche nel ricordo
siete anche voi che piovete meravigliosi incontri della mia vita o goccioline
e quelle nuvole impennate si mettono a nitrire tutto un universo di città auricolari
ascolta se piove mentre il rimpianto e lo sdegno piangono un vecchio motivo
ascolta cadere i legami che ti trattengono in alto e in basso



Paul Verlaine
Ha scritto con assoluta pertinenza, a proposito della poesia di Paul VerlaineMario Luzi: “Verlaine applica sempre più decisamente la metamorfosi musicale delle emozioni, fino ad esprimere per questa via l’essenza ineffabile dell’anima e il mistero dei suoi legami con il mondo. La sua musica esala da uno spirito che è posseduto e non possiede, ma ha dalla sua la grazia di comunicare il suo inconoscibile come tale”.

Puisque l'aube grandit


Puisque l'aube grandit, puisque voici l'aurore,
Puisque, après m'avoir fui longtemps, l'espoir veut bien
Revoler devers moi qui l'appelle et l'implore,
Puisque tout ce bonheur veut bien être le mien,

C'en est fait à présent des funestes pensées,
C'en est fait des mauvais rêves, ah! c'en est fait
Surtout de l'ironie et des lèvres pincées
Et des mots où l'esprit sans l'âme triomphait.

Arrière aussi les poings crispés et la colère
À propos des méchants et des sots rencontrés;
Arrière la rancune abominable! arrière
L'oubli qu'on cherche en des breuvages exécrés!

Car je veux, maintenant qu'un Être de lumière
A dans ma nuit profonde émis cette clarté
D'une amour à la fois immortelle et première,
De par la grâce, le sourire et la bonté,

Je veux, guidé par vous, beaux yeux aux flammes douces,
Par toi conduit, ô main où tremblera ma main,
Marcher droit, que ce soit par des sentiers de mousses
Ou que rocs et cailloux encombrent le chemin;

Oui, je veux marcher droit et calme dans la Vie,
Vers le but où le sort dirigera mes pas,
Sans violence, sans remords et sans envie:
Ce sera le devoir heureux aux gais combats.

Et comme, pour bercer les lenteurs de la route,
Je chanterai des airs ingénus, je me dis
Qu'elle m'écoutera sans déplaisir sans doute;
Et vraiment je ne veux pas d'autre Paradis.

Poiché l'alba si accende...

Poiché l'alba si accende, ed ecco l'aurora,
poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente
a ritornare a me che la chiamo e l'imploro,
poiché questa felicità consente ad esser mia,

facciamola finita coi pensieri funesti,
basta con i cattivi sogni, ah! soprattutto
basta con l'ironia e le labbra strette
e parole in cui uno spirito senz'anima trionfava.

E basta con quei pugni serrati e la collera
per i malvagi e gli sciocchi che s'incontrano;
basta con l'abominevole rancore! basta
con l'oblìo ricercato in esecrate bevande!

Perché io voglio, ora che un Essere di luce
nella mia notte fonda ha portato il chiarore
di un amore immortale che è anche il primo
per la grazia, il sorriso e la bontà,

io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme,
da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia,
camminare diritto, sia per sentieri di muschio
sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino;

sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita
verso la meta a cui mi spingerà il destino,
senza violenza, né rimorsi, né invidia:
sarà questo il felice dovere in gaie lotte.

E poiché, per cullare le lentezze della via,
canterò arie ingenue, io mi dico
che lei certo mi ascolterà senza fastidio;
e non chiedo, davvero, altro Paradiso.


Stephane Mallarmé
La seconda metà del Novecento assegna una gloria e una fama straordinarie a Stéphane Mallarmé; fatto a dir poco sorprendente, dato che la poesia di Mallarmé è spesso ermetica e d’accesso oggettivamente molto difficile. La poesia di uno dei grandi eredi di Baudelaire e fra i grandi maestri del simbolismo, però, tocca corde essenziali per l’essere umano, nel suo interrogarsi con il nulla, il mistero, con l’importanza della parola e con il ruolo salvifico della poesia.

Brise marine

La chair est triste, hélas! et j’ai lu tous les livres.
Fuir! là-bas fuir! Je sens que des oiseaux sont ivres
D’être parmi l’écume inconnue et les cieux!
Rien, ni les vieux jardins reflétés par les yeux
Ne retiendra ce cœur qui dans la mer se trempe

Ô nuits! ni la clarté déserte de ma lampe
Sur le vide papier que la blancheur défend
Et ni la jeune femme allaitant son enfant.
Je partirai! Steamer balançant ta mâture,
Lève l’ancre pour une exotique nature!

Un Ennui, désolé par les cruels espoirs,
Croit encore à l’adieu suprême des mouchoirs!
Et, peut-être, les mâts, invitant les orages
Sont-ils de ceux qu’un vent penche sur les naufrages
Perdus, sans mâts, sans mâts, ni fertiles îlots…
Mais, ô mon cœur, entends le chant des matelots!
BREZZA MARINA
La carne è triste, ahimè! e ho letto tutti i libri.
Fuggire là, fuggire! Io sento uccelli ebbri
D'esistere tra cieli ed ignorate spume.
O notti! né il chiarore deserto del mio lume
Sulla pagina vuota che il candore difende,
Riterrà questo cuore che al mare si protende,
Né la giovane donna che allatta ad una culla,
Né antichi parchi a specchio d'occhi pensosi, nulla.
Io partirò! Veliero dall'alta alberatura,
Salpa l'ancora verso un'esotica natura!
Un Tedio, desolato dalle speranze inani,
Crede ancora all'addio supremo delle mani!
E questi alberi forse, amici alle-tempeste,
Sono quelli perduti che il vento adesso investe,
Perduti, senza vele, né verdi isole ormai...
Ma tu, mio cuore, ascolta cantare i marinai!


Attività realizzate nella classe
-          Lettura dei testi in lingua francese
-          Parafrasare testi poetici
-          Confrontare testi di autori diversi
-          Confrontare testi di autori francesi con testi di autori italiani
-          Relazionare oralmente sull’attività svolta
-          Imparare a memoria testi poetici
-          Fare ricerche biografiche sugli autori cercando in internet
-          Produrre testi poetici propri seguendo l’esempio dei poeti studiati








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