martedì 19 giugno 2018


GIUSEPPE UNGARETTI
Le poesie de Il porto sepolto
Attività svolta nella classe 3 A, a. s. 2017-18 (prof. Bruno Trevellin)
La nascita in Italia della poesia moderna - 1916
UNGARETTI, Giuseppe (1888-1970).

Il porto sepolto (Udine, Stabilimento tipografico friulano, 1916).

PRIMA EDIZIONE del primo e più celebre libro di Ungaretti. Data la sua importanza e la sua rarità, la prima edizione de Il porto sepolto costituisce uno dei libri italiani del Novecento più ricercati (tiratura di soli 80 esemplari numerati). Scritte in trincea su ritagli di giornale e cartoline che l’autore conservava nella sua bisaccia da campo, le liriche di Ungaretti, fatte di pochi versi, scabre, appese ad un esile filo coma la vita dei soldati al fronte, segnano per l’Italia la nascita della poesia moderna
Il primo ad accorgersi della loro deflagrante novità fu l’editore Ettore Serra, che curò tipograficamente la stampa udinese, per la quale scelse un carattere molto classico (il dieci bodoniano) e circondò il testo con un ampissimo margine bianco. Poche volte nella storia editoriale della nostra letteratura contemporanea si è pervenuti ad una tale perfezione nella corrispondenza fra testo e supporto librario. Leggere il Porto sepolto in questa edizione è come assistere ad una esecuzione dal vivo di un grande musicista: tutte le altre edizioni, compresa la seconda (sontuosamente impressa a La Spezia con prefazione di Benito Mussolini e venti xilografie di Francesco Gamba), suonano come una fredda registrazione fatta in studio. (da: http://www.alai.it/classici-italiani/la-nascita-in-italia-della-poesia-moderna-1916)


Poesie analizzate


IL PORTO SEPOLTO
Mariano il 29 giugno 1916

Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde

Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto


SILENZIO
Mariano il 27 giugno 1916

Conosco una città
che ogni giorno s’empie di sole
e tutto è rapito in quel momento

Me ne sono andato una sera

Nel cuore durava il limio
delle cicale

Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell’aria torbida
sospesi


DANNAZIONE
Mariano il 29 giugno 1916

Chiuso fra cose mortali
(Anche il cielo stellato finirà)
Perché bramo Dio?


IN MEMORIA
Locvizza il 30 settembre 1916.


Si chiamava
Moammed Sceab

Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome

Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè

E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono

L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.

Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera

E forse io solo
so ancora
che visse


PESO
Mariano il 29 giugno 1916

Quel contadino
si affida alla medaglia
di Sant’Antonio
e va leggero

Ma ben sola e ben nuda
senza miraggio
porto la mia anima

C’ERA UNA VOLTA
Quota Centoquarantuno l’1 agosto 1916

Bosco Cappuccio
ha un declivio
di velluto verde
come una dolce
poltrona

Appisolarmi là
solo
in un caffè remoto
con una luce fievole
come questa
di questa luna


IN DORMIVEGLIA
Valloncello di Cima Quattro il 6 agosto 1916

Assisto la notte violentata

L’aria è crivellata
come una trina
dalle schioppettate
degli uomini
ritratti
nelle trincee
come le lumache nel loro guscio

Mi pare
che un affannato
nugolo di scalpellini
batta il lastricato
di pietra di lava
delle mie strade
ed io l’ascolti
non vedendo
in dormiveglia


SONO UNA CREATURA
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916

Come questa pietra
del S. Michele
cosí fredda
cosí dura
cosí prosciugata
cosí refrattaria
cosí totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo



I FIUMI
Cotici il 16 agosto 1916

Mi tengo a quest’albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposato

L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso

Ho tirato su
le mie quattr’ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua

Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole

Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo

Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia

Ma quelle occulte
mani
che m’intridono
mi regalano
la rara
felicità

Ho ripassato
le epoche
della mia vita

Questi sono
i miei fiumi

Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre

Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza
nelle estese pianure

Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto

Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre


COMMIATO
Locvizza il 2 ottobre 1916

Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento

Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso

APPROFONDIMENTO
GIUSEPPE UNGARETTI
Biografia
Nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888 da genitori lucchesi emigrati e vi rimane fino ai 24 anni. Studia in collegi di lingua francese e frequenta ambienti di intellettuali anarchici e fuoriusciti da ogni paese ( “Baracca Rossa”).
Nel 1912 lascia l’Egitto e, dopo una breve sosta in Italia, si stabilisce a Parigi per perfezionare gli studi alla Sorbona. Qui, abbandonati gli studi di giurisprudenza per quelli di Lettere, entra in contatto con le avanguardie e conosce Apollinaire, Picasso, Bergson, Braque, Gide. Si incontra anche con Soffici e Papini, fondatori della rivista futurista “Lacerba”, sulle cui pagine pubblica le sue prime poesie.
Fervente interventista (spera che l’Italia entri in guerra al fianco della Francia e aderirà al fascismo), allo scoppio della prima guerra mondiale torna in Italia e si arruola come fante nell’esercito italiano e viene mandato a combattere sul Carso come soldato semplice. Dall’esperienza di trincea nasce la raccolta “Il Porto sepolto” (1916).
Alla fine della guerra, dopo una breve sosta in Francia e il matrimonio con Jeanne Dupoix, si stabilisce a Roma, dove lavora come interprete per il Ministero degli Esteri.
Nel 1919 pubblica “Allegria dei naufragi” che comprende anche le poesia dei “Il Porto sepolto”. A partire dal 1931 il titolo di questa raccolta verrà modificato in “L’allegria”
Da Roma si sposta per lavoro in diversi paesi tra cui Egitto, Olanda, Corsica, Italia meridionale. Durante questi viaggi completa i suoi studi sui classici italiani (Petrarca, Leopardi) e sui simbolisti francesi. A Roma, poi, entra in contatto con i redattori della rivista “La Ronda” (Riccardo Bacchelli, Bruno Barilli, Vincenzo Cardarelli, Emilio Cecchi), che auspicano un ritorno all’ordine, criticano lo sperimentalismo delle avanguardie, e condannano ogni contatto tra letteratura e politica. I rondisti si orientano verso “il frammento” vociano, trasformato in “prosa d’arte” destinata ad un pubblico borghese che nella letteratura ricerca solo il godimento estetico sganciato da qualsiasi impegno morale e politico. Da questa esperienza nascerà la raccolta “Sentimento del tempo” del 1933. In questa raccolta è anche evidente la sua conversione al cattolicesimo, maturata nel 1928.
Nel 1936, per necessità economiche (aveva due figli Anna Maria o Anna-Maria, come soleva firmare, con trattino alla francese, detta Ninon (17 febbraio 1925) e Antonietto (19 febbraio 1930)), si trasferisce a San Paolo in Brasile dove ottiene la cattedra di Letteratura italiana e dove però sarà colpito da gravi lutti: nel 1937 muore il fratello Costantino e nel 1939 il figlio Antonietto per un'appendicite mal curata, lasciando il poeta in uno stato di acuto dolore e d'intensa prostrazione interiore, evidente in molte delle poesie raccolte ne Il Dolore del 1947 e in Un Grido e Paesaggi del 1952.
Nel 1942 Ungaretti ritornò in Italia e venne nominato Accademico d'Italia e «per chiara fama» professore di letteratura moderna e contemporanea presso l'Università di Roma, ruolo che mantenne fino al 1958.
A partire dal 1942 la casa editrice Mondadori iniziò la pubblicazione dell'opera omnia di Ungaretti, intitolata Vita di un uomo. Nel secondo dopoguerra Ungaretti pubblicò nuove raccolte poetiche, dedicandosi con entusiasmo a quei viaggi che gli davano modo di diffondere il suo messaggio.
In Italia raggiunse una certa notorietà presso il grande pubblico nel 1968, grazie alle sue intense letture televisive di versi dell'Odissea.
Nella notte tra il 31 dicembre 1969 e il 1º gennaio 1970 scrisse l'ultima poesia, L'Impietrito e il Velluto, pubblicata in una cartella litografica il giorno dell'ottantaduesimo compleanno del poeta.
Morì a Milano nella notte tra l'1 e il 2 giugno 1970 per broncopolmonite. Il 4 giugno si svolse il suo funerale a Roma, nella Chiesa di San Lorenzo fuori le Mura, ma non vi partecipò alcuna rappresentanza ufficiale del Governo italiano. È sepolto nel Cimitero del Verano accanto alla moglie Jeanne.
Altre raccolte
1950. “Terra promessa”
1952. “Un grido e paesaggi”
1960. “Il taccuino del vecchio”
1967. “Morte delle stagioni”
1968. “Dialogo”
Opera omnia: “Vita di un uomo” 1942 Modadori (Dimensione autobiografica, ma allo stesso tempo universale; un = articolo indeterminativo: si parla di un uomo particolare, il poeta, ma anche di un uomo tra tanti)
IL PORTO SEPOLTO (1916) (allude ad una antica leggenda egiziana secondo la quale nel mare di Alessandria era sepolto un antico porto, pieno di tesori che nessuno era mai riuscito a trovare). Si tratta di una raccolta di circa 30 poesie scritte tra il 1915 e il 1916 sul Carso, in guerra.
Il porto sepolto è la metafora esistenziale di una meta irraggiungibile, sommersa dagli eventi drammatici della storia. Il navigante vi tende, ma ormai è circondato da mistero, lo stesso mistero che nella vita dell’uomo contemporaneo avvolge le cose e che solo il poeta con la sua parola può svelare.
ALLEGRIA DI NAUFRAGI (1919)
Nel titolo è presente un ossimoro che allude alla volontà di ricominciare sempre anche dopo una sconfitta o un fallimento: “E subito riprende / il viaggio / come / dopo il naufragio / un superstite / lupo di mare “, scrive Ungaretti, intendendo con “naufragio” la tragedia esistenziale dell’uomo contemporaneo che ha smarrito la rotta e la possibilità di raggiungere la meta che si può intravvedere solo nell’improvvisa illuminazione poetica.
In questa raccolta confluiscono le liriche di “Porto sepolto” (ne vengono eliminate alcune e vi è una revisione dei versi e della punteggiatura).
La dimensione delle liriche è autobiografica (compare in ognuna la data e il luogo dove sono state scritte) e fortemente simbolista.
La guerra diviene simbolo e metafora dell’esperienza estrema, limite, che fa emergere i bisogni e i sentimenti essenziali, elementari. Per questo il poeta è alla ricerca di una parola scarna, isolata, essenziale, pura, capace di esprimere intense emozioni. Le liriche sono infatti brevi e caratterizzate da continui “a capo” che frantumano la linearità del messaggio poetico. La civiltà è ridotta in frantumi e quindi la poesia non ha bisogno di grandi discorsi, ma di frammenti di grande intensità.
Il lettore è spinto a trovare da sé la continuità di senso che la metrica e la sintassi non assicurano più.
Ungaretti avverte l’esigenza di una poesia nuova, lontana dalla retorica dannunziana e dallo sperimentalismo vuoto e solo verbale delle avanguardie e per questo lavora tanto sulla parola per trovare nuove forme di espressione
Poesia: 
È un dono, una folgorazione, un’ispirazione improvvisa che accende il poeta e gli fa trovare la parola capace di esprimere la verità profonda della realtà 
È ricerca, studio della tradizione precedente e riflessione critica. Le poesie non sono state scritte di botto, ma sono frutto di una lunga ricerca espressiva per trovare l’essenziale, per trovare ciò che nella sua esperienza individuale ha valore universale e che quindi riguarda tutti (UNANIMISMO) 
Nasce dall’anima, dall’esperienza interiore dell’uomo, ma è in grado di superare la relatività della vita umana per arrivare all’Assoluto 
Scava nella memoria, non si limita a descrivere , ma evoca, crea la realtà
Parola
La poesia restituisce alla parola la sua purezza originaria. La parola recupera la sua verginità e i suoi aspetti di novità, caratteristiche che aveva all’origine, nella notte dei tempi quando fu usata per la prima volta dall’uomo per nominare le cose.
La parola illumina gli aspetti segreti del reale e ne rivela la sostanza nascosta. Nel momento in cui il poeta pronuncia la “sua parola”, è l’essenza profonda delle cose che viene nominata, quella verità originaria che l’uomo ha perduto ritrovandosi naufrago in un mondo senza senso e attraversato dal dolore. La parola, dunque, spinge l’uomo verso il porto sepolto, cioè l’innocenza perduta, la terra natale miraggio di ogni esule e di ogni viaggiatore
Tecniche
Per dare centralità alla parola, Ungaretti usa diverse tecniche derivate dai futuristi (demolizione del verso), simbolisti (uso dell’analogia spesso oscura), dai romantici ( verso sciolto e verso libero) , ma è solo con la sua poetica che vengono introdotte vere innovazioni formali legate a contenuti nuovi. 
Poesie brevi, brevissime, frammenti condensati. Così ogni parola si carica di molti significati (polisemia). 
Parole isolate tra due pause, spesso capaci di fungere, da sole, da verso (ecco perché la costante revisione delle poesie , sottoposte ad un lavoro di limatura, riduzione alla ricerca dell’essenzialità che sfiora quasi il silenzio) 
Frequenti “a capo” che liberano la parola del peso dei significati tradizionali; 
Parole accostate le une alle altre mediante puri legami analogici (manca il verbo, o verbi non di modo finito, strutture nominali , paratassi..) 
Semplificazione della sintassi ( riduce al minimo la subordinazione) ed eliminazione della punteggiatura 
Verso libero spesso nato dalla scomposizione di versi tradizionali (es. “M’illumino/ d’immenso” = settenario); “La notte / si sconta / vivendo” = novenario) .
Linguaggio non aulico e solenne, ma che allude , attraverso l’so di termini rarefatti ed essenziali, ad una verità profonda nascosta sotto le macerie della realtà 
Uso dell’analogismo spinto
Poeta
Il poeta riesce a penetrare nella vera natura delle cose alla ricerca di una verità universale che scaturisce dalla verità individuale di un uomo. La verità sfugge, è impossibile possederla totalmente. Si coglie per brevi attimi, in cui per illuminazioni improvvise si manifesta e che solo il poeta riesce a cogliere
Il poeta assume così un ruolo magico/esoterico. Sa esprimere l’inconoscibile e l’indicibile del mondo. Vede l’invisibile nel visibile, porta alla luce frammenti di verità nascosti nelle cose comuni.
Temi 
Al centro della raccolta c’è l’io (uso insistito del pronome personale di 1° persona, indicazioni di luoghi e date, episodi autobiografici), ma l’io lirico si propone come paradigma di un’esperienza che è sì individuale, ma anche universale (come ogni uomo anche il poeta è un naufrago disperso) 
Unanimismo: avvertire su di sé il valore collettivo delle vicende
Il viaggio, il nomade, l’uomo naufrago 
La morte 
La natura terribile. Paesaggio del Carso nudo, brullo, villaggi distrutti, terra spaccata dalle trincee, fango, alberi spogli. Questo paesaggio penetra negli uomini, diviene tutt’uno con il loro spirito segnato da percorsi esistenziali tortuosi e dolorosi. 
La guerra del Carso, cruda, priva di trasfigurazioni eroiche diviene oltre che esperienza storica concreta, emblema della condizione dell’uomo contemporaneo che oscilla tra la vita e la morte, minacciato dalla precarietà e dal nulla 
la condizione anomala di un soldato tra tanti, ma anche occasione rivelatrice della propria autentica identità esistenziale (condizione di sradicamento e anonimato da cui però ci si può riscattare grazie alla poesia che rivela il significato profondo dell’esistenza)
Queste tematiche evidenziano la fragilità e la precarietà degli uomini, fratelli nella sofferenza
L’ALLEGRIA (70 componimenti 1931 – 1936 – 1942)
Viene eliminato il complemento di specificazione “dei naufragi” perché si vuole sottolineare, nonostante tutto, la volontà di sopravvivenza, la positività vitale sullo sfondo della condizione tragica dell’uomo contemporaneo.
Nell’universale naufragio, Ungaretti ritrova le ragioni di un certo ottimismo, dell’allegria di un attimo, dello slancio vitale, della volontà di affermazione.
E’ la raccolta che costituisce il punto d’arrivo della prima fase del percorso poetico ungarettiano. In essa confluiscono le liriche de “Allegria di naufragi” nella quale erano già state inglobate le poesie di “Porto sepolto” ed è frutto di un lungo lavoro di correzione e sistemazione.
Ungaretti vuole cercare di interpretare la sua esperienza fuori dal tempo e dalla storia per far sì che il dato biografico diventi emblematico per tutta l’umanità . Tale ricerca comporta ’eliminazione, anche nelle poesie già pubblicate dei nessi logici, dei passaggi narrativi, e descrittivi.
SENTIMENTO DEL TEMPO (1933)
In questa raccolta alla quale si ispireranno gli Ermetici, vi è un recupero della tradizione dei classici (metrica, endecasillabo, lessico alto e colto, punteggiatura, sintassi più ampia, abbandono dei versicoli)
E’ un recupero però parziale: i versi sono spesso irregolari, le rime assenti, le strofe libere…
In questi anni è forte l’influenza di Bergson e Il tempo è avvertito dal poeta, in modo soggettivo, come durata interiore.
Per i futuristi il tempo è scandito da un orologio, è frantumato e segmentato ed ogni istante è esterno all’altro in successione lineare;
per Bergson il tempo potrebbe essere rappresentato da un gomitolo;
per Ungaretti il tempo è come un fiume: scorre incessantemente, ma può essere risalito, le sue acque sorgive si mescolano a quelle più mature così come il passato ed il presente si mescolano nella memoria di un uomo
Ne “L’allegria” domina l’indicativo presente e la prima persona (immediatezza dell’esperienza, lampo, folgorazione improvvisa); in “Sentimento del tempo” domina l’indicativo imperfetto, il tempo del ritorno, della memoria.
Temi 
In questa raccolta Ungaretti vuole superare la dimensione soggettiva e dar voce ai conflitti universali eterni, agli interrogativi esistenziali comuni a tutti gli uomini: Il rapporto effimero/eterno, la fragilità umana e la sua aspirazione all’assoluto. 
Il paesaggio non è più quello del Carso o dell’Egitto, ma è quello di una Roma barocca che evoca il sentimento dell’eterno e del sacro, ma ispira anche un senso di vuoto, di assenza, di vertigine. 
esperienza religiosa (Petrarca: aspirazione al divino). La storia dell’uomo è segnata da un’oscura colpa che va espiata e che però fa scaturire il sogno di una originaria innocenza perduta. La storia dell’uomo è segnata dalla caduta dall’Eden e dallo sforzo reiterato di riconquistarlo
IL DOLORE (1947)
La raccolta rappresenta una confessione autobiografica,un diario poetico sul tema del dolore (1939 era morto il figlioletto, 1937 era morto il fratello, è finita poi una guerra che ha lasciato infinite ferite, l’Italia è occupata e sconvolta)
Il sentimento del dolore è al centro della raccolta, un dolore individuale che si riflette nel dolore collettivo della guerra.
Il poeta è alla ricerca di un senso della morte e della vita, senso che sfugge continuamente. Il recupero dell’uomo cercando di toglierlo dalla sua precarietà non potrà avvenire attraverso la parola che scava nell’Io, o attraverso l’immersione in una dimensione atemporale e mitica, ma attraverso la cruda adesione al proprio sentimento , senza alcuna consolazione.
L’unica possibilità per riuscire in questo è la solidarietà con gli altri uomini. Solo la fraternità permette di superare il dolore causato dalla storia, il dolore universale.
Intervista a Ungaretti sull’origine delle poesie de Il porto sepolto
Ungaretti legge la sua poesia I fiumi







Nessun commento:

Posta un commento