Leonard Cohen in classe
Attività proposta in una classe terza
di Bruno
Trevellin, docente
Un articolo da Avvenire
Addio a Leonard Cohen, maestro della poesia e della
preghiera in musica
(di Alessandro
Zaccuri, Avvenire venerdì 11 novembre 2016)
E' morto a Los
Angeles all'età di 82 anni. Nel suo ultimo album uscito da pochi giorni:
"Sono pronto, Signore".
L’ultimo suo album, You Want It Darker, era
uscito da pochi giorni ed era esplicito, fin dalle prime battute: I’m ready,
my Lord, “sono pronto, Signore”. Per Leonard Cohen – il grande cantautore
morto la scorsa notte a Los Angeles all’età di 82 anni – modellare i suoi testi
sul modello della preghiera non era una novità.
Dalla celeberrima Hallelujah all’altrimenti insospettabile The Guests (che per l’autore rappresentava l’ingresso e il progresso di un’anima nel mondo), passando per raccolte poetiche come Libro di misericordia, nel quale il modello biblico dei Salmi si intrecciava con l’esperienza della meditazione orientale. Nato a Montreal, in Canada il 21 settembre 1934, proprio come poeta Cohen aveva esordito nel 1956, ottenendo poi un notevole successo di critica con il suo romanzo Il gioco preferito, apparso nel 1963.
Il primo disco, Songs of Leonard Cohen, porta la data del 1967 e contiene, tra l’altro, la bellissima Suzanne, che in Italia fu tradotta da Fabrizio De Andrè e che già lascia intedere la complessità del mondo spirituale di Cohen, ebreo per nascita ed educazione e, insieme, irresistibilmente attratto dalla figura di Gesù. Di album in album, e di canzone in canzone, Cohen ha esplorato i temi dell’impegno civile e della protesta (The Partisan, First We Take Manhattan), componendo nel frattempo indimenticabili canzoni d’amore (So Long, Marianne, Take This Waltz e molte altre).
In musica e sulla carta, in versi e in prosa, pur senza ricooscersi mai del tutto in una precisa fede religiosa, la sua opera si pone sotto il segno di un altro brano premonitore, Waiting For The Miracle, nel quale l’attesa del miracolo fa da sintesi tra il tumulto del mondo e la quiete della passione, gettando un ponte tra la generazione dei padri – il Nobel Bob Dylan, lo stesso Cohen – e quella dei figli, che ha in Bruce Springsteen il più riconoscibile erede.
Dalla celeberrima Hallelujah all’altrimenti insospettabile The Guests (che per l’autore rappresentava l’ingresso e il progresso di un’anima nel mondo), passando per raccolte poetiche come Libro di misericordia, nel quale il modello biblico dei Salmi si intrecciava con l’esperienza della meditazione orientale. Nato a Montreal, in Canada il 21 settembre 1934, proprio come poeta Cohen aveva esordito nel 1956, ottenendo poi un notevole successo di critica con il suo romanzo Il gioco preferito, apparso nel 1963.
Il primo disco, Songs of Leonard Cohen, porta la data del 1967 e contiene, tra l’altro, la bellissima Suzanne, che in Italia fu tradotta da Fabrizio De Andrè e che già lascia intedere la complessità del mondo spirituale di Cohen, ebreo per nascita ed educazione e, insieme, irresistibilmente attratto dalla figura di Gesù. Di album in album, e di canzone in canzone, Cohen ha esplorato i temi dell’impegno civile e della protesta (The Partisan, First We Take Manhattan), componendo nel frattempo indimenticabili canzoni d’amore (So Long, Marianne, Take This Waltz e molte altre).
In musica e sulla carta, in versi e in prosa, pur senza ricooscersi mai del tutto in una precisa fede religiosa, la sua opera si pone sotto il segno di un altro brano premonitore, Waiting For The Miracle, nel quale l’attesa del miracolo fa da sintesi tra il tumulto del mondo e la quiete della passione, gettando un ponte tra la generazione dei padri – il Nobel Bob Dylan, lo stesso Cohen – e quella dei figli, che ha in Bruce Springsteen il più riconoscibile erede.
Ascoltiamo You want it darker, dal suo ultimo album
https://www.youtube.com/watch?v=YD6fvzGIBfQ&list=RDYD6fvzGIBfQ
Leggiamo il testo e la traduzione
YOU WANT IT
DARKER
If you are the dealer
I’m out of the game If you are the healer Means I’m broken and lame If thine is the glory Then mine must be the shame You want it darker We kill the flame
Magnified and sanctified
Be Thy Holy Name Vilified and crucified In the human frame A million candles burning For the help that never came You want it darker
Hineni Hineni
I’m ready, my Lord
There’s a lover in the story
But the story’s still the same There’s a lullaby for suffering And a paradox to blame But it’s written in the scriptures And it’s not some idle claim You want it darker We kill the flame
They’re lining up the prisoners
And the guards are taking aim I struggled with some demons They were middle-class and tame I didn’t know I had permission To murder and to maim You want it darker
Hineni Hineni
I’m ready, my Lord
Magnified and sanctified
Be Thy Holy Name Vilified and crucified In the human frame A million candles burning For the love that never came You want it darker We kill the flame
If you are the dealer
let me out of the game If you are the healer I’m broken and lame If thine is the glory Mine must be the shame You want it darker
Hineni Hineni
I’m ready, my Lord |
TU VUOI PIU’
BUIO (1)
Se tu dai le
carte
Io non starò al gioco Se sei il guaritore Significa che sono zoppo e a pezzi Se tua è la gloria Allora mia dev’essere la vergogna Tu vuoi più buio
Magnificato e santificato
Sia il Santo Nome Vilipeso e crocefisso Nelle sue sembianze umane Un milione di candele accese Per quell’aiuto mai giunto Tu vuoi più buio
Hineni Hineni (2)
Sono pronto, mio Signore
C’è un amante nella storia
Ma la storia è sempre la stessa C’è una ninna nanna per chi soffre E un paradosso cui dar colpa Ma è inciso nelle Scritture E non è un’affermazione vuota Tu vuoi più buio Noi spegniamo la fiamma
Stanno allineando i prigionieri
E le guardie prendono la mira Ho lottato con alcuni demoni Erano borghesi e mansueti Non sapevo di avere il permesso Di uccidere e mutilare Tu vuoi più buio
Hineni Hineni
Sono pronto, mio Signore
Magnificato e santificato
Sia il Santo Nome (3) Vilipeso e crocefisso Nelle sue sembianze umane Un milione di candele accese Per quell’amore mai giunto Tu vuoi più buio Noi spegniamo la fiamma
Se tu dai le carte
Non farmi giocare Se sei il guaritore Io sono zoppo e a pezzi Se tua è la gloria Mia dev’essere la vergogna Tu vuoi più buio
Hineni Hineni
Sono pronto, mio Signore |
Approfondimenti sul testo
(1) ‘Darker’
è termine polisemico che è praticamente impossibile tradurre. ‘Dark’
letteralmente significa ‘scuro’ (come in ‘The Dark Side of The Moon’), ma
la parola ‘dark’ viene usata con molti altri significati metaforici: come ad
esempio in ‘he moved to dark side’ (‘ha abbracciato il lato oscuro’), ‘it’s a
dark day’ (‘è un giorno infausto’), ‘dark age’ (‘età buia’), ‘dark humour’
(‘umore tetro’ o anche semplicemente ‘dark’, ormai acclimatato in italiano).
Qui l’uso che Cohen sembra farne è simile a quello in Darkness, da Old Ideas, con un riferimento
(qui più velato) alla depressione – ma anche a un mondo immorale, in sfacelo.
Il tono, insomma, come da più parti già rimarcato, è quello apocalittico di The
Future. Noi abbiamo scelto ‘buio’ per creare una specie di contrasto con
l’immagine delle candele e della fiamma che viene spenta (evidentemente per
volontà del Signore).
(2) Hineni è
parola dell’ebraico biblico (הִנְנִי) che significa letteralmente ‘eccomi qui’. In ebraico
sono due le parole che con cui si può rendere l’idea di ‘eccomi': פֹּה poh e per
l’appunto הִנְנִי, Hineni. La prima indica
la semplice presenza fisica, la seconda indica una presenza completa, emotiva e
spirituale oltreché fisica, e rappresenta uno dei concetti più profondi
dell’ebraismo.
La parola hineni viene utilizzato solamente otto volte nell’Antico Testamento (sette volte in Genesi e una in Esodo) e in ogni occasione è segno di presenza assoluta al cospetto del Signore. L’episodio più noto è certamente quello di Abramo e Isacco, in cui hineni viene utilizzata tre volte: quando Dio lo chiama per metterlo alla prova (Genesi 22,1), mentre si appresta al sacrificio del figlio (in risposta alla chiamata di questi), e da ultimo mentre sta per levare il coltello contro Isacco e Dio lo chiama per mostrargli il montone da sacrificare.
Hineni (heani mimaas) è anche il verso iniziale della preghiera che viene cantata dal cantore (hazan) durante i riti ashkenaziti di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, e, dieci giorni dopo, di Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione, in entrambi i casi durante il musaf. La preghiera non viene cantata alla congrega, bensì per conto della congrega – tanto che il cantore viene elevato al ruolo di sheliach tzibbur, ossia messaggero della congregazione –e richiede al cantore umiltà e presenza assoluta. Ciascuna congregazione sceglie il proprio hazan per recitare l’Hinei heami mimaas, e tale servigio alla comunità viene ritenuto un grande onore e, allo stesso tempo, una grande responsabilità. Non è inopportuno ricordare che a quel punto il cantore avrà digiunato (niente cibo e, soprattutto, niente acqua) per circa 16 ore, cosicché il compito non è certo dei più facili.
La parola hineni viene utilizzato solamente otto volte nell’Antico Testamento (sette volte in Genesi e una in Esodo) e in ogni occasione è segno di presenza assoluta al cospetto del Signore. L’episodio più noto è certamente quello di Abramo e Isacco, in cui hineni viene utilizzata tre volte: quando Dio lo chiama per metterlo alla prova (Genesi 22,1), mentre si appresta al sacrificio del figlio (in risposta alla chiamata di questi), e da ultimo mentre sta per levare il coltello contro Isacco e Dio lo chiama per mostrargli il montone da sacrificare.
Hineni (heani mimaas) è anche il verso iniziale della preghiera che viene cantata dal cantore (hazan) durante i riti ashkenaziti di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, e, dieci giorni dopo, di Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione, in entrambi i casi durante il musaf. La preghiera non viene cantata alla congrega, bensì per conto della congrega – tanto che il cantore viene elevato al ruolo di sheliach tzibbur, ossia messaggero della congregazione –e richiede al cantore umiltà e presenza assoluta. Ciascuna congregazione sceglie il proprio hazan per recitare l’Hinei heami mimaas, e tale servigio alla comunità viene ritenuto un grande onore e, allo stesso tempo, una grande responsabilità. Non è inopportuno ricordare che a quel punto il cantore avrà digiunato (niente cibo e, soprattutto, niente acqua) per circa 16 ore, cosicché il compito non è certo dei più facili.
(3) I versi
sono la traduzione quasi letterale dell’inizio del kaddish, una delle preghiere ebraiche più antiche: יִתְגַּדַּל וְיִתְקַדַּשׁ שְׁמֵהּ רַבָּא, Yitgaddal veyitqaddash shmeh rabba (“sia magnificato e
santificato il suo grande nome”). Si noti come, contrariamente
alle sue abitudini sempre tese al femminile, Cohen abbia scelto per questa
canzone un coro di voci maschili (quella della sua sinagoga d’infanzia), quasi
a voler riprodurre il minian
necessario per recitare il kaddish.
Testo traduzione e note da: http://www.leonardcohen.it/discografia/you-want-it-darker/you-want-it-darker/
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