Storia. Spagnola, la pandemia che cambiò il mondo
Riccardo Michelucci sabato
28 luglio 2018
Fra il 1918 e il '19 fece molte più vittime delle
guerre mondiali incidendo su società e cultura come nessun evento dopo la peste
nera. Avvicinò l'India all'indipendenza e migliorò la sanità nazionale
Guillaume Apollinaire tornò dalle
trincee della Prima guerra mondiale con una grave ferita alla tempia. Colpito dai
frammenti di un proiettile di artiglieria, riuscì a salvarsi grazie a un
delicato intervento chirurgico. Il faro dell’avanguardia letteraria francese
sopravvisse al «grande spettacolo della guerra » – come lo definì lui – ma non
ebbe alcuno scampo di fronte all’influenza spagnola, che di lì a poco lo uccise
a soli 38 anni. Molti illustri artisti e intellettuali dell’epoca avrebbero
condiviso la sua stessa fine. Anche Egon Schiele, Max Weber ed Edmond Rostand
(l’autore di Cyrano de Bergerac) risultano tra le vittime della
devastante calamità naturale che tra il 1918 e il 1920 colpì un abitante su tre
del pianeta, causando la morte di decine di milioni di persone. Ma nonostante
l’entità del fenomeno, le conseguenze dell’influenza “spagnola” che si
diffuse su scala mondiale esattamente un secolo fa sono rimaste a lungo in
ombra, offuscate dalla devastazione della Prima guerra mondiale e relegate
a un ruolo secondario nei libri di storia. Soltanto negli Stati Uniti il
morbo falciò mezzo milione di vite – circa dieci volte di più di quante ne
uccisero i tedeschi durante la Grande guerra – eppure soltanto nelle aree
urbane più colpite la malattia salì agli onori delle cronache.
Il motivo per cui quella tremenda
epidemia fu identificata con la Spagna è curioso, e nasce dalla censura
operata in molti paesi durante la Prima guerra mondiale. I governi delle
nazioni belligeranti, temendo che si diffondesse il panico tra la popolazione,
cercarono in tutti i modi di non diffondere la notizia della pandemia. Le prime
informazioni trapelarono dalla Spagna – che era neutrale e quindi priva di
controlli sulla stampa – e spinsero gli altri Paesi a far credere che fosse
circoscritta alla sola Spagna, dove peraltro si ammalarono sia il primo
ministro che il re Alfonso XIII.
In occasione del centenario di un
evento epocale ma ancora curiosamente misconosciuto della nostra storia
recente, la giornalista scientifica inglese Laura Spinney ha dato alle stampe 1918,
l’influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo (Marsilio), un libro
a metà tra il saggio e la cronaca giornalistica che inquadra il fenomeno da un
punto di vista storico, scientifico e culturale alla luce degli studi più
recenti nei campi della virologia, dell’epidemiologia e della psicologia.
Facendo innanzitutto notare che su quella immane catastrofe è sceso un
inspiegabile oblio collettivo. Eppure, spiega Spinney la pandemia ha di fatto
riconfigurato la popolazione umana più radicalmente di qualunque altro evento
successivo alla peste nera. Ha influito sul corso della Prima guerra
mondiale e, verosimilmente, ha contribuito allo scoppio della Seconda.
Ha avvicinato l’India all’indipendenza e il Sudafrica all’apartheid, ha
stimolato la crescita dell’assistenza sanitaria nazionale e della medicina
alternativa, l’amore per le attività all’aria aperta e la passione per lo sport
ed è in parte responsabile dell’ossessione degli artisti del XX secolo per
le infinite fragilità del corpo umano.
In un primo momento i sintomi del
morbo erano gli stessi di una comune influenza: mal di gola, mal di testa,
febbre. Ma in molti casi si presentavano poi complicazioni come polmoniti
batteriche in forma acuta, i malati sviluppavano in fretta difficoltà
respiratorie e insorgevano dolori in gran parte del corpo. Seguivano sonnolenza
e torpore, con febbre altissima, polso debole, lingua bianca, cefalea. Circa
la metà delle morti si verificarono nel gruppo di età compreso tra i venti e i
quarant’anni. Il morbo si propagò in breve tempo come un uragano e le
contromisure mediche di prevenzione e cura si rivelarono perlopiù fantasiose,
oltre che vane: gargarismi con chinino, camere di nebulizzazione dove fino a
venti persone alla volta inalavano formalina o solfato di zinco. Fu, in
generale, un brutto momento per la scienza, che non riuscì a trovare alcun
rimedio e si accorse di non possedere alcuno strumento per identificare e
neutralizzare l’agente invisibile del morbo.
La virulenza della pandemia scatenò
però una serie di comportamenti a metà tra il tragico e il bizzarro. In alcuni
paesi si diffuse la convinzione che la malattia fosse neutralizzata
dall’alcol, facendo aumentare vertiginosamente i casi di alcolismo. In Cile
si dette la colpa alle classi più povere arrivando a incendiare le case nei
villaggi più derelitti del paese, creando di conseguenza un’ondata di profughi
che accentuò la diffusione dell’influenza. A Odessa, in Ucraina, la gente
inscenò rituali religiosi arcaici per allontanare il flagello mentre in
Sudafrica e non soltanto lì, le persone di un colore iniziarono a incolpare
quelle dell’altro. I missionari cristiani furono invece spesso gli unici a
portare sollievo nelle zone più remote della Cina, dove all’inizio del 1918 si
erano registrati i primi focolai a livello mondiale.
Complessivamente, l’influenza
spagnola uccise circa cento milioni di persone, un numero di vittime
superiore alla somma di entrambe le guerre mondiali. Oggi sappiamo che il virus
responsabile della pandemia era di origine aviaria, proprio come quello che si
verificò alcuni anni fa nel sudest asiatico. Gli scienziati sono riusciti a
comprenderne le origini ma non a determinare perché ebbe conseguenze così
letali. Le ragioni di una mortalità così spaventosa - spiega Spinney - furono
sicuramente molteplici. Alla particolare virulenza del virus si sommarono
elementi come la concomitanza con il bacillo di Pfeiffer, la malnutrizione
presente da anni nelle popolazioni dei paesi in guerra, la mancanza di
antibiotici per le complicazioni polmonari e le precarie condizioni
igienico-sanitarie dei soldati in guerra. Ma vi furono, secondo Spinney, anche
importanti conseguenze di carattere storico-politico. La negligenza degli
inglesi nel curare l’influenza in India sarebbe stata infatti una delle ragioni
della nascita del movimento per l’indipendenza indiano, mentre l’elevato
numero di malati che si registrò nelle file dell’esercito tedesco avrebbe
accelerato la conclusione della Prima guerra mondiale.
Nessun commento:
Posta un commento