mercoledì 7 dicembre 2016

Lavoro minorile. Olio di palma, Amnesty denuncia le multinazionali. Per una cittadinanza attiva. Dalla geografia alla geopolitica


Per una cittadinanza attiva. Dalla geografia alla geopolitica
Lavoro minorile. Olio di palma, Amnesty denuncia le multinazionali
Il gigante dell'agro-business Wilmar, che ha sede a Singapore, fornisce nove marchi mondiali: Afasma, Adm, Colgate-Palmolive, Elevance, Kellogg's, Nestlé, Procter & Gamble, Reckitt Benckiser e Unilever.
 
Da un articolo di Avvenire una riflessione sullo sfruttamento del lavoro minorile e femminile
Attività realizzata con la classe terza
Di Bruno Trevellin, docente


Parte prima
Lettura integrale dell’articolo pubblicato il 30 novembre 2016 (da internet)

Amnesty: «I principali marchi mondiali usano olio di palma ottenuto attraverso gravi violazioni dei diritti umani in Indonesia, dove bambini anche di soli otto anni lavorano in condizioni pericolose»

“I principali marchi mondiali di cibo e prodotti domestici stanno vendendo alimenti, cosmetici e altri beni di uso quotidiano contenenti olio di palma ottenuto attraverso gravi violazioni dei diritti umani in Indonesia, dove bambini anche di soli otto anni lavorano in condizioni pericolose”. Lo denuncia un rapporto di Amnesty International.

Pagine, immagini e documenti contenuti nel dossier sono un duro atto d’accusa. "Il grande scandalo dell'olio di palma: violazioni dei diritti umani dietro i marchi più noti", si basa su ricerche condotte nelle piantagioni dell'Indonesia, riconducibili al più grande coltivatore mondiale di palme da olio, il gigante dell'agro-business Wilmar, che ha sede a Singapore. La compagnia fornisce nove marchi mondiali: Afasma, Adm, Colgate-Palmolive, Elevance, Kellogg's, Nestlé, Procter & Gamble, Reckitt Benckiser e Unilever.
"Le aziende stanno chiudendo un occhio di fronte allo sfruttamento dei lavoratori nella loro catena di fornitura. Nonostante assicurino i consumatori del contrario, continuano a trarre benefici da terribili violazioni dei diritti umani”, dichiara Meghna Abraham, responsabile dell’indaginne per Amnesty International.
Bambino trasporta una carriola piena di frutti della palma in una piantagione nel nord di Sumatra

"Grandi marchi come Colgate, Nestlé e Unilever garantiscono ai loro consumatori che stanno usando olio di palma sostenibile ma le nostre ricerche dicono il contrario. Non c'è nulla di sostenibile in un olio di palma che è prodotto col lavoro minorile e forzato. Le violazioni riscontrate nelle piantagioni della Wilmar non sono casi isolati ma il risultato prevedibile e sistematico del modo in cui questo produttore opera", aggiunge la ricercatrice.

Nel 2015 le multinazionali che hanno beneficiato delle forniture indonesiane hanno complessivamente fatturato utili per 325 miliardi di dollari. Perciò Amnesty International avvierà una campagna per chiedere alle aziende di far sapere ai consumatori se l'olio di palma contenuto in noti prodotti come il gelato Magnum, il dentifricio Colgate, i cosmetici Dove, la zuppa Knorr, la barretta di cioccolato KitKat, lo shampoo Pantene, il detersivo Ariel e gli spaghetti Pot Noodle proviene o meno dalle piantagioni indonesiane della Wilmar.

Complessivamente sono stati intervistati 120 lavoratori delle piantagioni di palma di proprietà di due sussidiarie della Wilmar e per conto di tre fornitori di quest'ultima nelle regioni indonesiane di Kalimantan e Sumatra. 
 Raffineria di olio di palma nella provincia indonesiana di Sumatra

Sono stati registrati casi di “donne costrette a lavorare per molte ore dietro la minaccia di una riduzione del salario, con un compenso inferiore alla paga minima (in alcuni casi, solo 2,50 dollari al giorno) e prive di assicurazione sanitaria e di trattamento pensionistico”. Ma Amnesty ha rintracciato (e fotografato) bambini “anche di soli otto anni impiegati in attività pericolose, fisicamente logoranti e talvolta costretti ad abbandonare la scuola per aiutare i genitori nelle piantagioni”. La salute dei braccianti è messa a dura prova dall’utilizzo di “paraquat, un agente chimico altamente tossico ancora usato nelle piantagioni nonostante sia stato messo al bando nell'Unione europea e anche dalla stessa Wilmar”.

Nel corso della ricerca sono stati osservato “lavoratori privi di strumenti protettivi della loro salute, nonostante i rischi di danni respiratori a causa dell'elevato livello di inquinamento causato dagli incendi delle foreste tra agosto e ottobre 2015”. Sono stati annotati casi di operai “multati per non aver raccolto in tempo i frutti dal terreno o per aver raccolti frutti acerbi”.
La Wilmar ha ammesso l'esistenza di problemi relativi al lavoro nelle sue attività. Ciò nonostante, l'olio di palma proveniente da tre delle cinque piantagioni indonesiane su cui Amnesty International ha indagato è stato certificato come "sostenibile" dal Tavolo sull'olio di palma sostenibile, un organismo istituito nel 2004 dopo uno scandalo ambientale.


"Il nostro rapporto mostra chiaramente che le aziende usano quell'organismo come uno scudo per evitare controlli. Sulla carta hanno ottime politiche, ma nessuna ha potuto dimostrare di aver identificato rischi di violazioni nella catena di fornitura della Wilmar" - ha dichiarato Seema Joshi, direttrice del programma Imprese e diritti umani di Amnesty International.
Otto su nove dei marchi coinvolt fanno parte del Tavolo sull'olio di palma sostenibile e sui loro siti o sulle tabelle nutrizionali dichiarano di usare "olio di palma sostenibile". Le nove aziende “non hanno smentito l'esistenza di violazioni ma non hanno fornito alcun esempio - rincara Amnesty - di azioni intraprese su come vengono trattati i lavoratori nelle attività della Wilmar”.

Un capitolo dell’indagine è stato dedicato allo sfruttamento del lavoro minorile. “Bambini da 8 a 14 anni svolgono lavori pericolosi”. Sono stati accertati casi “senza equipaggiamento di sicurezza in piantagioni dove vengono usati pesticidi tossici e trasportano sacchi di frutti che possono pesare da 12 a 25 chili. Alcuni di loro abbandonano la scuola per dare una mano ai genitori nelle piantagioni, altri lavorano il pomeriggio dopo la scuola o nei fine settimana e nei giorni festivi”. 
Lavoratrici senza protezione

Un bambino di 14 anni che raccoglie e trasporta frutti di palma in una piantagione della Wilmar ha spiegato di aver lasciato la scuola a 12 anni perché suo padre si era ammalato “e non era più in grado di raggiungere gli obiettivi di produzione”. Con lui lavorano, al termine dell'orario scolastico, i suoi fratelli di 10 e 12 anni. "Aiuto mio padre ogni giorno, da due anni. Ho studiato - ha raccontato - fino alla sesta classe poi mi sono messo a lavorare con mio padre, perché lui non ce la faceva più, si era ammalato. Mi dispiace aver abbandonato la scuola. Avrei voluto continuare per diventare più bravo. Avrei voluto fare l'insegnante".

Un bimbo di 10 anni ha a sua volta abbandonato la scuola quando ne aveva otto. Si sveglia alle sei del mattino e lavora sei ore al giorno, esclusa la domenica: "Non vado più a scuola. Trasporto i sacchi coi frutti ma riesco a riempirli solo a metà. Sono pesanti. Lo faccio anche se piove ma è più difficile. Mi bruciano le mani e mi fa male il corpo".

Nel report viene denunciata la discriminazione nei confronti delle donne, assunte giorno per giorno senza garanzie d'impiego permanente e benefici sociali, come l'assicurazione sulla salute e la pensione. "Se non raggiungo gli obiettivi, mi impongono di lavorare di più ma senza paga. Io e la mia amica abbiamo detto al caposquadra che eravamo stanche e volevamo andare via - si legge tra le numerose testimonianze raccolte - ma lui ci ha detto “se non avete voglia di lavorare, andate a casa e non tornate più”. Come si fa a lavorare con questi obiettivi impossibili? Mi bruciano i piedi, mi bruciano le mani e mi fa male la schiena".
L'Indonesia ha una legislazione sul lavoro molto solida, in base alla quale la maggior parte di questi trattamenti costituirebbero reati penali. perciò Amnesty International chiede al governo indonesiano di migliorare la sua applicazione e indagare sulle violazioni denunciate nel rapporto. 
I frutti della palma

L’indagine ha permesso di rintracciare olio di palma lavorato da raffinerie e frantoi proveniente dalle piantagioni esaminate, in sette delle nove aziende: Afasma, Adm, Colgate-Palmolive, Elevance, Nestlé, Reckitt Benckiser e Kellogg's, attraverso una sua joint-venture. Le altre due, Procter & Gamble e Unilever, hanno confermato ad Amnesty International che usano “olio di palma proveniente dalle piantagioni della Wilmar in Indonesia ma non hanno specificato esattamente - lamenta il report - da quale raffineria si riforniscono. Poiché Amnesty International ha rintracciato olio di palma dalle piantagioni oggetto della sua ricerca in 11 delle 15 raffinerie della Wilmar, è assai possibile che queste due aziende si riforniscano da almeno una di queste raffinerie”. 
 Lavoratrice raccoglie i frutti della plama

Quando Amnesty ha chiesto alle aziende di chiarire se l'olio di palma dichiarato nel contenuto di una lista di prodotti provenga da attività della Wilmar in Indonesia, due di loro, Kellogg's e Reckitt Benckiser, hanno confermato. Anche Colgate e Nestlé hanno ammesso di ricevere olio di palma dalle raffinerie indonesiane della Wilmar, precisando però che nessuno dei prodotti elencati nel rapporto di Amnesty International contiene olio di palma proveniente dalle piantagioni della Wilmar, “tuttavia non hanno reso noto quali altri prodotti invece lo contengono”. Due altre aziende, Unilever e Procter & Gamble, non hanno corretto l'elenco dei prodotti fornito da Amnesty International. Le rimanenti tre, infine, “hanno risposto in modo vago o non hanno risposto affatto”.
La replica della Tavola rotonda per l'olio di palma sostenibile
Pronta la replica dell'organizzazione per l'olio di palma sostenibile. Ecco il suo comunicato.
«La Roundtable on Sustainable Palm Oil (Rspo) riconosce l’esistenza di gravi problemi legati alla tutela dei lavoratori e dei diritti umani nel settore dell’agricoltura intensiva a livello mondiale, e la produzione di olio di palma non fa eccezione in questo senso, soprattutto in contesti caratterizzati da povertà, scarsa legalità e presenza di vuoti legislativi.
Il rapporto denuncia una serie di violazioni dei diritti umani e delle condizioni di lavoro che colpisce i lavoratori coinvolti nella produzione di olio di palma di due controllate della società Wilmar: prima della pubblicazione del rapporto di Amnesty International, sia Wilmar che il processo di controllo della RSPO avevano già adottato importanti misure che hanno già portato all’identificazione di diverse problematiche tra quelle denunciate da Amnesty International.
Wilmar ha già denunciato pubblicamente e volontariamente sul proprio sito web le violazioni che interessano le società PT Perkebunan Milano e PT Daya Labuhan Indah attraverso la procedura di richiamo conforme ai Principi e Criteri RSPO.
La RSPO è consapevole dell’esigenza di migliorare continuamente sia i propri Principi e Criteri sia i requisiti di accreditamento, che saranno rinnovati nel 2017 ampliando l’ambito di verifica degli organi di certificazione rafforzandone la sorveglianza.
RSPO è un’associazione no profit che riunisce gli stakeholder della filiera dell’olio di palma - ONG ambientaliste, sociali o di sviluppo, produttori di olio di palma, operatori commerciali o raffinatori, produttori di beni di consumo, rivenditori, banche e investitori– per sviluppare e implementare standard globali per la produzione di olio di palma sostenibile».

Parte seconda
Attività operative in classe
Suddivisione in gruppi di quattro persone per studiare il testo dell’articolo
Elaborazione di un questionario sulle problematiche proposte dall’articolo
Risposte scritte al questionario elaborato in ciascun gruppo
Esposizione orale del lavoro di approfondimento da parte di un membro del gruppo



Parte terza
Le indicazioni nazionali per il curricolo
“Nella scuola secondaria di primo grado si realizza l’accesso alle discipline come punti di vista sulla realtà e come modalità di conoscenza, interpretazione e rappresentazione del mondo.
(…) Le discipline non vanno presentate come territori da proteggere definendo confini rigidi, ma come chiavi interpretative disponibili ad ogni possibile utilizzazione.
(…) Le competenze sviluppate nell’ambito delle singole discipline concorrono a loro volta alla promozione di competenze più ampie e trasversali, che rappresentano una condizione essenziale per la piena realizzazione personale e per la partecipazione attiva alla vita sociale, orientate ai valori della convivenza civile e del bene comune. Le competenze per l’esercizio della cittadinanza attiva sono promosse continuamente nell’ambito di tutte le attività di apprendimento, utilizzando e finalizzando opportunamente i contributi che ciascuna disciplina può offrire” (dalle Indicazioni nazionali per il curricolo 2012, p. 32-33).

 da Lettera a una professoressa, Scuola di Barbiana
"Per  scorrere un atlante...non occorre una laurea".
La geografia nella scuola secondaria non dovrebbe occuparsi dei fiumi più lunghi e dei monti più alti del pianeta!

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