sabato 25 aprile 2020

Lettera a una professoressa da un collega in DaD (Didattica a Distanza), di Bruno Trevellin


Limena, 25 aprile 2020
Lettera a una professoressa da un collega in DaD (Didattica a Distanza), di Bruno Trevellin


Cara collega,
in questo periodo in cui siamo costretti alla cosiddetta didattica a distanza, mi sembra quasi naturale tornare sulle pagine di quel libro ‘rivoluzionario’ nato dall’esperienza di don Milani nel lontano ’67. Aiuta a riflettere ancora sulla scuola e sul ruolo dei docenti oggi. Se don Milani lo cita anche l’attuale ministro della PI, possiamo ben farlo anche noi, dipendenti del suo Ministero. “Siete eroi anonimi”, ci ha scritto di recente, riconoscendo che stiamo “lavorando con ogni mezzo” per far sì che gli alunni “non perdano il contatto con la scuola” dalla quale, come diceva don Milani, citato dal Ministro “‘attendono di essere fatti eguali”. Sappiamo che non è così, che non è ancora così. Sappiamo che la scuola non è uguale in ogni angolo del Paese (lo dicono i dati Invalsi). Così come sappiamo che non sarà la didattica a distanza a generare uguaglianza o ad arginare la dispersione scolastica ufficiale e latente. Però la situazione è grave e lo rimarrà a lungo, a quanto pare, e perciò ogni sforzo e ogni tentativo vanno intrapresi. Anche dal fango di una palude nascono i giunchi.
Voglio partire però da una semplice quanto significativa ed emblematica (e forte) frase contenuta in quel libro di Barbiana. “La scuola sarà sempre meglio della merda” scrive Lucio, che aveva 36 mucche, proprio in Lettera a una professoressa. Lucio era uno degli alunni di don Milani e le mucche le aveva per davvero e per lui l’alternativa alla scuola era solo il lavoro in stalla con suo padre dalle sei del mattino alle sei di sera. Conosco, cara collega, quel lavoro; l’ho visto fare a mio nonno per tante estati, quando andavo a trovarlo per le vacanze più di cinquant’anni fa. Si alzava all’alba e finiva proprio al tramonto!
Questa frase va scolpita sulla porta delle vostre scuole” continua Lucio, rivolto alla prof. che nella scuola pubblica bocciava tranquillamente i figli dei contadini. Era proprio così, allora: chi era ultimo in partenza restava sempre ultimo, e senza la prospettiva di un traguardo. No, oggi, almeno in Italia, non è più così, siamo più attenti alle esigenze degli ultimi. E anche la civiltà contadina non c’è più, anche se mi sa che è solo cambiato il tipo di ‘merda’-scusami se insisto con questo termine così poco scolastico, così poco educato, così poco urbano- in cui i ragazzi rischiano di rimanere impantanati.
Mi chiedo: ma senza la scuola, anche a distanza, dove sarebbero oggi loro, i ragazzi? Non certo con la forca in mano, quella da stalla, a quattro punte, che io ho fatto in tempo a maneggiare, ma sempre e solo con un cellulare tra le dita per rispondere e scrivere quotidianamente centinaia di whatsapp spesso volgari e inutili o postare foto irresponsabili e pericolose in instagram. E allora resistiamo, anche con una didattica a distanza. Didattica ad oltranza si dovrebbe chiamare! Che pone delle questioni: per quanto tempo? Con che valutazioni? Su che registro? Con che esami?
Quanto tempo stavano a scuola quei ragazzi di Barbiana? Sono troppe oggi le nostre 30 ore settimanali? Don Milani non faceva sconti. Alla sua scuola si andava tutti i giorni “dalla mattina presto fino a buio, estate e inverno”, anche di domenica, salvo l’ora per la messa. Registriamo però che sta avvenendo un qualcosa di simile, anche se a parti inverse, nel senso che con la didattica a distanza sono i docenti più che gli alunni a occuparsi di scuola tutte le ore del giorno, compresi i festivi. E questo vale per tutte le materie!
Arredi e strumenti? A Barbiana non c’erano “né cattedre, né lavagna, né banchi…Di ogni libro c’era una copia” e tutti i ragazzi si stringevano sopra quel testo unico e prezioso. Oggi noi non abbiamo una cattedra, facciamo lezione dal salotto o dalla cucina di casa nostra, e non sentiamo nostalgia di quell’arredo per molti aspetti superato da tempo. Oggi di libri nei loro zaini ce ne sono fin troppi, solo che ciò che manca pare sia quel desiderio di starci sopra. Mi sembra, cara collega, che quel ‘mutamento antropologico’ di cui parlava Pasolini, si sia veramente compiuto e che abbia veramente fatto i suoi danni. Lui proponeva addirittura di abolirla la scuola media dell’obbligo perché “vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche” (Corriere della Sera, 18 ottobre 1975). Non c’è quel desiderio non perché manchino i maestri, ma perché questi rischiano di parlare per nulla e senza effetto perché sono purtroppo ben altri ‘i libri’ su cui riversano il loro desiderio i ragazzi di oggi, e sappiamo che non sono quelli digitali.
Trascuratezza, lassismo? Neanche per sogno! “La vita era dura” a Barbiana. “Disciplina e scenate da far perdere la voglia di tornare”, scrivono sempre quei ragazzi nella loro lettera. Oggi quasi ci passa la voglia di avanzare certe pretese ‘comportamentali’, se solo pensiamo che per un provvedimento di natura disciplinare anche lieve bisogna organizzare una sorta di processo con tanto di convocazioni, di contestazione degli addebiti, di testimoni e di timori per possibili ricorsi da parte delle famiglie!
Ricreazione? Vacanze? A Barbiana “non c’era ricreazione. Non era vacanza nemmeno la domenica”, ma i ragazzi là non ne facevano un problema, l’alternativa era solo e sempre il lavoro in stalla. Meglio starsene alla scuola del prete, allora. E in ogni caso loro non avevano da far ricreazione neanche a casa.
Ma i ragazzi odiano la scuola! Così si pensa! Non è vero, scrivono ancora gli alunni di don Milani, “che i ragazzi odiano la scuola e amano il gioco”. Per più di metà non era così e, a dire la verità, anche oggi sento, sentiamo tanta nostalgia dei banchi di scuola anche da parte dei nostri alunni, quelli che incontriamo ogni giorno in streaming. C’è un vecchio desiderio, carsico, che si sta come facendo strada, che sta come riaffiorando: il desiderio di apprendere, di conoscere in una compagnia di amici aiutati da un maestro. Certo non è ancora di tutti, ma di sicuro lo è già per la maggior parte. E sappiamo che è anche il nostro.
Studiare per il registro! Copiare i compiti! No, dai! Semmai invitiamoli a studiare insieme, meglio ancora: ad aiutare gli altri nello studio, ad aiutarsi tra coetanei. Non farseli fare dai genitori o da un docente di ripetizioni a pagamento, i compiti. Copiamo da Barbiana dove i ragazzi diventavano presto maestri: don Milani, da solo, non sarebbe sopravvissuto! Tanto lo sappiamo anche noi che “per scorrere un atlante o spiegare le frazioni non occorre una laurea”. Cercavano insieme su quell’unico libro e “le ore passavano serene”. E poi su che libri li facciamo studiare oggi? Su quelli che chiedono ancora a ragazzi di 12-13 anni di sapere i confini di uno stato –e noi pure glieli chiediamo-, anziché le cause delle condizioni di miseria di una popolazione? Quelli che ti propongono ancora l’Iliade nella traduzione di Vincenzo Monti del 1825? L’abbiamo imparata anche noi più di mezzo secolo fa, la ricordi certamente anche tu, cara collega. È rimasta nei libri di oggi tale e quale, come tante altre cose.
C’è poi l’eterna questione delle bocciature. A Barbiana i bocciati alla scuola pubblica andavano alla media ‘privata’ del prete. Per loro sì che il gioco e le vacanze erano un diritto e la scuola un sacrificio, loro “non avevano mai sentito dire che a scuola si va per imparare e che andarci è un privilegio. Il maestro per loro era uno dall’altra parte della barricata e conveniva ingannarlo. Cercavano perfino di copiare”. Ci misero del tempo per capire che non serviva, perché là, a Barbiana, non c’era registro. Noi invece di registri ne abbiamo oggi di onnicomprensivi e pure di elettronici, di quelli che conservano i dati in secula seculorum. Non dovrebbe più scapparci niente, neanche le uscite per il bagno! Ma ti pare! Ci stiamo riducendo a scrivere anche di questo. Per fortuna che nessuno le andrà mai a leggere informazioni così dettagliate!
Però che tristezza se già allora don Milani e i suoi ragazzi dovevano constatare che quelli della scuola pubblica studiavano invece solo “per il registro, per le pagelle, per il diploma”. Erano cioè già arrivisti a 12 anni, perché “il diploma è quattrini”. Anche adesso non è che sia cambiato, ce lo sentiamo dire, anche dalle famiglie, che al voto ci tengono tanto, più dei figli. Quasi li farebbero loro i compiti al posto dei figli (succede, e non raramente!) per far prendere loro un bel voto, spesso lo sentono come un voto dato a loro come genitori. Mi chiedo e dico: possiamo pensarla, solo pensarla diversamente almeno una volta! In tanti paesi con sistemi educativi avanzati (Svezia, Finlandia) li hanno eliminati da tempo i voti! Un ragazzo, ci diciamo spesso, a scuola deve impegnarsi e far bene perché così si fa nella vita, non perché è in continua competizione con il mondo intero!
Cara collega, mi pare che il libro di Barbiana non sia superato e che semmai sia ancora troppo trascurato, ma per ripeterci quanto oggi sia dura per noi docenti mi pare non possano che essere sottoscritte le considerazioni, queste sì attualissime, di Massimo Recalcati che si leggono nel suo libro L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento.
Dice infatti, e non possiamo che essere d’accordo con lui, che “uno dei problemi della scuola oggi è che gli insegnanti sono oppressi per la maggior parte del tempo da mansioni che esulano completamente dall’attività didattica (…). L’ora di lezione (…) è marginalizzata da attività che esulano dalla didattica in senso stretto, schiacciata sotto la pressa di una valutazione sempre più ridotta a misurazione”, in una sorta di “impeto valutativo” che vuole sempre e solo rendere “tutto misurabile e quantificabile”. Degenerazione decimologica della scuola, la definisce, che non fa altro che riflettere “il culto feticistico del numero e della quantificazione che è un idolo imperante del nostro tempo”. Anziché una “scuola centrata sull’erotica dell’insegnamento”, quello cioè che “non inquadra, non uniforma, non produce scolari, ma che “sa animare il desiderio del sapere”, abbiamo sempre davanti come obiettivo una scuola “performativa della trasmissione delle competenze”.
Illusione tecnologico-cognitivista: morte dei libri, informatizzazione degli strumenti didattici, esaltazione delle metodologie dell’apprendimento, accanimento valutativo, burocratizzazione fatale della funzione dell’insegnante che deve sempre più rispondere alle esigenze dell’istituzione e non a quella degli allievi, declino dell’ora di lezione”. Queste le conclusioni di Recalcati, da sottoscrivere. Spesso non sappiamo come uscirne, anzi spesso ci sottomettiamo quasi inconsapevolmente a questo meccanismo elefantiaco che riproduce solo e sempre se stesso. Ne abbiamo fatto esperienza in queste settimane, quando non passava giorno che non ci arrivasse o un decreto ministeriale o una circolare o una nota attuativa.
Noi però abbiamo imparato non solo a sopravvivere, e a resistere, ma a farcela in condizioni estreme come quelle di oggi, abbiamo imparato in poche ore a utilizzare strumenti nuovi, a lavorare in modalità sincrone e asincrone, con aule virtuali, teams, zoom, e-learning. Però è chiaro che non vediamo l’ora di tornare a scuola con i nostri colleghi e con i nostri ragazzi per continuare a svolgere il nostro ruolo di intellettuali, non quello di impiegati sempre alle prese con tabulati e schedine da compilare e che nessuno andrà mai a consultare e neanche a contestare. Perché sappiamo che  l’insegnante di cui la scuola ha bisogno è un intellettuale, perché sappiamo che «gli intellettuali oggi possono abitare solo in quella specie di riserva indiana chiamata scuola», più che nell’accademia”, si legge in un articolo di Avvenire del 17 aprile 2020, proprio perché sappiamo che “una cosa è il ruolo e l’altra la funzione dell’insegnante. C’è certamente il ruolo di chi deve sapere riempire un registro, ma c’è soprattutto «la funzione di chi, adempiendo al proprio mandato, accende la coscienza di un adolescente” e spiega perché vale la pena studiare Dante, studiare il teorema di Pitagora, imparare le lingue degli altri, fermarsi ad ammirare un quadro di Van Gogh, ascoltare una suite di Bach, o anche una canzone di Battiato.
Un caro saluto
Bruno Trevellin
(docente di scuola media, con in classe ragazze e ragazzi della stessa età e anche con lo stesso cuore di quelli di Barbiana)

Per approfondire e capire
Due libri:
1.     Lettera a una professoressa, 1967
2.     M. Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, 2014
Due film:
1.     Vado a scuola, di Pascal Plisson, 2013
2.     Il ragazzo che catturava il vento, di  Chiwetel Ejiofor, 2019 (anche in Netflix)

 

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