Marocchinate in Ciociaria, 1943 (articolo da La
Stampa, 16.03.2017)
La verità nascosta delle
“marocchinate”, saccheggi e stupri delle truppe coloniali francesi in Ciociaria
L’episodio del remake porno del film
di De Sica è l’occasione di parlare dopo 70 anni, documenti alla mano, dei
diretti responsabili: tra cui lo stesso Charles De Gaulle
Goumiers marocchini
Pubblicato il 16/03/2017
andrea cionci
Il fatto che un regista italiano di film porno abbia
potuto girare una pellicola hard su una delle pagine più mostruose vissute
dalla nostra popolazione civile durante la Seconda guerra mondiale, offre la
caratura di quanto questi misfatti siano stati rimossi dalla coscienza morale
collettiva. L’episodio del remake porno de La Ciociara di Vittorio De Sica, che
ha suscitato un’interrogazione parlamentare e una lettera pubblica al premier
Gentiloni, offre piuttosto l’occasione di raccontare, documenti alla mano,
tutta la verità relegata per oltre settant’anni nei sotterranei della storia,
indicando i numeri reali, i colpevoli e i personaggi di primissimo piano - tra
cui lo stesso Charles De Gaulle - che ne furono i diretti responsabili.
Il film “La ciociara”
“Marocchinate”: con questo termine si sono tramandati
gli stupri di gruppo, le uccisioni, i saccheggi e le violenze di ogni genere
perpetrate dalle truppe coloniali francesi (Cef), aggregate agli Alleati, ai
danni della popolazione italiana, dei prigionieri di guerra e perfino di alcuni
partigiani comunisti. La storiografia tradizionale, le poche volte che ne ha
trattato, ha circoscritto questi orrori a qualche centinaio di episodi
verificatisi nell’arco di un paio giorni nella zona del frusinate. Le
proporzioni, tra numeri e gravità dei fatti, furono di gran lunga superiori. E
a breve – lo annunciamo in esclusiva - sarà aperto un procedimento penale
internazionale, ai danni della Francia, per iniziativa di un avvocato
romano.
Soldati nordafricani del Cef
1. Cos’era il CEF
Nel 1942, gli americani sbarcano ad Algeri e le truppe
coloniali francesi del Nord Africa, fino ad allora agli ordini della repubblica
filonazista di Vichy, si arrendono senza sparare un colpo. Il generale Charles
De Gaulle, fuggito dalla Francia occupata dai tedeschi e capo del governo
francese in esilio “Francia libera”, allora, attinge a questo personale
militare per creare il Cef: Corp Expeditionnaire Français, costituito per il
60% da marocchini, algerini e senegalesi e per il restante da francesi europei,
per un totale di 111.380 uomini ripartiti in quattro divisioni. Vi erano però
dei reparti esclusivamente marocchini di goumiers (dall’arabo qaum) i cui
soldati provenivano dalle montagne del Riff ed erano raggruppati in reparti
detti “tabor” in cui sussistevano vincoli tribali o di parentela diretta. Erano
in tutto 7.833, indossavano il caratteristico burnus arabo, vestivano una
tunica di lana verde a bande verticali multicolori (djellaba) e sandali di
corda. Erano equipaggiati non solo con le armi alleate (mitra Thompson cal. 45
mm e mitragliatrice Browning 12.7 mm) ma anche con il tipico pugnale ricurvo
(koumia) con il quale, secondo una loro antica usanza, tagliavano le orecchie
ai nemici uccisi per farne collane e ornamenti (in particolar modo i tedeschi
ne fecero le spese). Il loro comandante era l’ambizioso generale Alphonse Juin,
nato in Algeria che, da collaborazionista dei nazisti, era passato alle
dipendenze di De Gaulle.
2. Primi impieghi, prime violenze
Gli stupri delle truppe marocchine cominciano già nel
luglio ’43, con lo sbarco alleato in Sicilia. Gli 832 magrebini del 4° tabor
aggregato agli americani che sbarcano a Licata, compiono saccheggi e violentano
donne e bambini presso il paese di Capizzi, vicino Troina. Come riporta lo storico
Michelangelo Ingrassia, i siciliani reagirono uccidendone alcuni con doppiette
e forconi.
Il 16 maggio 1944, a Polleca, De
Gaulle, con il generale Juin, quarto da sinistra. In secondo piano, in
borghese, il Ministro della Guerra
3. I marocchini aggirano Cassino
risalendo i monti
Come noto, gli Alleati, risalendo l’Italia senza
troppe difficoltà, si impantanarono a Cassino, sulla Linea Gustav, dove i
tedeschi opponevano una tenacissima resistenza. Fu il generale Juin, sin
dall’inizio, a proporre ai colleghi statunitensi Clark e Alexander
l’aggiramento del caposaldo nemico. Dopo tre battaglie sanguinosissime e prive
di risultato gli Alleati avallarono la proposta di Juin il quale aveva scoperto
che il monte Petrella, a est di Cassino, era stato lasciato parzialmente
sguarnito dai tedeschi. In quelle zone, solo le sue truppe marocchine di
montagna avrebbero potuto farcela. Infatti, con l’operazione “Diadem” (l’ultimo
assalto collettivo degli Alleati) i goumiers riuscirono a sfondare la Linea
Gustav e, attraversando l’altipiano di Polleca, si lanciarono verso Pontecorvo.
Kesselring, comandante tedesco in Italia, per
tamponare lo falla, inviò i suoi Panzegrenadieren insieme a reparti italiani
della Rsi, (Gnr di Frosinone) i quali, dopo accaniti combattimenti, dovettero
soccombere. E’ accertato che gli ultimi soldati tedeschi rimasti a Esperia si
suicidarono gettandosi da un burrone per non finire decapitati come altri loro
commilitoni catturati. Questo avveniva mentre i marocchini cominciavano a
violentare moltitudini di donne, uomini e bambini sull’altopiano di
Polleca.
Il generale Alphonse Juin
4. La popolazione non comprende il
pericolo
Sebbene siano conosciuti i manifesti della propaganda
fascista (alcuni disegnati da Gino Boccasile) che mettevano generalmente in
guardia la popolazione dalle truppe di colore alleate, il partigiano e storico
ciociaro Bruno D’Epiro racconta che già prima della battaglia di Esperia un
ricognitore tedesco aveva lanciato sui monti Aurunci volantini che incitavano
la popolazione a fuggire dalle prevedibili violenze delle truppe nordafricane.
Molti bambini furono evacuati dalla Guardia Nazionale Repubblicana e inviati
nelle colonie di Rimini, ma la maggior parte della popolazione ciociara, stanca
della guerra, si limitò ad aspettare, con rassegnato distacco, il passaggio dei
liberatori. Scriveva Renzo De Felice che “l’8 settembre aveva fatto perdere
agli italiani qualsiasi volontà di partecipare attivamente alle vicende
belliche”. Alberto Moravia, all’epoca sfollato nel frusinate, ne “La Ciociara”,
descrive bene questo sentimento di rassegnata apatia facendo dire alla
protagonista: “Per noi bisogna che qualcuno vinca sul serio, così la guerra
finisce”.
5. Comincia l’inferno
Alla ritirata dei nazifascisti, vari paesi della
Ciociaria vennero occupati dai franco-coloniali del Cef. Questo fu l’inizio di
un assurdo calvario. Ad Ausonia decine di donne furono violentate e uccise, e
lo stesso capitò agli uomini che tentavano di difenderle. Dai verbali
dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra risulta che anche “due
bambini di sei e nove anni subirono violenza”. A S. Andrea, i marocchini
stuprarono 30 donne e due uomini; a Vallemaio due sorelle dovettero soddisfare
un plotone di 200 goumiers; 300 di questi invece, abusarono di una sessantenne.
A Esperia furono 700 le donne violate su una popolazione di 2.500 abitanti.
Anche il parroco, don Alberto Terrilli, nel tentativo di difendere due ragazze,
venne legato a un albero e stuprato per una notte intera. Morirà due anni dopo
per le lacerazioni interne riportate. A Pico, una ragazza venne crocifissa con
la sorella. Dopo la violenza di gruppo, verrà ammazzata. A Polleca si erano
rifugiati circa diecimila sfollati, per lo più donne, vecchi e bambini in un
campo provvisorio. Qui si toccò l’apice della bestialità. Luciano Garibaldi
scrive che dai reparti marocchini del gen. Guillaume furono stuprate bambine e
anziane; gli uomini che reagirono furono sodomizzati, uccisi a raffiche di
mitra, evirati o impalati vivi. Una testimonianza, da un verbale dell’epoca,
descrive la loro modalità tipica: “I soldati marocchini che avevano bussato
alla porta e che non venne aperta, abbattuta la porta stessa, colpivano la
Rocca con il calcio del moschetto alla testa facendola cadere a terra priva di
sensi, quindi veniva trasportata di peso a circa 30 metri dalla casa e
violentata mentre il padre, da altri militari, veniva trascinato, malmenato e
legato a un albero. Gli astanti terrorizzati non potettero arrecare nessun
aiuto alla ragazza e al genitore in quanto un soldato rimase di guardia con il
moschetto puntato sugli stessi”. Riportiamo solo alcune di queste atrocità per
fornire un’idea di massima.
Civili in Ciociaria
6. Malattie veneree, orfani e
suicidi
I comuni coinvolti nel Lazio furono anche Pontecorvo,
Campodimele, S. Oliva, Castro dei Volsci, Frosinone, Grottaferrata, Giuliano di
Roma e Sabaudia. Migliaia furono le donne contagiate da sifilide, blenorragia e
altre malattie veneree, e spesso contagiarono i loro legittimi mariti. Così
come migliaia furono quelle ingravidate: il solo orfanotrofio di Veroli,
accoglieva, dopo la guerra, circa 400 bambini nati da quelle unioni forzose.
Molte delle donne “marocchinate” furono poi scansate dalla comunità, a causa
dei pregiudizi di allora, ripudiate dalle famiglie e, a centinaia, finirono
suicide o relegate ai margini della società. Una scia di sofferenze fisiche e
psicologiche, quindi, che si trascinò per decenni.
7. Colpevoli anche i soldati
francesi bianchi
Non solo truppe di colore. Da documenti dell’Archivio
Centrale dello Stato, risulta che anche i francesi bianchi parteciparono alle
violenze: a Pico furono, infatti, violentate 51 donne (di cui nove minorenni)
da 181 franco-africani e da 45 francesi bianchi. Dato questo episodio e
considerando che francesi europei costituivano il 40% di tutto il Cef, risulta
limitativo addossare la responsabilità delle violenze ai soli goumiers
marocchini. Anche gli americani sapevano di questi fatti: solo in un paio di
casi tentarono debolmente di frenare i goumiers. Scrive Eric Morris in “La
guerra inutile” che, ancora vicino a Pico, gli uomini di un battaglione del
351° fanteria americana provarono a fermare gli stupri, ma il loro comandante
di compagnia intervenne e dichiarò che “erano lì per combattere i tedeschi, non
i goumiers”.
8. I comandanti non intervengono,
fino in Toscana
Massimo Lucioli, co-autore, insieme a Davide Sabatini,
del primo completo studio sulle marocchinate “La ciociara e le altre” (1998),
spiega: “Dato il coinvolgimento dei bianchi, non presenti nei reparti goumier,
si può affermare che i violentatori si annidavano in tutte e quattro le
divisioni del Cef. Forse anche per questo, gli ufficiali francesi non risposero
ad alcuna sollecitazione da parte delle vittime e assistettero impassibili
all’operato dei loro uomini. Come riportano le testimonianze, quando i civili
si presentavano a denunciare le violenze, gli ufficiali si stringevano nelle
spalle e li liquidavano con un sorrisetto”. Questo atteggiamento perdurò fino
all’arrivo in Toscana del Cef. Qui ricominciarono le violenze a Siena, ad
Abbadia S. Salvatore, Radicofani, Murlo, Strove, Poggibonsi, Elsa, S. Quirico
d’Orcia, Colle Val d’Elsa. Perfino membri della Resistenza dovettero subire gli
abusi. Come testimonia il partigiano rosso Enzo Nizza: ”Ad Abbadia contammo ben
sessanta vittime di truci violenze, avvenute sotto gli occhi dei loro familiari.
Una delle vittime fu la compagna Lidia, la nostra staffetta. Anche il compagno
Paolo, avvicinato con una scusa, fu poi violentato da sette marocchini. I
comandi francesi, alle nostre proteste, risposero che era tradizione delle loro
truppe coloniali ricevere un simile premio dopo una difficile battaglia”.
9. 50 ore? Il proclama di Juin
Infatti, un comunicato attribuito al generale Juin ai
suoi uomini, recita: ““Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre
terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi
sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò
sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e
passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto è promesso e mantengo. Per
cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del
nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò
che prenderete”. L’autenticità di questo proclama è stata spesso messa in
dubbio, ma Juin, come si legge nei trattati giurisprudenziali dell’epoca,
poteva riferirsi legittimamente a una antica norma del diritto internazionale
di guerra che prevedeva il “diritto di preda bellica”, tra cui lo stupro.
Tant’è che le vittime furono, in fretta e furia, dopo la guerra, risarcite con
minimi compensi economici solo attraverso un procedimento amministrativo,
invece che dopo un regolare processo penale. Gli indennizzi furono erogati
prima dai francesi e poi dallo Stato italiano. Con ottime probabilità, il
proclama di Juin è, quindi, da ritenersi autentico.
Secondo Lucioli, questo discorso fu poi diffuso ad
arte per limitare nello spazio-tempo le violenze che, de facto, durarono ben
più di 50 ore: dal luglio ’43 all’ottobre ’44 quando i franco-coloniali
lasciarono l’Italia e si imbarcarono per la Provenza ancora occupata dai
nazisti. Solo nell’imminenza del ritorno in Francia, alcuni dei violentatori
furono puniti. Un partigiano della brigata rossa “Spartaco Lavagnini” ricorda:
“Sei marocchini vennero fucilati sul posto perché avevano violentato una donna.
Il capitano (francese n.d.r.) ebbe a dirmi: “Questa gente sa combattere
benissimo, però meno ne riportiamo in Francia, meglio è”. Poco prima che i
marocchini toccassero il suolo provenzale, i loro comandanti, quindi, avevano
deciso di riportarli severamente all’ordine tanto che non si registrarono mai
violenze ai danni di donne francesi. Una volta in Germania meridionale, invece,
potranno dare nuovamente sfogo ai loro istinti sulle donne tedesche, come
riportano alcuni recenti studi. Segno, quindi, che le efferatezze di queste
truppe avrebbero potuto essere certamente controllate e disciplinate.
Un reparto di Goumiers marocchini
10. Le responsabilità di De Gaulle
Un fenomeno di queste dimensioni che si è protratto
per dodici mesi, in mezza Italia, che ha interessato un numero elevatissimo di
persone, non poteva essere sottaciuto o nascosto ai comandanti. “E’ evidente –
continua Lucioli - che vi sono responsabilità a livello gerarchico-militare e
politico mai indagate. Innanzitutto, i generali di divisione del CEF :
Guillaume, Savez, de Monsabert, Brosset e Dody i quali, non solo non hanno
impedito le violenze, ma le hanno incentivate: prima dell’attacco in Ciociaria,
infatti, le truppe coloniali erano state tenute consegnate in recinti di filo
spinato, lontano dai loro bordelli, evidentemente, per aumentarne
l’aggressività. Ma il principale responsabile della barbarie è da ricercarsi,
per un principio di responsabilità gerarchica, nel comandante in capo di
Francia libera, Charles De Gaulle, che – è provato – durante il culmine delle
violenze, si trovava, insieme al suo Ministro della Guerra André Diethelm,
proprio a Polleca presso il casolare del barone Rosselli, eletto a quartier
generale avanzato del Cef. Vi sono fotografie inoppugnabili e anche un suo
discorso che tenne, in loco, in quei giorni. Le violenze accadevano, quindi, sotto
ai suoi occhi”.
Va anche ricordato che, quando alcuni marocchini a
Roma violarono due donne e le gettarono poi da un treno in corsa, uccidendole,
l’”Osservatore romano” e “Il Popolo” aprirono una accesa polemica, denunciando
chiaramente le violenze che si verificavano ovunque i marocchini si fossero
accampati. A questi rispose il giornale delle truppe francesi in Italia “La
Patrie”, minimizzando l’accaduto. Ancora una volta, quindi, De Gaulle non
poteva non sapere. Impossibile pensare, anche, che i comandanti alleati
ignorassero quegli eventi.
11. I numeri delle vittime
Emiliano Ciotti, presidente dell’Associazione Vittime
delle Marocchinate, fornisce i numeri di questo massacro: “Nella seduta
notturna della Camera del 7 aprile 1952 la deputata del PCI Maria Maddalena
Rossi denunció che solo nella provincia di Frosinone vi erano state 60.000
violenze da parte delle truppe del generale Juin. Dalle numerose documentazioni
raccolte oggi possiamo affermare che ci furono 20.000 casi accertati di
violenze, numero del tutto sottostimato; diversi referti medici dell’epoca
riferirono che un terzo delle donne violentate, che si erano fatte medicare,
sia per vergogna o per pudore, preferì non denunciare. Facendo una valutazione
complessiva delle violenze commesse dal Cef, iniziate in Sicilia e terminate
alle porte di Firenze, possiamo quindi affermare con certezza che ci fu un
minimo di 60.000 donne stuprate, ognuna, quasi sempre da più uomini. I soldati
magrebini, ad esempio, mediamente violentavano in gruppi da due o tre, ma
abbiamo raccolto testimonianze di donne violentate anche da 100, 200 e 300
uomini. Oltre alle violenze carnali, vi furono decine di migliaia di richieste
per risarcimenti a danni materiali: furti, incendi, saccheggi e distruzioni”.
Mezzi tedeschi distrutti sulla
strada di Esperia
12. La rimozione storica
Nonostante le pubblicazioni del professor Bruno
D’Epiro, cittadino di Esperia che fu il primo, a livello locale, a interessarsi
in maniera organica a questi misfatti, a parte qualche articolo successivo e
qualche raro documentario, la storiografia nazionale ha lasciato pressoché
unicamente al film di Vittorio De Sica “La Ciociara”, il difficile ruolo di
trasferire al grande pubblico qualcosa sulle marocchinate. Fino agli anni ’90,
poi, come scriveva al sindaco di Esperia lo storico belga Pierre Moreau, nulla
del genere era mai apparso sulla letteratura storica in lingua inglese,
francese e olandese. La memoria di queste aberrazioni è, tuttavia, ancora una
ferita aperta nei luoghi che furono colpiti. Nel 1985, a Esperia, fu
organizzata una manifestazione di riconciliazione tra tutti i reduci della
guerra. Solo i francesi non furono invitati, in quanto espressamente “non
graditi”. Il cimitero di guerra di Venafro, che ospita i caduti del Cef,
sovente, ancor oggi, vede la propria insegna marmorea imbrattata di vernice da
mani ignote.
13. Il prossimo procedimento legale
ai danni della Francia
L’avvocato romano Luciano Randazzo, già noto per aver
fatto riaprire casi riguardanti le Foibe e l’esecuzione di Mussolini, dichiara:
“Anni fa assistetti una povera signora che, durante la guerra, era stata
“marocchinata” ed ebbi modo di conoscere da vicino quei drammi: era tutta
povera gente. Nel 2003, una tv francese mi intervistò, valutando se si potesse
intraprendere un’azione legale verso l’Associazione d’arma dei goumiers
“Koumia”. Fino ad oggi, cosa ha fatto lo Stato italiano per chiedere i giusti risarcimenti
ai francesi? Nulla. Ecco perché, a breve presenterò un ricorso presso il
Tribunale Militare di Roma e presso la Corte internazionale, ai danni della
Francia”.
La storia delle marocchinate non è ancora
chiusa.
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