giovedì 18 agosto 2016

Limena che non c’è. Gli antichi mulini galleggianti di Limena.



Limena che non c’è. Gli antichi mulini galleggianti di Limena. Azioni didattiche per la ricerca su persone e luoghi scomparsi (o dimenticati) del nostro territorio
Gli antichi mulini galleggianti di Limena sul Brenta e sul Brentella
Attività di ricerca storica realizzata con classi della scuola media di Limena
di Bruno Trevellin, docente

(fotogramma dal film Il mulino del Po)

Antiche mappe di Limena, ricordi d’infanzia, un’uscita sul territorio, alcune foto d’epoca e il romanzo di Bacchelli

Parte prima: presentazione dell’attività alla classe

Prima del pane, e della pizza, vengono i mulini
Da qualche anno propongo ai ragazzi delle mie classi un lavoro di ricerca sugli antichi mulini di Limena collocati sul Brenta e sul Brentella. Parto sempre da un mio ricordo, di quando da piccolo trascorrevo le vacanze in campagna dai nonni materni e vedevo mio nonno Toni portare il grano o il granoturco dal mugnaio (el munaro). Caricava i sacchi su un carretto trainato da una vecchia cavalla e si recava al mulino di Ponterotto. Riportava a casa le farine, per il pane, la pasta, la polenta, o il semolino per le bestie. La pasta la faceva mia nonna: gnocchi, tagliatelle, bigoli allora non si compravano al supermercato. Anche mia madre da ragazza si adoperava in questo lavoro di trasporto, caricandosi sulla bicicletta i sacchi pieni di farina.
Sono passati quasi cinquant’anni e i mulini sui corsi d’acqua sono oggi una rarità museale, ma in giro se ne trovano ancora.

(foto scattata in via Molini a Ponterotto. In evidenza la cabina del mulino dove mio nonno portava le sue granaglie. Sotto l’indicazione della via e una foto del complesso visto da dietro)


Attenzione, quelli di Limena però non erano mulini in muratura costruiti sulla riva, ma mulini galleggianti o natanti.


Le antiche mappe sui mulini di Limena
Poi mostro loro tre antiche mappe di Limena, che uso anche per altri lavori di ricerca sul territorio e che molti limenesi di sicuro conoscono, perché le trovano appese come foto in municipio o perché le hanno viste nei libri pubblicati da Renato Martinello.
La prima è del 1559 e mostra chiaramente i mulini sul Brenta all’altezza dell’attuale Punta Speron-cascata. Il corso del Brenta era stato sbarrato da una rosta in modo da far correre più velocemente l’acqua e a valle si trovava il mulino o meglio: i molini. La rosta era praticamente un terrapieno sostenuto da una palizzata. Doveva essere un’opera imponente, ma di grande utilità per quel mulino, di cui poco sappiamo se non della sua esistenza proprio da questa mappa. E la rosta e i mulini erano talmente importanti per l’economia del territorio che nel 1509 durante la guerra di Cambrai Massimiliano d’Asburgo decise di distruggerli (Martinello, I colmelloni). Ma se sono riportati nella mappa del 1559 è evidente che rosta e mulini vennero poi ricostruiti.



(mappa del 1559)

(particolare della stessa)
Di sicuro ce n’erano anche altri sul tratto limenese del Brenta. Abbiamo notizia di uno sistemato più a valle (all’altezza dell’attuale zona artigianale) da una mappa del 1656, mulino appartenente ai canonici di Padova. La mappa, conservata presso l’Archivio di Venezia, è stata disegnata perché i canonici intendevano trasferire il loro mulino, andato distrutto, dal Brenta al Brentella.

(in Galeazzo-Martinello, La barchessa Fini)


(particolare della stessa)


La terza è una mappa del 1722, conservata sempre presso l’Archivio di Stato di Venezia, e mostra il mulino a due ruote (due rode) sul Brentella appartenente ai Fini (la nobile famiglia proprietaria della villa e delle barchesse in centro a Limena).

(in Galeazzo-Martinello, La barchessa Fini)

Parte seconda: uscita sul territorio
Di questi mulini a Limena non c’è traccia sul territorio, ma ho accompagnato lo stesso i ragazzi a localizzarne i siti (scattando alcune foto): di quello sul Brenta a Punta Speron e di quello sul Brentella in via Matteotti. Il punto della rosta sul Brenta evidentemente ha contribuito alla costruzione successiva delle cascate, che erano due fino agli anni ’90 e ora una sola, dopo i lavori di sistemazione del Genio Civile di Venezia, ma con a valle un sistema moderno di frangiflutti.
Sulla casa di via Matteotti al civico 38 è stata sistemata una lapide marmorea con la scritta via Molino. Una più attenta considerazione storica avrebbe conservato quel nome per la via lungo il canale Brentella, ma per diverse e opposte motivazioni politiche venne prima intitolata a Italo Balbo nel 1940 in onore del ministro del Ventennio e poi, nel dopoguerra, reintitolata con quello del deputato socialista assassinato dai fascisti nel 1924. 

(foto della lapide in via Matteotti, vi si legge via Molino Limena)

(punto del Brentella in cui sorgeva il mulino dei Fini, fotografato da via Fornace)


Parte terza: approfondimenti in classe

Ma che mulini sono quelli galleggianti?
Lo leggiamo nello studio di Claude Rivals, Il Mulino (in Storia e Dossier, n. 7 Giunti (1987). “Procopio, nella sua Storia della guerra gotica, racconta che durante l’assedio di Roma nel 537 il re degli Ostrogoti aveva tagliato gli acquedotti, togliendo così l’acqua ai mulini. Belisario e i suoi ingegneri trovarono immediatamente la soluzione: legarono solidamente tra di loro due barche, disposero nel mezzo una ruota da mulino, poi istallarono le mole e i meccanismi. Il ‘mulino galleggiante’, che nasceva così dal singolare connubio di un mulino e di un battello, fu una macchina di straordinaria longevità che è stata vista su numerosissimi fiumi di quasi tutti i paesi d’Europa” (p. 12).
Quelli di Limena erano proprio questo tipo di mulini, quelli inventati per Roma dal generale bizantino, come quelli della foto sottostante, e il loro funzionamento, molto semplice, è mostrato nei due disegni riportati.

Da: trattoridepocapiacentini.it/2%20MULINI%20GALLEGGIANTI.pdf
 

Anche quelli ben più noti e studiati di Ponte Molino a Padova erano di questo tipo. Ce n’erano ben trentatre!

I mulini natanti di Padova a Ponte Molino
A Padova e nel territorio intorno si verificò un fiorire di strutture molitorie di tipo natante sul fiume Brenta e Bacchiglione. Le testimonianze documentarie confermano la gran diffusione di questi mulini tra il XI e XIII secolo, ma i ritrovamenti archeologici anticipano l'utilizzo di questo tipo di impianto già nei secoli precedenti. Nei pressi di Ponte Molino, nella città, si verificò uno straordinario fenomeno, ovvero l'assieparsi sotto le arcate del ponte romano di ben trentatré ruote natanti, numero confermato già nella Visio Egidii di Giovanni da Nono nel XIV secolo. Altri molini natanti si installarono sul Canale Alicorno, a Ponte San Nicolò e a Selvazzano. Questi mulini costruiti su sandoni, zatteroni lignei e dotati di grande ruota e coperti dall'arca che proteggeva i meccanismi e le macine, sfruttavano piccoli salti d'acqua appositamente preposti con briglie lignee e palificate e si caratterizzavano per ruote di ampia dimensione ma di povero pescaggio rispetto alle pale degli altri fiumi padani, allargate per sfruttare la semplice corrente fluviale. Queste strutture sopravvissero per tutto il XIX secolo: gli storici edifici di Ponte Molino furono abbattuti nel 1884, dopo una piena del Bacchiglione. Gli ultimi esemplari furono demoliti nel 1912 su ordine del Genio Civile che giudicava pericolose le palificate e le briglie per lo scorrere delle acque. Pervengono oggi solo che testimonianze fotografiche di queste gloriose strutture proto-industriali (testo da wikipedia).
(I trentatré mulini a Ponte Molino a Padova, prima della demolizione)


Riccardo Bacchelli e Il mulino del Po (1957)

Non poteva mancare un riferimento al romanzo di Riccardo Bacchelli Il mulino del Po. Ne abbiamo letto qualche pagina, ma ancor più efficaci e belle sono state alcune scene dal film di Sandro Bolchi del 1963. In yutube lo si trova per intero.
(Riccardo Bacchelli)
“Il contadino ha il grano, ma lui ha le macine: finchè dura bisogno di pane, c’è bisogno del mugnaio…e le pale gliele muove gratis il fiume!” (Bacchelli, Il mulino del Po).
Fino a cinquant’anni fa si andava tutti al mulino.

Nota finale dell’insegnante
Il lavoro non ha la pretesa di essere esaustivo sull’argomento (tanto e di più è già stato scritto sui mulini natanti), ma solo di documentare le modalità di sviluppo di una ricerca storica a partire dal proprio territorio condotta con studenti di undici-dodici anni.
Usando materiale non difficile da reperire come mappe, foto d’epoca, cartoline e indicazioni che si possono trovare online o su testi di storia, è possibile far loro provare il piacere della ricerca a partire da ambienti noti del proprio comune. Il materiale ovviamente lo procura il docente, ma su quel materiale poi i ragazzi lavorano, mettono ordine, organizzano un proprio testo, un proprio lavoro. Apprendono.
Peccato che a Limena non solo non ci siano più i mulini, ma neanche l’indicazione della via che li ricordi. In altre parti si incontra nella toponomastica stradale via Mulini, via Molino, o Ponte Molino. Nel nostro caso basterebbe nella segnaletica inserire sotto l’indicazione via Matteotti ‘già via molino’. Non creerebbe problemi e soprattutto farebbe ritornare in vita una parte dimenticata di Limena.



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