lunedì 18 luglio 2016

Limena che non c'è. Il posto delle lavandare sul Brentella. Azioni didattiche per la ricerca di persone e luoghi scomparsi (o dimenticati)



Il posto delle lavandare sul Brentella
Dalla poesia del Pascoli al territorio, dall’antologia alla fatica delle lavandaie
Attività interdisciplinare con una classe prima
di Bruno Trevellin, docente

Un primo approccio
Come primo approccio alla poesia nelle antologie di prima media è facile trovare il madrigale del Pascoli Lavandare, tratto dalla raccolta Myricae (1891). Da un paio di anni la propongo per poi effettuare un’uscita sul territorio.

Eccone il testo, breve, non proprio facile, comunque bello:

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggiero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene.

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l’aratro in mezzo alla maggese.


Pascoli è veramente un genio: qui è riuscito a mettere insieme cielo e terra, acqua e vento, uomini e animali, suoni e silenzi.
Con l’aiuto della LIM è stato facile trovare siti con parafrasi, commenti, riferimenti. I ragazzi riescono con facilità a impararla anche a memoria. Ma io volevo portarli su un altro piano, un piano più storico-sociale che linguistico-letterario, quello appunto del lavoro dei campi e, soprattutto, del lavoro delle lavandaie, delle lavandaie di Limena.
Subito dopo la poesia un quadro, un’opera di Van Gogh che, meglio di altre e meglio di me, può spiegare il testo del Pascoli. Si tratta del Campo innevato con aratro, dove l’attrezzo è proprio senza buoi e dimenticato in mezzo ai campi!


(Van Gogh, Campo innevato con aratro. 1890)

Aratro e buoi
I ragazzi di oggi non sono quelli della mia generazione. Io alla loro età passavo le vacanze in campagna dai nonni materni e mi capitava spesso di aiutare mio nonno Toni nei suoi lavori: lo sfalcio dell’erba, la raccolta del fiero, la pulizia della stalla, la vendemmia. I buoi non si usavano più per l’aratura (c’era già il trattore), ma per tirare il carro o l’erpice sì. È un mondo, e un tempo, che ricordo ancora come bello, semplice e umile: il mondo della civiltà contadina da cui tutti o quasi proveniamo. Poi è arrivata l’industrializzazione, anche a Limena, e quel mondo è morto. Sono spariti pure gli aratri. Se c’è un’opera che meglio me lo ricorda, quel mondo, è proprio l’olio su tela sempre di Van Gogh, Contadini in siesta. Io quella scena l’ho vissuta prima di conoscere Van Gogh, io sulla paglia mi sono veramente sdraiato, stanco ma sereno, dopo aver aiutato mio nonno.

(Van Gogh, Contadini in siesta, 1890)

Ma torniamo alla classe, torniamo ai ragazzi. Ho scoperto che non si deve mai dare per scontato ciò che a noi sembra ovvio. Ho scoperto, per esempio, che nessuno sapeva descrivere con parole proprie un aratro. Qualcuno sapeva cosa può essere un trattore, ma un aratro, quello di Van Gogh e di Pascoli, è un’altra cosa. Per un motivo molto semplice: di aratri non se ne vedono più in giro. E allora non mi restava che mostrare un vecchio aratro, sempre usando la LIM, uno di quelli che si possono ancora vedere solo nei musei della civiltà contadina o abbandonato nelle vecchie case di campagna.


E poi ho dovuto spiegare che i buoi non sono le mucche che vedono al pascolo quando vanno in montagna e neanche vanno confusi con i tori. L’unico bue che conoscono è forse quello del presepe, ma è solo una statuina! I buoi li conoscono quelli della mia età, quelli che li hanno visti nelle stalle, quelli che li hanno visti lavorare nei campi. Solo noi sappiamo che sono veramente utili, forti e mansueti. Ma non potevo mostrarglieli dal vero. Mi sono servito di un quadro di Fattori e di una foto. Dicono più di tante parole e di tante pagine.
(Giovanni Fattori, Bovi al carro, 1867)


(foto di contadino all'aratro)

Ecco quello che poteva essere il lavoro contadino dei bisnonni (più che dei nonni) dei nostri ragazzi. Non è mio nonno quello della foto e le due bestie non sono i suoi buoi, ma ci assomigliano molto.

E poi le lavandare di Limena: cartoline, foto e testimonianze
Ma se della civiltà contadina tutti possiamo dire qualcosa, più impegnativo risulta trovare tracce, sul territorio, del lavoro delle lavandaie. Anche qui però non manca materiale illustrativo, come le foto d’epoca, e a Limena sul canale Brentella ci sono ancora sull’acqua le postazioni per un lavoro che si faceva tutto a mano prima che nelle nostre case entrasse la lavatrice. Ho mostrato la foto di una prima lavatrice manuale Perla e quella di una vecchia Zoppas, lavatrice finalmente elettrica.


Le foto e cartoline che seguono non sono di Limena. Con i ragazzi le abbiamo trovate in internet.





Donne piegate sull’acqua a lavare e battere panni per ore e ore. Nei loro volti rivedo le mie nonne, rivedo mia madre, che non andavano alla gora perché nelle vicinanze non avevano un corso d’acqua, ma all’abbeveratoio vicino al pozzo sull’aia o al mastello con l’asse di legno.



(esempio di asse da lavandaia, presente in ogni nostra casa fino a cinquanta anni fa, recuperata a un mercatino dell'usato)

(Padova, lavandaie a Ponte San Giovanni, cartolina)

(Padova, lavandaie sul Piovego, dietro la chiesa del Carmine, cartolina)

Uscita sul territorio…con tablet o cellulare
Li ho portati, i miei ragazzi di prima, a vedere il posto delle lavandaie sul canale Brentella. Ci sono tre postazioni: due tra le chiuse (a Limena le chiamiamo colmelloni) e una poco più a valle davanti alla scuola Manzoni. La linea retta del bordo del canale fa una rientranza a rettangolo consentendo all’acqua di stagnare e alle lavandaie di fare il loro lavoro senza correre il pericolo di vedersi i panni trascinati via dalla corrente. Con i ragazzi sono sceso fino all’acqua, facendo la lunga scalinata che dalla strada porta giù alla corrente.
È un’uscita di un’ora, ma vale certamente più di un’ora di lezione in classe. E non ho fatto prendere appunti, ma foto con il tablet o il cellulare per documentare l’attività di ricerca e di scoperta.
(foto scattata da via Matteotti: mostra l’invaso delle lavandaie sul lato destro del Brentella, davanti alla scuola Manzoni. Da questo lato io le vedevo scendere, avevano l’età di mia madre, ed io ero molto piccolo. La scaletta è stata messa di recente per scendere in acqua con le canoe.



(la foto, scattala sull’argine vicino alla caserma dei carabinieri, mostra i due invasi situati subito dopo il primo colmellone, uno sul lato destro e uno sul lato sinistro del canale)


(invaso sul lato sinistro, ancora ben conservato)


(particolare dell’invaso sinistro con vista anche dell’invaso sul lato destro)

(ancora l’invaso sinistro con vista della strettoia della chiusa)


(la scalinata per scendere all’invaso di sinistra, infestata dalle erbacce, ma basta poco per tenerla pulita. Non ha bisogno di restauri, la trachite di cui è fatta è ancora in ottimo stato)


(particolare della scalinata)

Una testimonianza orale
Ho chiesto ai ragazzi di informarsi se per caso in famiglia qualcuno conoscesse qualcosa di quel lavoro delle lavandaie sul Brentella. Solo una ragazza ha saputo dirci di sua nonna paterna, ancora in vita, che quand’era giovane scendeva sull’acqua a lavare i panni. Li lavava sull’invaso di destra e poi li stendeva ad asciugare sull’argine. Pensavo che qualcun altro riportasse altre informazioni, ma evidentemente è una memoria che rischia di essere cancellata se non viene più raccontata. La scuola però può ancora farla rivivere o evocarla.

Scheda tecnica di rilevamento e attività in classe
Alla fine ho proposto ai ragazzi una semplice scheda sull’attività svolta. Potevano compilarla da soli o con il vicino di banco. Aveva solo pochi indicatori: Titolo dell’attività-Data uscita-Indicazione degli elementi rilevati.
Alla fine ho chiesto a qualcuno di spiegare ai compagni di classe l’attività svolta, concedendo agli altri di intervenire per precisare meglio o correggere i contenuti riferiti.

Discipline coinvolte
Italiano, storia, geografia, arte

Cosa resterà?!
La memoria di un’uscita sul territorio, che non è come stare in classe
La scoperta che la storia è scritta sul territorio di appartenenza
La coscienza di appartenere a una comunità con una storia
La coscienza civica che la comunità è quella di oggi e quella di ieri
La coscienza che la propria storia locale è la storia di tante altre persone (lavandaie e contadini)
Guarderanno quegli invasi sul Brentella con l’occhio attento di chi non vede solo dell’acqua passare
Il gusto della scoperta, che è scoperta delle proprie radici e quindi di sé.

Un monumento alle lavandaie
A queste donne, alle lavandaie, bisognerebbe dedicare un monumento. Mi sa che lo proporrò al mio comune o meglio lo farò proporre ai miei ragazzi.








Nessun commento:

Posta un commento