Dalla poesia del Pascoli al territorio, dall’antologia alla
fatica delle lavandaie
Attività
interdisciplinare con una classe prima
di Bruno Trevellin, docente
Un primo approccio
Come primo approccio alla poesia nelle antologie di prima
media è facile trovare il madrigale del Pascoli Lavandare, tratto dalla raccolta
Myricae (1891). Da un paio di anni la propongo per
poi effettuare un’uscita sul territorio.
Eccone il testo, breve, non proprio facile, comunque bello:
Nel campo
mezzo grigio e mezzo neroresta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggiero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene.
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l’aratro in mezzo alla maggese.
Pascoli è veramente un genio: qui è riuscito a mettere insieme cielo e terra, acqua e vento, uomini e animali, suoni e silenzi.
Con l’aiuto
della LIM è stato facile trovare siti con parafrasi, commenti, riferimenti. I
ragazzi riescono con facilità a impararla anche a memoria. Ma io volevo
portarli su un altro piano, un piano più storico-sociale che linguistico-letterario,
quello appunto del lavoro dei campi e, soprattutto, del lavoro delle lavandaie,
delle lavandaie di Limena.
Subito dopo
la poesia un quadro, un’opera di Van Gogh che, meglio di altre e meglio di me,
può spiegare il testo del Pascoli. Si tratta del Campo innevato con aratro, dove l’attrezzo è proprio senza buoi e dimenticato
in mezzo ai campi!
(Van Gogh, Campo innevato con aratro. 1890)
Aratro e buoi
I ragazzi di
oggi non sono quelli della mia generazione. Io alla loro età passavo le vacanze
in campagna dai nonni materni e mi capitava spesso di aiutare mio nonno Toni
nei suoi lavori: lo sfalcio dell’erba, la raccolta del fiero, la pulizia della
stalla, la vendemmia. I buoi non si usavano più per l’aratura (c’era già il
trattore), ma per tirare il carro o l’erpice sì. È un mondo, e un tempo, che
ricordo ancora come bello, semplice e umile: il mondo della civiltà contadina
da cui tutti o quasi proveniamo. Poi è arrivata l’industrializzazione, anche a
Limena, e quel mondo è morto. Sono spariti pure gli aratri. Se c’è un’opera che
meglio me lo ricorda, quel mondo, è proprio l’olio su tela sempre di Van Gogh, Contadini in siesta. Io quella scena l’ho
vissuta prima di conoscere Van Gogh, io sulla paglia mi sono veramente
sdraiato, stanco ma sereno, dopo aver aiutato mio nonno.
Ma torniamo
alla classe, torniamo ai ragazzi. Ho scoperto che non si deve mai dare per
scontato ciò che a noi sembra ovvio. Ho scoperto, per esempio, che nessuno
sapeva descrivere con parole proprie un aratro. Qualcuno sapeva cosa può essere
un trattore, ma un aratro, quello di Van Gogh e di Pascoli, è un’altra cosa. Per
un motivo molto semplice: di aratri non se ne vedono più in giro. E allora non
mi restava che mostrare un vecchio aratro, sempre usando la LIM, uno di quelli
che si possono ancora vedere solo nei musei della civiltà contadina o abbandonato
nelle vecchie case di campagna.
E poi ho
dovuto spiegare che i buoi non sono le mucche che vedono al pascolo quando
vanno in montagna e neanche vanno confusi con i tori. L’unico bue che conoscono
è forse quello del presepe, ma è solo una statuina! I buoi li conoscono quelli
della mia età, quelli che li hanno visti nelle stalle, quelli che li hanno
visti lavorare nei campi. Solo noi sappiamo che sono veramente utili, forti e
mansueti. Ma non potevo mostrarglieli dal vero. Mi sono servito di un quadro di
Fattori e di una foto. Dicono più di tante parole e di tante pagine.
(Giovanni Fattori, Bovi al carro, 1867)
(Giovanni Fattori, Bovi al carro, 1867)
(foto di contadino all'aratro)
Ecco quello che poteva essere il lavoro contadino dei bisnonni (più che dei nonni) dei nostri ragazzi. Non è mio nonno quello della foto e le due bestie non sono i suoi buoi, ma ci assomigliano molto.
E poi le lavandare di Limena: cartoline, foto e testimonianze
Ma se della
civiltà contadina tutti possiamo dire qualcosa, più impegnativo risulta trovare
tracce, sul territorio, del lavoro delle lavandaie. Anche qui però non manca
materiale illustrativo, come le foto d’epoca, e a Limena sul canale Brentella
ci sono ancora sull’acqua le postazioni per un lavoro che si faceva tutto a
mano prima che nelle nostre case entrasse la lavatrice. Ho mostrato la foto di
una prima lavatrice manuale Perla e quella di una vecchia Zoppas, lavatrice
finalmente elettrica.
Donne
piegate sull’acqua a lavare e battere panni per ore e ore. Nei loro volti
rivedo le mie nonne, rivedo mia madre, che non andavano alla gora perché nelle
vicinanze non avevano un corso d’acqua, ma all’abbeveratoio vicino al pozzo
sull’aia o al mastello con l’asse di legno.
(esempio di
asse da lavandaia, presente in ogni nostra casa fino a cinquanta anni fa, recuperata a un mercatino dell'usato)
(Padova,
lavandaie sul Piovego, dietro la chiesa del Carmine, cartolina)
Uscita sul territorio…con tablet o cellulare
Li ho
portati, i miei ragazzi di prima, a vedere il posto delle lavandaie sul canale
Brentella. Ci sono tre postazioni: due tra le chiuse (a Limena le chiamiamo
colmelloni) e una poco più a valle davanti alla scuola Manzoni. La linea retta
del bordo del canale fa una rientranza a rettangolo consentendo all’acqua di
stagnare e alle lavandaie di fare il loro lavoro senza correre il pericolo di
vedersi i panni trascinati via dalla corrente. Con i ragazzi sono sceso fino
all’acqua, facendo la lunga scalinata che dalla strada porta giù alla corrente.
È un’uscita
di un’ora, ma vale certamente più di un’ora di lezione in classe. E non ho
fatto prendere appunti, ma foto con il tablet o il cellulare per documentare
l’attività di ricerca e di scoperta.
(foto
scattata da via Matteotti: mostra l’invaso delle lavandaie sul lato destro del
Brentella, davanti alla scuola Manzoni. Da questo lato io le vedevo scendere,
avevano l’età di mia madre, ed io ero molto piccolo. La scaletta è stata messa
di recente per scendere in acqua con le canoe.
(la foto,
scattala sull’argine vicino alla caserma dei carabinieri, mostra i due invasi
situati subito dopo il primo colmellone, uno sul lato destro e uno sul lato
sinistro del canale)
(ancora
l’invaso sinistro con vista della strettoia della chiusa)
(la
scalinata per scendere all’invaso di sinistra, infestata dalle erbacce, ma
basta poco per tenerla pulita. Non ha bisogno di restauri, la trachite di cui è
fatta è ancora in ottimo stato)
(particolare
della scalinata)
Una testimonianza orale
Ho chiesto
ai ragazzi di informarsi se per caso in famiglia qualcuno conoscesse qualcosa
di quel lavoro delle lavandaie sul Brentella. Solo una ragazza ha saputo dirci di
sua nonna paterna, ancora in vita, che quand’era giovane scendeva sull’acqua a
lavare i panni. Li lavava sull’invaso di destra e poi li stendeva ad asciugare
sull’argine. Pensavo che qualcun altro riportasse altre informazioni, ma
evidentemente è una memoria che rischia di essere cancellata se non viene più
raccontata. La scuola però può ancora farla rivivere o evocarla.
Scheda tecnica di rilevamento e attività in classe
Alla fine ho
proposto ai ragazzi una semplice scheda sull’attività svolta. Potevano
compilarla da soli o con il vicino di banco. Aveva solo pochi indicatori: Titolo
dell’attività-Data uscita-Indicazione degli elementi rilevati.
Alla fine ho
chiesto a qualcuno di spiegare ai compagni di classe l’attività svolta,
concedendo agli altri di intervenire per precisare meglio o correggere i
contenuti riferiti.
Discipline coinvolte
Italiano,
storia, geografia, arte
Cosa resterà?!
La memoria
di un’uscita sul territorio, che non è come stare in classe
La scoperta
che la storia è scritta sul territorio di appartenenza
La coscienza
di appartenere a una comunità con una storia
La coscienza
civica che la comunità è quella di oggi e quella di ieri
La coscienza
che la propria storia locale è la storia di tante altre persone (lavandaie e
contadini)
Guarderanno
quegli invasi sul Brentella con l’occhio attento di chi non vede solo
dell’acqua passare
Il gusto
della scoperta, che è scoperta delle proprie radici e quindi di sé.
Un monumento alle lavandaie
A queste
donne, alle lavandaie, bisognerebbe dedicare un monumento. Mi sa che lo
proporrò al mio comune o meglio lo farò proporre ai miei ragazzi.
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