lunedì 29 luglio 2019

Il foglio matricolare di mio nonno, il fante Toniato Antonio, classe 1913


Il foglio matricolare di mio nonno, il fante Toniato Antonio, classe 1913

Contadino padovano, soldato in Croazia e per due anni nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale.

(trascrizione e note a cura di Bruno Trevellin)


TONIATO ANTONIO, di Pasquale e di Riondato Teresa, numero di matricola 50030, del Distretto di Padova, classe 1913.

Campagne
Campagna di guerra del 1943
Campagna di guerra del 1944
Campagna di guerra del 1945
Ha titolo all’attribuzione dei benefici[1] di cui all’art. 6, D. L. 4-3-1948, n. 137 come ratificato con legge 23-2-1952, n. 95 per essere stato prigioniero dei Tedeschi dal 12 settembre ’43 all’8 maggio ’45 e trattenuto dalle Forze Armate delle Nazioni Unite fino al 10 agosto ’45.

Note caratteristiche
Robustezza: molta
condotta in servizio e fuori servizio: ottima
cura dell’arredo: sufficiente
istruzione militare: sufficiente
istruzione letteraria: terza elementare
attitudine all’avanzamento: a caporale

Dati e contrassegni personali
Residenza all’atto dell’arruolamento: Rubano, via Frascà n. 7-frazione di Sarmeola.
Figlio di Pasquale e di Riondato Teresa, nato il 9 giugno 1913 a Rubano (Padova), statura m. 1,79; torace m. 0,84; capelli color castano, forma liscia; viso lungo; naso aquilino; mento giusto; occhi castani; sopracciglia castane; fronte regolare; colorito roseo; bocca regolare; dentatura sana; arte o professione contadino; sa leggere e scrivere; titolo di studio terza elementare.

Arruolamento
Richiesta di congedo illimitato presentata in data 8 agosto 1933
Chiamato alle armi e giunto il 6 aprile ‘34
Assegnato al 25° Reggimento fanteria il 7 aprile ‘34
Nel 73° Reggimento fanteria il 15 settembre ‘34
Parificato a Fiume il 29 settembre ‘34
Nel 75° Reggimento fanteria per la guardia alla frontiera il 15 settembre ‘34
Nel 26° Reggimento fanteria, divisione di Fiume l’8 marzo ‘35
Trattenuto alle armi a senso della circolare n. 40001 del 4 marzo 1935-XIII del Ministero della guerra il 6 aprile ‘35
Nel 25° Reggimento fanteria il 17 settembre ‘35
Inviato in licenza illimitata in attesa di congedo il 29 marzo ‘36
Collocato in congedo illimitato l’1 luglio ‘36
Iscritto al ruolo 111 delle forze in congedo del Distretto di Padova il 19 gennaio ‘38
Richiamato alle armi per istruzione il 30 agosto ‘39
Inviato in licenza illimitata senza assegni l’1 dicembre ‘39
Richiamato alle armi e giunto presso il 55° Reggimento Fanteria il 7 gennaio ‘41
Catturato e fatto prigioniero dalle truppe tedesche mentre trovavasi presso il 55° Reggimento Fanteria di stanza in Croazia il 12 settembre ‘43[2]
Rientrato dalla prigionia il 10 agosto ‘45[3]
Esaminato dalla Commissione interrogatrice prigionieri di guerra del Distretto militare di Padova , nessun addebito può essere elevato in merito alle circostanze della cattura e al comportamento tenuto durante la prigionia di guerra.
Inviato in licenza di rimpatrio di giorni 60  con assegni a decorrenza dall’11 agosto ’45 al 10 ottobre ‘45
Collocato in congedo illimitato il 10 ottobre ‘45

Nota Finale
Toniato Antonio, mio nonno materno, tornò a casa nel pomeriggio dell'Assunta del 1945, ridotto a 35 chili di pelle e ossa, anche lui per due anni 'schiavo di Hitler' con gli altri 600 mila IMI (Internati Militari Italiani) senza diritti, che preferirono lo sfruttamento nei campi di lavoro tedeschi piuttosto che essere arruolati nell'esercito della Repubblica Sociale.

“Il regime nazista non considera i nostri soldati catturati come prigionieri di guerra, ma li classifica presto come ‘internati militari italiani’ (IMI), privandoli così delle tutele garantite ai prigionieri dalla Convenzione di Ginevra, sottraendoli alla protezione della Croce Rossa Internazionale e obbligandoli al lavoro. È il lavoro per il Reich, infatti, l'obiettivo principale della politica tedesca nei confronti degli italiani catturati, un lavoro che verrà svolto in condizioni disumane, in totale spregio delle norme di guerra e di quelle umanitarie.
Durante l'internamento, i militari italiani – soprattutto gli ufficiali, perché i soldati sono ritenuti più utili al lavoro coatto – vengono incessantemente invitati, in cambio della liberazione, ad arruolarsi nelle forze armate tedesche e soprattutto nelle forze armate della Repubblica Sociale Italiana. La stragrande maggioranza degli internati rifiuta, dando vita a una forma di Resistenza ‘disarmata’ o ‘passiva’. Molti si oppongono a qualsiasi tipo di collaborazione; tutti si rassegnano alle tragiche condizioni di vita dei lager.
La RSI non aiuta in alcun modo i connazionali nei campi che, nell'agosto 1944, sono trasformati, con il consenso di Mussolini, in ‘lavoratori civili’, ma non per questo le loro condizioni migliorano. Sfruttati, malati, sottoposti a torture fisiche e psicologiche, non di rado oggetto di veri e propri crimini di guerra, gli italiani dei lager pagano spesso con la vita la loro resistenza. Le vittime dei lager saranno, alla fine della guerra, tra le 40 e le 50.000”[4].



[1] Trattasi della pensione di guerra.
[2] Fino all’8 settembre ’43 il comando del Reggimento era a Ragusa e aveva compiti di difesa costiera e di controguerriglia. Le forze divisionali erano dislocate a Gravosa, Trebjnie, Duzis, Davala, Ravno, Poljice e Slano. Il Reggimento viene sciolto il 12 settembre, dopo l’armistizio. “Nel corso delle operazioni di disarmo a Ragusa divampa, nelle prime ore del mattino, la resistenza italiana, che verrà comunque domata in mattinata. Catturati 28.000 italiani” (in SILVIA PASCALE, Come stelle nel cielo. In viaggio tra i lager, Ciesse edizioni, 2017, p. 13)
[3] “Andrea Devoto riassume così la successione delle fasi psicologiche attraversate dai deportati nei lager: una fase di shock iniziale, comune a tutti, caratterizzata da arresto, trasporto e arrivo al campo; una di adattamento al lager contrassegnata da fame, degradazione e repressione d’ogni sentimento; una fase di rassegnazione segnata da insensibilità fisica e morale, obbedienza e spersonalizzazione” (PASCALE, Come stelle nel cielo, p. 18)

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