Un verso al giorno (a memoria) toglie l’Alzhemimer
di torno.
E se
tornassimo ad imparare le poesie a memoria? I consigli di Pennac, Eco e Calvino
di Bruno
Trevellin, docente
Il morbo infuria/il pan ci manca/sul ponte
sventola/bandiera bianca, sentivo recitare
spesso da mio padre, con passione e con competenza (mio padre si prese la
licenza elementare a quarant’anni!). Conosco, però, anche tante altre persone ‘di una certa età’ che
sanno a memoria poesie di Leopardi, di Pascoli, di Carducci, canti della Divina
Commedia, l’Addio di Lucia ai suoi monti, il monologo Essere o non essere di
Shakespeare, il Cinque Maggio. Persone che non sono docenti di Lettere o
appassionati imitatori di Benigni. Persone con una cultura letteraria semplice
o poco istruite ma colte, come mia madre -che non ha finito le elementari- e
che, a quasi ottant’anni, sa ancora recitare la Cavallina storna e X Agosto.
Certo, quando propongo ai miei studenti di imparare a memoria una poesia,
ricevo come prima reazione il loro gran rifiuto. Ma nel giorno fissato per la
recita sono pochissimi quelli che non l’hanno imparata bene, anche tra i Bes. E
ovviamente c’è il voto, che loro stessi pretendono come gratificazione per la
loro fatica e riconoscimento per la loro bravura (‘abilità’ sarebbe il termine
più propriamente scolastico). Non solo, riescono pure a giudicare chi la sa
dire meglio di un altro! E quando le poesie le recito io in classe, la loro domanda,
stupita, è sempre: “Ma la sa a memoria, professore?”.
So di non essere l’unico insegnante che ‘tortura’ così i propri studenti,
ma coltivo anch’io la speranza che sia un’attività utile e bella. E poi trovo
conforto in grandi scrittori che sulla questione possono essere più autorevoli
e più credibili di me. Tra questi Pennac, Eco e Calvino, dei quali riporto, a mio
sostegno, alcuni loro testi e affermazioni.
Daniel
Pennac racconta di aver insegnato ai suoi alunni un testo a memoria a
settimana, facendoli appassionare alla qualità dei brani scelti: dal contenuto
alle competenze e non viceversa
D. Pennac, in Diario di scuola, mostra come le
competenze siano secondarie rispetto al contenuto, rispetto a ciò che si
studia. Solo quando un brano merita e appassiona, ha senso impararlo a
memoria, anzi saperlo ripetere vuol dire, in fondo, imparare a parlare ed
essere in grado di capire il mondo.
«E perché non imparare questi testi a memoria? In nome
di che cosa non appropriarsi della letteratura? Forse perché non si fa più da
tanto tempo? Vorremmo lasciare volar via pagine simili come foglie morte solo
perché non è più stagione? È davvero auspicabile non trattenere simili
incontri? Se questi testi fossero persone, se queste pagine eccezionali
avessero volti, dimensioni, una voce, un sorriso, un profumo, non passeremmo il
resto della vita a morderci le mani per averli lasciati scappare via? Perché
condannarci a conservarne solo una traccia che sbiadirà fino a essere solo il
ricordo di una traccia... In nome di quale principio, questo scempio?
Unicamente perché i professori di una volta erano noti per farci recitare
poesie spesso idiote e perché agli occhi di alcuni vecchi rimbambiti la memoria
era più un muscolo da allenare che una biblioteca da arricchire?
(…) Mi si
obietterà che una mente organizzata non ha alcun bisogno di imparare a memoria… Nell'epoca in cui la memoria si
misura in giga!
Tutto questo è vero, ma l'essenziale è altrove.
Imparando a memoria, non supplisco a nulla, aggiungo a tutto.
La memoria, qui, entra nel cuore della lingua.
Tuffarsi nella lingua, è questo che conta.
E se tuffandomi bevo, poi mi rituffo lo stesso.
Facendo imparare a memoria tanti testi ai miei allievi, dalla prima media all'ultimo anno delle superiori (uno per ogni settimana dell'anno scolastico e ciascuno da saper recitare tutti i giorni dell'anno), li gettavo vivi nel grande fiume della lingua, quello che scorre lungo i secoli per venire a bussare alla nostra porta e ad attraversare la nostra casa. Certo che recalcitravano, le prime volte! Immaginavano che l'acqua fosse troppo fredda, troppo profonda, la corrente troppo forte, loro di costituzione troppo debole. Legittimo! La classica strizza da trampolino:
"Non ci riuscirò mai!".
"Non ho memoria."
(Tirar fuori una scusa del genere con me, uno smemorato dalla nascita!)
"È troppo lunga!"
"È troppo difficile!"
(A me, l'ex deficiente di turno!)
"E poi i versi non è come si parla oggi!"
(Ah! Ah! Ah!)
"Ci dà il voto, prof?"
(Eccome!)
Senza contare le proteste della maturità vilipesa:
"Imparare a memoria? Non siamo più dei bebè!".
"Mica sono un pappagallo!"
Giocavano il tutto e per tutto, lealmente. E, sostanzialmente, dicevano quelle cose perché le sentivano dire. Dai genitori stessi, a volte, genitori sommamente evoluti: "Ma come, professor Pennacchioni, fa studiare i testi a memoria? Mio figlio non è più un bambino!". Suo figlio, cara signora, sarà sempre un bambino, un figlio della lingua, e anche lei un piccolo bebè, e io un ridicolo marmocchio, e tutti quanti noi minutaglia trascinata dal grande fiume scaturito dalla sorgente orale delle Lettere, e suo figlio vorrà sapere in quale lingua nuota, che cosa lo tiene a galla, lo disseta e lo nutre, e vorrà farsi lui stesso portatore di tale bellezza, e con quale orgoglio!(…)
Tutto questo è vero, ma l'essenziale è altrove.
Imparando a memoria, non supplisco a nulla, aggiungo a tutto.
La memoria, qui, entra nel cuore della lingua.
Tuffarsi nella lingua, è questo che conta.
E se tuffandomi bevo, poi mi rituffo lo stesso.
Facendo imparare a memoria tanti testi ai miei allievi, dalla prima media all'ultimo anno delle superiori (uno per ogni settimana dell'anno scolastico e ciascuno da saper recitare tutti i giorni dell'anno), li gettavo vivi nel grande fiume della lingua, quello che scorre lungo i secoli per venire a bussare alla nostra porta e ad attraversare la nostra casa. Certo che recalcitravano, le prime volte! Immaginavano che l'acqua fosse troppo fredda, troppo profonda, la corrente troppo forte, loro di costituzione troppo debole. Legittimo! La classica strizza da trampolino:
"Non ci riuscirò mai!".
"Non ho memoria."
(Tirar fuori una scusa del genere con me, uno smemorato dalla nascita!)
"È troppo lunga!"
"È troppo difficile!"
(A me, l'ex deficiente di turno!)
"E poi i versi non è come si parla oggi!"
(Ah! Ah! Ah!)
"Ci dà il voto, prof?"
(Eccome!)
Senza contare le proteste della maturità vilipesa:
"Imparare a memoria? Non siamo più dei bebè!".
"Mica sono un pappagallo!"
Giocavano il tutto e per tutto, lealmente. E, sostanzialmente, dicevano quelle cose perché le sentivano dire. Dai genitori stessi, a volte, genitori sommamente evoluti: "Ma come, professor Pennacchioni, fa studiare i testi a memoria? Mio figlio non è più un bambino!". Suo figlio, cara signora, sarà sempre un bambino, un figlio della lingua, e anche lei un piccolo bebè, e io un ridicolo marmocchio, e tutti quanti noi minutaglia trascinata dal grande fiume scaturito dalla sorgente orale delle Lettere, e suo figlio vorrà sapere in quale lingua nuota, che cosa lo tiene a galla, lo disseta e lo nutre, e vorrà farsi lui stesso portatore di tale bellezza, e con quale orgoglio!(…)
Pennac racconta che da insegnante di scuole con
ragazzi appartenenti a famiglie non colte esige - dopo aver appassionato alla
cosa - la memorizzazione di un testo a settimana:
«Un testo alla settimana, quindi, che dovevamo
essere in grado di recitare ogni giorno dell'anno, senza preavviso, tanto loro
quanto io. E numerati, per complicare la difficoltà. Prima settimana, testo
n° 1. Seconda settimana, testo n° 2. Ventitreesima settimana, testo n° 23 .
Tutte le apparenze di un meccanismo idiota, ma quei numeri a mo' di titoli
erano un gioco, per aggiungere il piacere del caso all'orgoglio del sapere».
Il gusto di memorizzare viene però sempre dopo il
gusto di aver capito l’autore, il gusto di aver intuito la segreta grandezza di
un pensiero che fa crescere se ci si confronta con esso. Sempre prima il contenuto delle
competenze!
«Appena capivano ciò che leggevano, scoprivano le
loro capacità mnemoniche, e spesso, prima della fine della lezione, un buon
numero di loro recitava il testo per intero, riuscendo a coprire un'intera
vasca senza l'aiuto del maestro di nuoto. Cominciavano a godersi la loro
memoria. Non se lo aspettavano. Era come la scoperta di una funzione nuova,
come se fossero spuntate loro le branchie. Stupiti di ricordare così in
fretta, ripetevano il testo una seconda, una terza volta, senza intoppi.
Poiché, una volta eliminata l'inibizione, capivano ciò di cui si
ricordavano. Non si limitavano a recitare una successione di parole, non era
solo la loro memoria a risvegliarsi, ma anche la loro intelligenza della
lingua, la lingua di un altro, il pensiero di un altro. Non recitavano Emilio, bensì restituivano
il ragionamento di Rousseau. Orgoglio. Non che in quei momenti tu ti creda
Rousseau, ma l'intuizione imprecatoria di Jean-Jacques si esprime attraverso la
tua bocca!».
All’amore per i testi viene dietro la competenza. Pennac
si stupisce di scoprire che, senza averlo suggerito, i suoi alunni cominciano a
giocare con i testi ed a padroneggiarli al punto da saperli incrociare o
recitare alla rovescia:
«A volte
giocavano. Si esercitavano insieme, facevano gare di velocità oppure recitavano
il testo con un tono estraneo alla sua natura: il furore, la sorpresa, la
paura, il balbettamento, l'eloquenza politica, la passione amorosa; di
tanto in tanto l'uno o l'altro imitava il presidente di turno, un ministro, un
cantante, un conduttore del telegiornale (…)
Caro
nipotino mio, non vorrei
che questa lettera natalizia suonasse troppo deamicisiana, ed esibisse consigli
circa l’amore per i nostri simili, per la patria, per il mondo, e cose del
genere. Non vi daresti ascolto e, al momento di metterla in pratica (tu adulto
e io trapassato) il sistema di valori sarà così cambiato che probabilmente le
mie raccomandazioni risulterebbero datate. Quindi vorrei soffermarmi su una
sola raccomandazione, che sarai in grado di mettere in pratica anche ora,
mentre navighi sul tuo iPad, né commetterò l’errore di sconsigliartelo, non
tanto perché sembrerei un nonno barbogio ma perché lo faccio anch’io. Al
massimo posso raccomandarti, se per caso capiti sulle centinaia di siti porno
che mostrano il rapporto tra due esseri umani, o tra un essere umano e un
animale, in mille modi, cerca di non credere che il sesso sia quello, tra
l’altro abbastanza monotono, perché si tratta di una messa in scena per costringerti
a non uscire di casa e guardare le vere ragazze. Parto dal principio che tu sia
eterosessuale, altrimenti adatta le mie raccomandazioni al tuo caso: ma guarda
le ragazze, a scuola o dove vai a giocare, perché sono meglio quelle vere che
quelle televisive e un giorno ti daranno soddisfazioni maggiori di quelle on
line. Credi a chi ha più esperienza di te (e se avessi guardato solo il sesso
al computer tuo padre non sarebbe mai nato, e tu chissà dove saresti, anzi non
saresti per nulla). Ma non è di questo che volevo parlarti, bensì di una malattia che ha colpito la tua
generazione e persino quella dei ragazzi più grandi di te, che magari vanno già
all’università: la perdita della memoria. È vero che se ti viene il
desiderio di sapere chi fosse Carlo Magno o dove stia Kuala Lumpur non hai che
da premere qualche tasto e Internet te lo dice subito. Fallo quando serve, ma
dopo che lo hai fatto cerca di ricordare quanto ti è stato detto per non essere
obbligato a cercarlo una seconda volta se per caso te ne venisse il bisogno
impellente, magari per una ricerca a scuola. Il rischio è che, siccome pensi
che il tuo computer te lo possa dire a ogni istante, tu perda il gusto di
mettertelo in testa. Sarebbe un poco come se, avendo imparato che per andare da
via Tale a via Talaltra, ci sono l’autobus o il metro che ti permettono di
spostarti senza fatica (il che è comodissimo e fallo pure ogni volta che hai
fretta) tu pensi che così non hai più bisogno di camminare. Ma se non cammini
abbastanza diventi poi “diversamente abile”, come si dice oggi per
indicare chi è costretto a muoversi in carrozzella. Va bene, lo so che fai
dello sport e quindi sai muovere il tuo corpo, ma torniamo al tuo cervello. La
memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce
e tu diventi (dal punto di vista mentale) diversamente abile e cioè (parliamoci
chiaro) un idiota. E inoltre, siccome per tutti c’è il rischio che quando si
diventa vecchi ci venga l’Alzheimer, uno dei modi di evitare questo spiacevole
incidente è di esercitare sempre la memoria. Quindi ecco la mia dieta. Ogni mattina impara qualche verso, una breve
poesia, o come hanno fatto fare a noi, “La Cavallina Storna” o “Il sabato del
villaggio”. E magari fai a gara con gli amici per sapere chi ricorda meglio.
Se non piace la poesia fallo con le formazioni dei calciatori, ma attento che
non devi solo sapere chi sono i giocatori della Roma di oggi, ma anche quelli
di altre squadre, e magari di squadre del passato (figurati che io ricordo la
formazione del Torino quando il loro aereo si era schiantato a Superga con
tutti i giocatori a bordo: Bacigalupo, Ballarin, Maroso eccetera). Fai gare di
memoria, magari sui libri che hai letto (chi era a bordo della Hispaniola alla
ricerca dell’isola del tesoro? Lord Trelawney, il capitano Smollet, il dottor
Livesey, Long John Silver, Jim…) Vedi se i tuoi amici ricorderanno chi erano i
domestici dei tre moschettieri e di D’Artagnan (Grimaud, Bazin, Mousqueton e
Planchet)… E se non vorrai leggere “I tre moschettieri” (e non sai che cosa
avrai perso) fallo, che so, con una delle storie che hai letto. Sembra un gioco
(ed è un gioco) ma vedrai come la tua testa si popolerà di personaggi, storie,
ricordi di ogni tipo. Ti sarai chiesto perché i computer si chiamavano un tempo
cervelli elettronici: è perché sono stati concepiti sul modello del tuo (del
nostro) cervello, ma il nostro cervello ha più connessioni di un computer, è
una specie di computer che ti porti dietro e che cresce e s’irrobustisce con
l’esercizio, mentre il computer che hai sul tavolo più lo usi e più perde
velocità e dopo qualche anno lo devi cambiare. Invece il tuo cervello può oggi
durare sino a novant’anni e a novant’anni (se lo avrai tenuto in esercizio)
ricorderà più cose di quelle che ricordi adesso. E gratis. C’è poi la memoria
storica, quella che non riguarda i fatti della tua vita o le cose che hai
letto, ma quello che è accaduto prima che tu nascessi. Oggi se vai al cinema
devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia
qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi
si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello
spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di
capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava
dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il
film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già
visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita
quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è
importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per
capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove. Ora la scuola (oltre alle
tue letture personali) dovrebbe insegnarti a memorizzare quello che è accaduto
prima della tua nascita, ma si vede che non lo fa bene, perché varie inchieste
ci dicono che i ragazzi di oggi, anche quelli grandi che vanno già
all’università, se sono nati per caso nel 1990 non sanno (e forse non vogliono
sapere) che cosa era accaduto nel 1980 (e non parliamo di quello che è accaduto
cinquant’anni fa). Ci dicono le statistiche che se chiedi ad alcuni chi era
Aldo Moro rispondono che era il capo delle Brigate Rosse - e invece è stato
ucciso dalle Brigate Rosse. Non parliamo delle Brigate Rosse, rimangono
qualcosa di misterioso per molti, eppure erano il presente poco più di
trent’anni fa. Io sono nato nel 1932, dieci anni dopo l’ascesa al potere del
fascismo ma sapevo persino chi era il primo ministro ai tempi dalla Marcia su
Roma (che cos’è?). Forse la scuola fascista me lo aveva insegnato per spiegarmi
come era stupido e cattivo quel ministro (“l’imbelle Facta”) che i fascisti
avevano sostituito. Va bene, ma almeno lo sapevo. E poi, scuola a parte, un
ragazzo d’oggi non sa chi erano le attrici del cinema di venti anni fa mentre
io sapevo chi era Francesca Bertini, che recitava nei film muti venti anni
prima della mia nascita. Forse perché sfogliavo vecchie riviste ammassate nello
sgabuzzino di casa nostra, ma appunto ti invito a sfogliare anche vecchie
riviste perché è un modo di imparare che cosa accadeva prima che tu nascessi.
Ma perché è così importante sapere che cosa è accaduto prima? Perché molte
volte quello che è accaduto prima ti spiega perché certe cose accadono oggi e
in ogni caso, come per le formazioni dei calciatori, è un modo di arricchire la
nostra memoria. Bada bene che questo non lo puoi fare solo su libri e riviste,
lo si fa benissimo anche su Internet. Che è da usare non solo per chattare con
i tuoi amici ma anche per chattare (per così dire) con la storia del mondo. Chi
erano gli ittiti? E i camisardi? E come si chiamavano le tre caravelle di
Colombo? Quando sono scomparsi i dinosauri? L’arca di Noè poteva avere un
timone? Come si chiamava l’antenato del bue? Esistevano più tigri cent’anni fa
di oggi? Cos’era l’impero del Mali? E chi invece parlava dell’Impero del Male?
Chi è stato il secondo papa della storia? Quando è apparso Topolino? Potrei continuare
all’infinito, e sarebbero tutte belle avventure di ricerca. E tutto da
ricordare. Verrà il giorno in cui sarai anziano e ti sentirai come se avessi
vissuto mille vite, perché sarà come se tu fossi stato presente alla battaglia
di Waterloo, avessi assistito all’assassinio di Giulio Cesare e fossi a poca
distanza dal luogo in cui Bertoldo il Nero, mescolando sostanze in un mortaio
per trovare il modo di fabbricare l’oro, ha scoperto per sbaglio la polvere da
sparo, ed è saltato in aria (e ben gli stava). Altri tuoi amici, che non
avranno coltivato la loro memoria, avranno vissuto invece una sola vita, la
loro, che dovrebbe essere stata assai malinconica e povera di grandi emozioni.
Coltiva la memoria, dunque, e da domani impara a memoria “La Vispa Teresa”.
Italo Calvino consiglia: "IMPARARE DELLE POESIE A
MEMORIA"
Molti anni
fa Italo Calvino in una intervista televisiva, al giornalista che gli chiedeva "tre
chiavi, tre talismani per gli anni 2000", rispose, con quelle sue
pause lunghe, meditate:
Imparare delle poesie a memoria... molte poesie a
memoria, da bambini, da giovani, anche da vecchi ...perchè quelle fanno
compagnia, uno se le
ripete mentalmente ... e poi lo sviluppo della memoria e molto importante...
anche fare dei calcoli a mano, delle divisioni delle estrazioni di radici
quadrate... cose molto complicate... combattere
l'astrattezza del linguaggio che ci viene imposto con delle cose molto
precise... e sapere che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un
momento all'altro...
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