Cent’anni fa, la
rivoluzione russa
Lo storico De Giorgi. «Comunismo, una fede tragica»
Un bilancio del comunismo in una prospettiva cristiana
Attività di approfondimento da un articolo di Roberto
Festorazzi (Avvenire, 22 febbraio 2017)
«Non si può
spiegare l’attrazione di massa senza far riferimento a una religione popolare e
atea che prometteva il paradiso ma si rivelò l’inferno in terra»
Militari e lavoratori in piazza a San Pietroburgo nel
febbraio 1917
Lo storico Fulvio De Giorgi è docente all’Università di
Modena e Reggio Emilia. A un secolo dalla rivoluzione russa del 1917, gli
abbiamo chiesto di tracciare un bilancio della lettura del comunismo in una
prospettiva cristiana.
Professor De Giorgi, il comunismo, sia pure
fallimentare sul piano storico, e foriero di spaventose tragedie, è stato un
messianesimo umanitario, immanentista, materialista, che ha comunque
rappresentato una speranza attrattiva per milioni e milioni di esseri umani.
Maritain parlava, non a caso, di «ultima eresia cristiana».
«C’è stato indubbiamente, al cuore dell’attrazione di
massa, che il comunismo ha esercitato nel mondo, un fenomeno mistico-religioso,
cioè una fede collettiva, una religione politica popolare. Certo, si trattava
di una religione secolare, senza trascendenza, anzi senza Dio: una tragica
religione atea. Questa lettura del comunismo non è l’unica, ma è stata da tempo
avanzata e ha una sua forte plausibilità: la forza storica, che il comunismo ha
indubbiamente ottenuto, non si spiegherebbe altrimenti. In sintesi potremmo
dire che il comunismo ha avuto una “fede religiosa” (rovesciata), politica e
intra- umana, con un’escatologia profana: un millenarismo storico. Potremmo
ricordare De Lubac con le sue
analisi sul dramma dell’umanesimo ateo e, ancor più, sulla progenie di Gioacchino da Fiore. Quale che sia la
solidità “filologica” di questa tesi, è vero che il comunismo immaginava se
stesso al culmine storico di un cammino in tre epoche e come una sorta di
possibile paradiso in terra: da ciascuno secondo le sue possibilità a ciascuno
secondo i suoi bisogni. Questo credo rivoluzionario incendiava le menti e
riscaldava i cuori. Ed è vero che, nella storia del comunismo, ci son stati
tanti militanti che sono morti con eroismo, credendo fermamente che valeva la
pena dare la vita per la giustizia universale. Purtroppo questa fede nella
possibile perfezione terrena (questo “perfettismo”, per dirla con Rosmini) era in realtà disumana e,
mancando della vera speranza escatologica trascendente, doveva vedere come
nemici e odiare tutti coloro che non si adeguavano ai suoi schemi
para-teologici. Così, come sappiamo, quello che - nel sogno ideologicoreligioso
- doveva essere il paradiso in terra fu, nella realtà, un inferno orribile, una
dittatura fatta di gulag, deportazioni, soppressioni di massa, inquadramento da
caserma. L’età dello Spirito del gioachimismo fu realizzata dal comunismo nella
forma del totalitarismo: cioè come il nazismo (anche se in forme
storico-ideologiche molto diverse). Ma, come osservano tanti studiosi dei totalitarismi
contemporanei, il totalitarismo è intrinsecamente una religione politica. E,
dunque, ritorniamo allo stesso motivo di fondo».
Il problema del comunismo, da alcuni tra i più
illuminati tra i cattolici italiani, come Giorgio La Pira, è stato affrontato
mediante il tentativo di introdurre la dimensione della grazia, e cioè di una
prospettiva escatologica e di apertura al soprannaturale, laddove l’ideologia
pretendeva invece di realizzare obiettivi di progresso e di perfezionamento
umano e sociale esclusivamente entro l’orizzonte della natura e della storia.
Quanto è stata vincente questa “strategia” lapiriana?
«Faccio una premessa: la storia del comunismo è certo,
come ho detto, riportabile alla storia del totalitarismo contemporaneo, ma non
solo. C’è pure la più vasta storia del socialismo, variegatissima e che ha
visto e vede anche forme di socialismo cristiano accanto alle forme del
comunismo sovietico ateo. E poi c’è pure la vicenda del marxismo come filosofia
politica materialista, anche questa più vasta del comunismo, ancorché tutti i
comunismi realizzati siano stati e siano ancora marxisti. La Pira rifiutava il comunismo come totalitarismo e credeva che per
superarlo si dovesse far abbandonare il materialismo marxista. Diceva ai
sovietici: tagliate dal grande albero del socialismo il ramo secco dell’ateismo
(marxista). Non fu ascoltato e parve un ingenuo utopista. Ma poi il comunismo
sovietico è crollato, con infamia. Mentre di La Pira si parla ancora, con
rispetto e positivo interesse».
Anche in Italia, vaste masse si sono riconosciute in
forze politiche che hanno rappresentato, per così dire, grandi organizzazioni
per la costruzione della felicità collettiva. Giovanni XXIII, nel tentativo di
dialogare anche con chi fosse attratto dai miraggi di ideologie fallaci,
introdusse la famosa distinzione tra errore e errante: ossia, le idee sbagliate
sono da condannare, ma le persone meritano in ogni caso assidue attenzioni
pastorali.
«La distinzione tra errore (da respingere) ed errante
(da amare) era già in Rosmini e credo che Roncalli
l’abbia appresa da lui. Oggi, dopo il Concilio Vaticano II, ci sembra quasi
ovvia e non è il caso di insistere. Richiamerei invece l’attenzione sulla Octogesima
Adveniens del grande Paolo VI
che rifiutava totalmente il marxismo, ma poi diceva che “Tra i vari livelli a
cui il socialismo si esprime - aspirazione generosa e ricerca di una società
più giusta, movimenti storici con organizzazione e scopo politici, ideologia
con pretesa di offrire una visione totale e autonoma dell’uomo -, bisogna
stabilire delle distinzioni, le quali guideranno le scelte concrete. Tuttavia
queste distinzioni non devono tendere a considerare i menzionati livelli come
completamente separati e indipendenti” (n. 31). Era un’articolazione analitica
molto più complessa, ma anche più ricca e feconda e, aggiungerei, ancora
attuale. In due sensi. Da una parte, come canone di interpretazione storica.
Per fare una storia profonda - e non superficiale o caricaturale - del
comunismo, bisogna considerare nei loro intrecci vari livelli. Anche comunismo
e cristianesimo non sono come due rette parallele e reciprocamente estranee. Vi
è una bella immagine di Mounier: nel
XX secolo comunismo e cristianesimo sono abbracciati insieme nella lotta, come
Giacobbe e l’Angelo. Non si può fare la storia contemporanea dell’uno senza
considerare l’altro. D’altra parte, dicendo che bisogna fare delle distinzioni
che guideranno le scelte concrete, Paolo VI ammetteva la possibilità di un
socialismo cristiano (come si è avuto in Africa con Nyerere o in altre parti
del mondo e anche in Europa). E oggi, a fronte del gigantesco problema dato
dalla globalizzazione neoliberale e al parallelo franare delle sinistre
socialiste “laiche”, non avremmo forse bisogno di un “socialismo spirituale”
(per usare un’espressione di Giuseppe
Dossetti)?».
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