Un libro e un articolo da Il Giornale
La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla I
guerra mondiale
Approfondimento di storia per la
classe terza.
Adattamento da un’intervista di RaiNews
(2015)
di Bruno
Trevellin, docente
Cento anni fa l'Italia entrava in
guerra al fianco dell’Intesa contro gli Imperi centrali. Una scelta che ha
segnato per sempre i destini del nostro Paese. Ne parlano i tre studiosi, autori
di un bel volume, critico, dal titolo La
grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla I guerra
mondiale, Ed. Dissensi, Viareggio 2015. (www.dissensi.it)
Sulla fratellanza delle trincee,
tesi vuota e stantia
Il 24 maggio, nel nostro Paese, si
fa “memoria” dei cento anni dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo grande
conflitto mondiale. Tutti i protagonisti sono morti: vittime e carnefici. Ma
non è morta la retorica “nazionalista” che mistifica, ancora oggi, la verità.
L’ufficialità afferma che la “grande guerra è stato un passaggio fondamentale
nel processo di costruzione del nostro Paese, perché è nell’affratellamento
delle trincee il primo momento vero in cui si sono “fatti gli italiani” (così
l’allora sottosegretario Paolo Peluffo)”. Una tesi vuota e stantia. Al quale
voi, nel vostro libro, replicate che questa è la “grande menzogna”. Perché?
Si tratta di
contrapporre ad un’ideologia e ad una retorica funzionale a trasmettere l’idea
di una storia nazionale senza cesure e contraddizioni, vissuta nell’ottica
dell’unità di intenti e della ricerca di una fantomatica unità, o “bene comune”
(che il nazionalismo e l’idea di patria spesso suggeriscono), interclassista e
irredentista, un approccio critico,
che dia consapevolezza a chi non ha vissuto quegli eventi, ma ne è figlio sia
per storia familiare che collettiva, che quella guerra ha drammaticamente
segnato l’immaginario, la cultura, la politica e la storia del nostro Paese. E
che ha inciso la carne stessa delle centinaia di migliaia di vittime, mutilati,
feriti, prigionieri (terribile fu la sorte dei prigionieri italiani, che non
ebbero dal nostro governo alcun sostegno materiale, perché considerati vili o
disertori). La guerra ha colpito chi l’ha combattuta allo stesso modo delle
famiglie a cui queste persone sono state sottratte per essere restituite
cadaveri, o non essere restituite affatto; o restituite a volte con
devastazioni fisiche e psicologiche inimmaginabili. Perché nella I guerra
mondiale tutti gli strumenti di distruzione disponibili (gas, mitragliatori,
aerei, artiglieria, lanciafiamme, proiettili dum-dum, sommergibili) furono
utilizzati su larga scala e senza limiti.
Sui dati, ancora approssimativi
Veniamo alla guerra. Ancora oggi non
sappiamo, se non in modo approssimativo, i numeri dei morti, dei feriti, dei
civili deceduti (direttamente e indirettamente a causa della guerra), dei
prigionieri abbandonati dall’Italia, dei soldati impazziti al fronte. E’
possibile dare qualche cifra?
In effetti i
numeri non si conoscono con precisione, e già questo dà il segno della
brutalità e della violenza della guerra. Secondo gli studi più attendibili,
durante i 5 anni di guerra, su un totale di 74 milioni di soldati mobilitati
dai Paesi belligeranti, vi furono complessivamente 10 milioni di morti (e
dispersi), 21 milioni di feriti – fra cui 8 milioni di mutilati ed invalidi,
quindi feriti permanenti – e 8 milioni di prigionieri su tutti i fronti. Per
quanto riguarda l’Italia – e anche qui i numeri sono incerti, molto
probabilmente sottostimati rispetto alla realtà – si contano oltre 650mila
morti, di cui 400mila al fronte, 100mila in prigionia e i restanti a causa di
malattie contratte durante la guerra. Inoltre in 500mila tornarono dal fronte
mutilati, invalidi o gravemente feriti e oltre 40mila con gravissime patologie
psichiche dopo anni di trincea.
Sulla grande truffa delle spese di
guerra, tra tangenti e affari
L’entrata in guerra fu anche un
“grande affare” per i gruppi industriali italiani che ha alimentato la grande
truffa delle spese di guerra. Episodio, questo, totalmente occultato. Un
ignobile arricchimento fatto sulla pelle delle migliaia di italiani mandati a
morire. Come si è sviluppata questa truffa? Chi sono stati i responsabili rimasti
impuniti?
Si trattò
allora della prova generale della corruzione sistemica che avrebbe
caratterizzato il nostro Stato. La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle
spese di guerra fortemente voluta da Giolitti raccolse, seppure a fatica, una
documentazione imponente. Non ci fu un settore delle commesse di guerra che non
fosse stato coinvolto dalla corruzione. Fatture pagate per materiali mai
consegnati o solo in parte consegnati, fatture pagate due volte, forniture di
materiali di pessima qualità e, finita la guerra, riacquisto a bassissimo costo
di quanto non era stato nemmeno consegnato. La guerra costò in alcuni settori
anche il 400% in più del dovuto, si può ben comprendere con che danno
irreparabile per la casse dello Stato. Un debito enorme che l’Italia si sarebbe
trascinata per decenni fin dentro la vita repubblicana. La cattiva qualità
delle forniture provocò disagi gravissimi dagli armamenti fino alle stoffe
delle divise che avide d’acqua ghiacciarono negli inverni di trincea o alle
scarpe che duravano in media da 4 giorni a 2 mesi. La guerra si trasformò in
una colossale truffa per lo Stato. Anche l’acquisto di quadrupedi negli Stati
Uniti divenne occasione di corruzione, gli ufficiali addetti comprarono a caro
prezzo migliaia di cavalli e di muli d’età veneranda, pronti a morire ancora
nel viaggio di consegna. La commissione fu di fatto neutralizzata da Mussolini,
intanto arrivato al potere, e i risultati dei suoi lavori sconosciuti e
inapplicati. L’industria italiana che tanto aveva sostenuto gli interventisti
trasse profitti illeciti ed enormi. Fra le industri più note l’Ansaldo che
fatturò due volte e si fece pagare due volte una intera fornitura di cannoni o
l’Ilva che aveva investito centinaia di milioni per finanziare la stampa
nazionale e locale perché creasse nell’opinione pubblica un clima di
complessivo consenso alla guerra.
Sull’efficacia della propaganda
interventista
La guerra è stata “preparata” anche
dall’opinione pubblica di allora. Una enorme macchina propagandistica al
servizio della politica interventista. Poche sono state le voci critiche. Chi
si è distinto in questo è stato è stato il Pontefice Benedetto XV. Un profeta
inascoltato…E’ così?
Tra la fine
del 1914 e il maggio del 1915, in pochi mesi l’Italia passò dal più convinto
neutralismo al più acceso nazionalismo. Trascinando gran parte dell’opinione
pubblica su posizioni belligeranti. Un risultato del genere non può che essere
attuato attraverso una capillare organizzazione del consenso, una delle prime
attuate in maniera così sistematica e capillare in Italia, che coinvolgeva
scrittori e testate giornalistiche, riviste letterarie e singoli intellettuali.
Una circostanza che dovrebbe far riflettere sull’efficacia della propaganda
nelle società di massa.
Su Benedetto XV, profeta inascoltato
All’interno
di questo panorama culturale, intellettuale e anche religioso di sostanziale
esaltazione, o almeno di acritica accettazione della guerra, emerge la figura
di Benedetto XV, il quale ebbe il coraggio di esprimere da subito una condanna
totale e ferma nei confronti della guerra di cui intuì le straordinarie
capacità mortifere. Le righe da lui dedicate alla guerra nella sua prima
enciclica del 1° novembre 1915 Ad beatissimi sono di una chiarezza esemplare.
Scontentò tutti con questa posizione e ancor più con le proposte di pace o
almeno di armistizio che più volte concretamente avanzò. Nessuno le prese in
considerazione e per questa sua posizione fu condannato alla cancellazione
nella storia del ’900 tanto che possiamo definirlo il papa sconosciuto. Ma non si
limitò soltanto alla condanna e alla possibilità di tregua, armistizio e pace,
promosse forme di assistenza ai prigionieri di guerra e di collegamento e
informazione tra prigionieri e famiglie. Un’opera silenziosa e preziosa
soprattutto quando l’Italia decise di abbandonare i propri militari prigionieri
considerandoli disertori.
Su padre Gemelli, consulente di
Cadorna
Nel vostro libro analizzate anche la
figura molto controversa di Padre Agostino Gemelli. Un frate totalmente
asservito alla propaganda guerrafondaia. Qual era il suo ruolo?
Gemelli era
capitano medico assegnato al Comando Supremo. In quel ruolo fu uno dei più
ascoltati consulenti di Cadorna. Come psicologo si propose di trovare i modi
per abbassare ogni forma di resistenza tra i soldati rispetto alla morte che li
attendeva negli inutili assalti. Alla stessa morte Gemelli attribuiva una
valenza religiosa in grado di convincere i fanti che si trattava della
condivisione con la missione salvifica del Cristo. Gli articoli di Gemelli di
quegli anni e il suo libro Il nostro
soldato sono un’abominevole raccolta di pensieri raccapriccianti dove la
fede viene posta a servizio di una causa di morte. Gemelli scriveva che la
conversione del soldato si realizzava sul letto dell’ospedale prima di morire,
ma era cominciata al fronte e ad essa aveva dato un contributo decisivo una
singolare forza di catechesi, la catechesi del cannone. Pertanto la guerra era
compresa come provvidenziale occasione di rinascita cristiana. Gemelli fu molto
abile a preparare un intruglio di edificazione-rassegnazione di fronte alla
catastrofe della guerra offrendo ad essa una mistica consolatrice (…)
Su Cadorna, spietato carnefice
Altra figura negativa è stata quella
del generale Cadorna (insieme al Comando supremo). In cosa si è “distinto”?
Dal punto di
vista strategico per la totale incompetenza a comprendere le caratteristiche
della nuova guerra dove gli assalti ripetuti alle trincee nemiche erano
destinati al totale fallimento, le nuove armi permettevano di difendere le
trincee dalle ondate di fanti che egli mandava incurante a morire. Una scelta
folle che mostrò progressivamente il totale disprezzo che aveva per la vita
umana. Ma l’incapacità strategica apparve sin da subito quando, dichiarata la
guerra da parte italiana, Cadorna temporeggiò tanto da lasciare agli austriaci
tutto il tempo di rinforzare le fortificazioni fino a renderle inespugnabili. A
questo si accompagnò il ben più grave sistema repressivo per costringere con
ogni mezzo i soldati ad andare a morire. Qualsiasi dubbio sulla guerra e ogni
forma di protesta fu repressa nel sangue con processi farsa, con sentenze che
ebbero immediata applicazione, con tribunali speciali fino alle esecuzioni sul
posto (lasciando ai comandanti totale arbitrio di vita e di morte nei confronti
dei sottoposti). Altro sistema largamente diffuso furono le decimazioni tra i
soldati fortemente volute da Cadorna per instaurare un regime di terrore nella
truppa. Cadorna era un cattolico devoto e assunse questo ruolo di spietato
carnefice come personale missione a servizio della guerra. L’obbedienza cieca
divenne elemento della una mistica di guerra nella quale il campo di battaglia
e di morte divenne il luogo del pericolo e dell’onore.
Sulla retorica dei monumenti e dei
sacrari militari
Altro inganno fu la propaganda
costruita sulla Vittoria. Perché?
Appena
conclusa la guerra, prese il via una sorta di “frenesia commemorativa” fatta di
monumenti ai caduti, grandi sacrari militari, fino alla trasformazione del
Vittoriano in monumento al Milite Ignoto. In un primo momento la necessità
dell’elaborazione del lutto, anche collettiva, da parte dei famigliari e degli
amici delle vittime ha avuto un ruolo importante, e lapidi e monumenti ai
caduti hanno svolto anche questa funzione. Ma subito dopo, e in particolare
dopo la presa del potere da parte del fascismo, è stata attuata una vera e
propria “politica della memoria” per costruire una sorta di religione della
patria fondata sul “sacrificio eroico” dei soldati. Infatti i nuovi monumenti
ai caduti spesso abbandonano le connotazioni troppo veriste per assumere quelle
dei guerrieri nudi della classicità, rafforzando così i tratti eroici e
trasformando il soldato-contadino in fante-guerriero, attorniato da fasci
littori, scudi e daghe. A partire dal 1928, poi, il regime vieta la costruzione
di monumenti di iniziativa locale e attribuisce al governo centrale la
progettazione e la costruzione di grandi monumenti e sacrari nazionali. Il
nuovo sacrario militare di Redipuglia – che sostituisce il precedente Cimitero
degli invitti che a Mussolini non piaceva proprio perché poco eroico – è
l’emblema di questo uso politico della morte e della memoria: 22 giganteschi
gradoni di marmo bianco, che contengono le spoglie di oltre 100mila soldati, su
ciascuno dei quali è scolpita ossessivamente la parola «Presente», come nel
rito dell’appello durante i funerali o le commemorazioni dei “martiri
fascisti”, a cui quindi vengono equiparati i caduti della I guerra mondiale.
Sul come uscire dal falso mito della
I guerra mondiale
Ultima domanda: Quel conflitto è
stato un orrore, tutta la tecnologia di allora asservita alla macchina
infernale della guerra, eppure viene “celebrato”. A cento anni di distanza lo
spirito critico fatica ad emergere. Come costruire una nuova memoria storica?
Demistificare
la narrazione apologetica e celebrativa della I guerra mondiale significa porre
le basi per creare una più solida coscienza critica non solo del perché fu
orrore quella guerra, ma di come lo sono state anche altre guerre. È per questa
ragione che oggi l’ideologia dominante celebra ancora il falso “mito” della I
guerra mondiale. Per rendere le masse più disponibili ad accettare come
l’orizzonte della guerra esista ancora. Che esso faccia in qualche modo parte
del nostro Dna. Che non è bella, ma a volte è necessaria. Va invece suscitato –
ed il nostro libro si pone appunto questo obiettivo – un orrore lucido e
razionale nei confronti di quella guerra come di tutte le altre, un orrore
generatore di pensiero e non unicamente emotivo – nei confronti della “grande
menzogna” che continua anche oggi. Certo, la memoria è corta. E la storia non
ha quasi mai insegnato nulla a chi l’ha studiata distrattamente,
accontentandosi di attingere al senso comune ed alle fonti di “sistema”. Ma
l’esercizio critico è una delle (poche) armi che ancora abbiamo a disposizione se
non per trasformare la realtà almeno per comprenderla, che è poi la
pre-condizione per tentare di cambiarla.
Il libro "La
grande menzogna" sulla Grande guerra uscì anche in allegato con "il Giornale"
con un articolo firmato da A. Guy (26/9/2015)
I prigionieri italiani (600 mila) lasciati
morire senza assistenza dallo Stato perché considerati disertori, i carabinieri
che sparavano a chi non andava all’assalto, le canzoni contro la guerra
«La memoria ufficiale è corta. Le prove delle atrocità
marciscono negli archivi istituzionali, eppure la memoria della inumanità della
guerra non sbiadisce con il tempo.
Aleggia con i suoi fantasmi. È possibile seppellire
mai completamente i morti?». Queste righe di James Hillman, tratte da Un
terribile amore per la guerra (Adelphi) introducono il volume Prima Guerra
Mondiale. La grande menzogna , in edicola oggi a 7,60 euro oltre il prezzo del
quotidiano. Il libro, scritto a sei mani da Valerio Gigante, Luca Kocci, Sergio
Tanzarella, mostra la Grande Guerra da un punto di vista «diverso» (non a caso
il sottotitolo è «Tutto quello che non vi hanno mai raccontato») e non
convenzionale. Gli autori prendono in considerazione - dal loro punto di vista -
alcuni degli episodi meno conosciuti e più controversi dell'ingresso, della
partecipazione e della memoria degli italiani durante il conflitto che venne
dichiarato ufficialmente il 23 maggio 1915.
Si parla molto - e con orrore - dell'Olocausto e delle
terribili condizioni in cui versavano i prigionieri nei campi di concentramento
hitleriani e staliniani, ma anche nella guerra precedente vi fu il grande
dramma dei prigionieri, in quanto la prigionia di massa fu uno degli elementi
di (tristissima) novità proprio della Grande Guerra. Gli internati italiani nei
campi di prigionia furono 600mila (quasi tutti soldati di truppa, dato che gli
ufficiali catturati furono 19.500), molti catturati dopo la disfatta di
Caporetto, «un numero altissimo se si pensa che quelli degli altri stati
vincitori, per cui la guerra durò un anno di più, erano molti meno (i francesi
520mila, i britannici 180mila)». Deteniamo quindi il non invidiabile primato
della più alta percentuale di prigionieri morti in prigionia. Sarebbero oltre 100mila
rispetto ai 30-40mila francesi. I nostri muoiono principalmente di fame e di
freddo. «I prigionieri italiani sono etichettati dal Comando regio come
vigliacchi e disertori - scrivono gli autori - che si sono consegnati
spontaneamente al nemico per sfuggire alla guerra...I principali responsabili
della disfatta di Caporetto secondo Cadorna, imboscati d'Oltralpe li bolla con
disprezzo D'Annunzio...Pertanto vanno puniti, non fornendo loro
quell'assistenza indispensabile alla sopravvivenza che invece tutti gli altri
Stati dispensano ai loro prigionieri».
Per la gestione del tempo libero dei soldati la Chiesa
aveva creato «Le case del soldato», alternativa all'osteria, nelle quali i
militari al fronte potevano godere modico divertimento. «Un'azione definita di
supplenza cattolica rispetto alla totale assenza dello Stato liberale», però
l'esercito organizzò metodicamente, a poco più di due settimane dall'inizio del
conflitto, portarono al fronte i casini inviando plotoni di prostitute per il
ristoro dei soldati. Un altro capitolo è dedicato ai fanti che, quando
esitavano a lanciarsi all'assalto, venivano trucidati dai carabinieri appostati
alle loro spalle. Non mancano le curiosità, come le canzoni contro la guerra,
ad esempio O Gorizia tu sei maledetta (1916) per cui personaggi come il
musicologo Roberto Leydi furno denunciati per vilipendio alle forze armate.
Nessun commento:
Posta un commento