Pinocchio e il suo mistero
La nostalgia del padre,
il male che affascina, la continua perdizione e la redenzione
Dal libro di Collodi a
una graphic novel
Attività realizzata
nella classe 1 A (gennaio-febbraio 2019)
Prof. Bruno Trevellin
Pinocchio non finisce di sorprendere. Da quando uscì, senza
grandi pretese da parte dell’autore, nel lontanissimo 1883 fino a oggi continua
ad attrarre lettori e a stimolare interpretazioni. Ricerche Unesco parlano di
oltre 240 traduzioni![1]
Anche chi ne conosce da tempo la vicenda, viene sempre catturato dalla sua
lettura, e non solo da fanciullo. Proporlo in classe a ragazzi di undici anni
si rivela sempre un successo, specie se vengono guidati a coglierne le valenze
simboliche.
Modalità operative
1. Il testo integrale, un
articoli e video nel registro elettronico
Il materiale utilizzato è stato messo a disposizione degli
alunni nel registro elettronico. Innanzitutto il testo integrale nell’edizione
Einaudi, ma anche video da youtube e un articolo di approfondimento di Giacomo
Biffi.
2. Lettura integrale
del testo
Il testo è stato letto integralmente in classe, soprattutto
dall’insegnante, e a casa come attività pomeridiana durante i mesi di gennaio e
di febbraio.
3. Attività svolte
Le attività prevalenti sono state di sintesi dei capitoli
letti, orali e scritte, o di insiemi di capitoli o per sequenze di singoli
capitoli, secondo le indicazioni del docente. In ogni caso sempre sintesi
esaurienti.
Un altro tipo di attività è stata la produzione di disegni
con relative didascalie esplicative del capitolo o di una sequenza dello
stesso, liberamente scelta dagli alunni o assegnata dal docente.
Le attività sono state numerose, una quindicina in tutto.
Anche queste realizzate in classe o per casa.
4. Film
La lettura in classe è stata accompagnata dalla visione di
episodi e di scene dal film di Luigi Comencini (1972) e da quello di Roberto
Benigni (2002). Episodi e scene sono stati trovati in youtube.
5. Le letture-commento
di un docente, F. Nembrini
Come attività di approfondimento è stata utilizzata anche la
lettura-commento di Franco Nembrini[2]
(Tv2000), sempre da youtube, soprattutto per i capitoli relativi al carro guidato
dall’Omino di burro che porta al Paese dei Balocchi.
6. Le sette verita’
fondamentali di Pinocchio secondo G. Biffi
È stato utilizzato un articolo da Avvenire per comprendere i
significati simbolici dell’opera di Collodi, così come vengono presentati dal
card. Giacomo Biffi[4] nella
sua lettura teologica di Pinocchio[5].
1) Il mistero di un creatore che vuole essere
padre
Pinocchio, creatura legnosa, origina dalle mani di chi è diverso da lui; è costruito come una cosa, ma dal suo creatore è chiamato subito figlio.
Il burattino, chiamato sorprendentemente a essere figlio, fugge dal padre. E proprio la fuga dal padre è vista come la fonte di tutte le sventure; così come il ritorno al padre è l’ideale che sorregge Pinocchio in tutti i suoi guai.
2) Il mistero del male interiore
In questo libro è acutissimo il senso del male. E il male è in primo luogo scoperto dentro il nostro cuore. Non è un puro difetto di conoscenza.
Pinocchio sa che cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l’alternativa peggiore (Vedi, c. 9: a scuola o al teatro dei burattini?; cc. 12 e 18: a casa o al campo dei miracoli col gatto e la volpe; cc. 27: a scuola o alla spiaggia a vedere il pescecane?; c. 30: dalla Fata o al Paese dei balocchi? ). Soggiace chiaramente alla narrazione di queste sconfitte la persuasione della «natura decaduta», della «libertà ferita», della incapacità dell’uomo a operare secondo giustizia.
3) Il mistero del male esteriore all’uomo
La nostra tragedia è aggravata dal fatto che sono all’opera, esteriormente a noi, le potenze del male. Nella fiaba queste forze malefiche sono rappresentate vivacemente nelle figure del Gatto e della Volpe e raggiungono il vertice della intensità artistica e della lucidità speculativa nell’Omino, corruttore mellifluo, tenero in apparenza, perfido nella realtà spaventosa e stupenda raffigurazione del nostro insonne Nemico:
«Tutti la notte dormono, e io non dormo mai» (c. 31).
4) Il mistero della mediazione redentiva
Pinocchio, interiormente debole e ferito, esteriormente insidiato da intelligenze maligne più astute di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo col padre, di riportarlo a casa, di dargli un essere nuovo.
Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è posto appunto a indicare l’esistenza di questa salvezza che è donata dall’alto e può guidare al lieto fine la tragedia della creatura ribelle.
5) Il mistero del padre, unica sorgente di libertà
La scelta di un burattino legnoso come protagonista della narrazione è anch’essa una cifra: è il simbolo dell’uomo, che è da ogni parte condizionato, che è schiavo degli oppressori prepotenti e dei persuasori occulti, che è legato a fili invisibili che determinano le sue decisioni e rendono illusoria la sua libertà.
Il senso del padre è la sola sorgente possibile della liberazione dalle molteplici, cangianti e sostanzialmente identiche tirannie che affliggono l’uomo.
6) Il mistero della trasnaturazione
Pinocchio riesce a raggiungere la sua perfetta libertà interiore e a realizzarsi perfettamente in tutte le sue virtualità soltanto quando si oltrepassa e arriva a possedere una natura più alta della sua, la stessa natura del padre. È la realizzazione sul piano dell’essere della vocazione filiale con la quale era cominciata tutta la storia.
Noi possiamo essere noi stessi soltanto se siamo più di noi stessi, per una arcana partecipazione a una vita più ricca; l’uomo che vuole essere solo uomo, si fa meno uomo.
7) Il mistero del duplice destino
La storia dell’uomo, come è concepita e narrata in questo libro, non ha un lieto fine immancabile. Gli esiti possibili sono due: se Pinocchio si sublima per la mediazione della Fata nella trasnaturazione che lo assimila al padre, Lucignolo — che non è raggiunto da nessuna potenza redentrice — s’imbestia irreversibilmente. La nostra vicenda può avere due opposti finali: o finisce in una salvezza che eccede le nostre capacità di comprensione e di attesa, o finisce nella perdizione.
Pinocchio, creatura legnosa, origina dalle mani di chi è diverso da lui; è costruito come una cosa, ma dal suo creatore è chiamato subito figlio.
Il burattino, chiamato sorprendentemente a essere figlio, fugge dal padre. E proprio la fuga dal padre è vista come la fonte di tutte le sventure; così come il ritorno al padre è l’ideale che sorregge Pinocchio in tutti i suoi guai.
2) Il mistero del male interiore
In questo libro è acutissimo il senso del male. E il male è in primo luogo scoperto dentro il nostro cuore. Non è un puro difetto di conoscenza.
Pinocchio sa che cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l’alternativa peggiore (Vedi, c. 9: a scuola o al teatro dei burattini?; cc. 12 e 18: a casa o al campo dei miracoli col gatto e la volpe; cc. 27: a scuola o alla spiaggia a vedere il pescecane?; c. 30: dalla Fata o al Paese dei balocchi? ). Soggiace chiaramente alla narrazione di queste sconfitte la persuasione della «natura decaduta», della «libertà ferita», della incapacità dell’uomo a operare secondo giustizia.
3) Il mistero del male esteriore all’uomo
La nostra tragedia è aggravata dal fatto che sono all’opera, esteriormente a noi, le potenze del male. Nella fiaba queste forze malefiche sono rappresentate vivacemente nelle figure del Gatto e della Volpe e raggiungono il vertice della intensità artistica e della lucidità speculativa nell’Omino, corruttore mellifluo, tenero in apparenza, perfido nella realtà spaventosa e stupenda raffigurazione del nostro insonne Nemico:
«Tutti la notte dormono, e io non dormo mai» (c. 31).
4) Il mistero della mediazione redentiva
Pinocchio, interiormente debole e ferito, esteriormente insidiato da intelligenze maligne più astute di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo col padre, di riportarlo a casa, di dargli un essere nuovo.
Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è posto appunto a indicare l’esistenza di questa salvezza che è donata dall’alto e può guidare al lieto fine la tragedia della creatura ribelle.
5) Il mistero del padre, unica sorgente di libertà
La scelta di un burattino legnoso come protagonista della narrazione è anch’essa una cifra: è il simbolo dell’uomo, che è da ogni parte condizionato, che è schiavo degli oppressori prepotenti e dei persuasori occulti, che è legato a fili invisibili che determinano le sue decisioni e rendono illusoria la sua libertà.
Il senso del padre è la sola sorgente possibile della liberazione dalle molteplici, cangianti e sostanzialmente identiche tirannie che affliggono l’uomo.
6) Il mistero della trasnaturazione
Pinocchio riesce a raggiungere la sua perfetta libertà interiore e a realizzarsi perfettamente in tutte le sue virtualità soltanto quando si oltrepassa e arriva a possedere una natura più alta della sua, la stessa natura del padre. È la realizzazione sul piano dell’essere della vocazione filiale con la quale era cominciata tutta la storia.
Noi possiamo essere noi stessi soltanto se siamo più di noi stessi, per una arcana partecipazione a una vita più ricca; l’uomo che vuole essere solo uomo, si fa meno uomo.
7) Il mistero del duplice destino
La storia dell’uomo, come è concepita e narrata in questo libro, non ha un lieto fine immancabile. Gli esiti possibili sono due: se Pinocchio si sublima per la mediazione della Fata nella trasnaturazione che lo assimila al padre, Lucignolo — che non è raggiunto da nessuna potenza redentrice — s’imbestia irreversibilmente. La nostra vicenda può avere due opposti finali: o finisce in una salvezza che eccede le nostre capacità di comprensione e di attesa, o finisce nella perdizione.
7. La canzone
di E. Bennato
La classe ha ascoltato anche la canzone di
Edoardo Bennato Il gatto e la volpe.
I ragazzi la conoscono e la cantano, pur essendo un testo uscito nel 1977.
Capiscono che si tratta ancora dell’inganno e delle false promesse dei soliti
due, anche se si presentano in tempi diversi, in contesti diversi e sotto altre
vesti.
8. Una graphic
novel finale della classe
Come ‘prodotto finale’ gli alunni sono stati
invitati a realizzare un disegno con relativa didascalia, scegliendo
liberamente tra i capitoli del libro, così da realizzare una sorta di graphic
novel di 24 pagine (una per ciascun alunno), da pubblicare nel sito della
scuola.
Prima del disegno c’è la scelta dell’episodio.
Col disegno si immedesimano ancor meglio nella
situazione. Più che con la scrittura. La didascalia doveva essere essenziale
sì, ma esauriente. Non bastava un titolo, al limite un titolo accompagnato da
un sottotitolo. Potevano scegliere qualsiasi episodio, anche se si rivelava lo
stesso di un altro compagno. In ogni caso ciscuno di loro si è mostrato in
grado di realizzarne una, di graphic novel, per l’intero libro.
Considerazioni finali
Gli alunni hanno mostrato di apprezzare la
lettura integrale del libro e hanno sempre lavorato, tutti, con interesse alla
realizzazione delle attività proposte.
Il tempo utilizzato in classe per lo svolgimento
delle attività è stato di una quindicina di ore.
Vale la considerazione, altre volte sostenuta e
ormai esperienza diffusa nella scuola, di andare oltre l’antologia come
strumento di lavoro per arrivare alla lettura integrale di opere che, come si
potrà facilmente dimostrare, attraggono di più gli alunni, facendoli lavorare
con continuità e interesse, quasi scoprendo di volta in volta i contenuti
proposti dal testo e riflettendo sugli stessi.
Per seguire meglio l’attività più di qualcuno si
è fatto regalare il libro di Collodi.
La graphic novel della classe
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[1]
“Collodi inizialmente pubblicò l'opera a
puntate, quasi per caso e senza troppa voglia, sulla prima annata del 1881 del Giornale per i bambini diretto da Ferdinando Martini, un periodico settimanale supplemento del quotidiano Il Fanfulla, nella quale
furono pubblicati i primi otto episodi. Collodi definisce il suo lavoro «una
bambinata» e dice al direttore del giornale: «Fanne quello che ti pare; ma, se
la stampi, pagamela bene, per farmi venire voglia di seguitarla»” (in: https://it.wikipedia.org/wiki/Le_avventure_di_Pinocchio._Storia_di_un_burattino)
[5] GIACOMO BIFFI, Contro maestro Ciliegia.
Commento teologico a Le avventure di Pinocchio, Jaca Book, Milano, 1977.
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