lunedì 8 luglio 2019

Pregare con Peguy, poeta e pellegrino (di Bruno Trevellin)


Pregare con Peguy, poeta e pellegrino
di Bruno Trevellin



Dalla straordinaria esperienza di Charles Peguy, poeta e pellegrino a Chartres, nascono Le cinque preghiere nella cattedrale di Chartres (504 versi raggruppati in quartine), terza e ultima parte de L’arazzo di Nostra Signora, pubblicato nel 1913.
Una volta concluso il cammino che da Parigi (Lozère) arriva a Chartres, attraversando la piana della Beauce, il poeta si trova finalmente a tu per tu, dentro la cattedrale, con la presenza viva e vivificante della madre di ogni misericordia. Lui, utilizzando al meglio la terminologia militaresca, e marinara, che ben conosce, si arrende a un’evidenza che supera ogni conoscenza, che è più ragionevole di ogni ragionamento e riconsidera ogni aspetto della sua vita passata alla luce di questo nuovo evento di grazia, bello e inatteso, che lo introduce in un’esperienza di vita nuova, quella di una persona che si abbandona, finalmente e totalmente, alla volontà di un Altro.
Si è detto che le preghiere hanno sullo sfondo il dramma sentimentale che l’autore sta vivendo con Blanche (‘Et cette jeune enfant qui fasait trop la belle’), che non lo porta però alla rottura del matrimonio. Certamente c’è questo aspetto e lo si legge e Peguy con umana sincerità non lo nasconde, e non può nasconderlo perché la sua poesia, che si fa preghiera, non può che nascere dalla considerazione senza mascheramenti della realtà e dalla verità con cui è percepita. In ogni caso la sua riflessione procede ben oltre, arrivando a toccare le corde di un’orazione litanica che è suggerita da altri e a cui lui, inseguendola, si abbandona.
Per questo le sue quartine sono biografismi, quasi tappe della vita ritmata, che possono diventare anche la biografia di molti, di quei molti che, facendosi come lui pellegrini, si lasciano accogliere dalle braccia materne della Vergine Maria (‘Et deux bras maternels qui se tournent vers nous’).
Peguy ha proprio trovato, ‘inventato’ (nel senso di ‘trovare cercando’), le parole con cui dire l’esperienza di ogni pellegrino che si avvia a un santuario col fardello di tutte le sue angosce e di tutte le sue trepidazioni. Così facendo, una volta arrivato, non ci sarà più altro da vedere e da cercare, anzi, non ci sarà più gusto per nient’altro (‘Nous n’avons plus de goût pour de nouveaux hasards’). Tale è infatti l’esperienza del pellegrino, che non vede l’ora di tornare su quei suoi passi, su quello stesso cammino che l’ha segnato definitivamente, al punto che non avrà neanche più gusto per ‘le terre straniere’ (‘Nous n’avons plus de goût pour les pays étranges’), perché è là e solo là che desidera continuamente tornare.
Le tappe di questo nuovo riflettere su di sé sono segnate dai titoli nuovi che Peguy ‘inventa’ e ‘crea’ per Maria e che colloca nelle sue quartine mescolandoli a quelli già noti della tradizione mariana proprio come segnali rivelatori di senso degli eventi che gli stanno accadendo. Tra i più significativi ne elenchiamo alcuni, nell’ordine in cui si susseguono nei versi:
Stella del mare e dei salati scogli,
Stella della barca e delle soffici reti,
Stella del giorno e dell’ultima sera,
O sola guida di un’anima guerriera,
Reggente del mare e del porto illustre,
Signora della via e del raccordo,
Signora del segreto,
O reggente di re e di governi,
Reggente di grandi sciocchi e di sollievi,
Reggente del potere e dei rivolgimenti,
Regina di frontoni, di palazzi e di cupole,
Regina delle grandi paci e dei disarmi,
Reggente dei prefetti e dei procuratori,
Regina delle tavole dipinte e dei due donatori,
O chiave del solo onore imperituro,
Regina della testimonianza e del doppio testimone,
Signora di saggezza e di silenzio e d’ombra,
O chiave di un solo tesoro e di un bene senza numero,
Donna di povertà,
Specchio dei tempi futuri e dei tempi passati,
Rosa misteriosa,
Vigilante signora,
Regina del puro frumento.
Ma che luogo è Chartres? Cos’ha di così straordinario la cattedrale di Chartres? Molte quartine della prima preghiera insistono sulle sue caratteristiche, da intendersi ormai solamente come architetture dello spirito. Non ci sono descrizioni di pareti, di vetrate, di rilievi, di pavimentazioni. La cattedrale è il luogo dove l’anima si abbandona, si rende, come succede a un giovane guerriero che cade nella corsa (‘c’est ici que tout âme se rende / comme un jeune guerrier retombé dans sa course’). È il luogo dove, dopo l’abbandono, tutto si fa facile, docile, chiaro, dove la stessa tentazione si ritorce su se stessa; il luogo dove non è più possibile la rivolta, dove ci sono solo pace e quiete, disfatta e resa (‘N’est ici que défaite et que reddition’). Soprattutto è il luogo dove tutto si fa fanciullo (quartina XXXIX), specialmente chi è già segnato dal tempo e dalle vicissitudini della vita, il luogo cioè dove è ancora percepibile l’innocenza dell’inizio, perduta sì, ma non scordata, anzi, ancora fortemente desiderata. Ed è il luogo dove ci si fa anche novizi, perché si entra in una vita nuova e monastica, perché tutto d’ora in avanti verrà ricondotto a quell’Uno (monos), che, per grazia (lo confesserà Peguy all’amico Lotte), ti si è fatto incontro tramite Lei, la Madre che ha solo occhi di misericordia.
E tutto questo è in sé, i pilasti e le volte della cattedrale sono ormai il suo corpo stesso, la sua testa, le sue braccia, i suoi fianchi, le sue gambe, trasformati in dimora e tempio dello Spirito.
Ogni pellegrino, toccato come Peguy, sa riconoscersi nella sua stessa esperienza. Ad altri, che mai abbiano vissuto così un pellegrinaggio, si potrà raccontare ciò che si è visto, ciò che è capitato andando lì e staranno pure ad ascoltare meravigliati quello che al protagonista è accaduto, ma per chi ha vissuto nella maniera di Peguy il pellegrinaggio, quelle parole (e che parole!) sono carne che fanno risentire e rivivere ciò che è stato anche tuo e che, come per Peguy, te lo faranno per sempre desiderare. Il pellegrino non è infatti un turista né un frettoloso visitatore, ma colui che ha deciso  mettere la sua vita nelle mani di un Altro, dal quale è già stato  preso e afferrato.
E gli effetti su chi si fa pellegrino in questo modo sono duraturi e definitivi, perché un pellegrinaggio non finisce con il raggiungimento della meta, continuando esso per tutto il resto della vita, anche se questa continuerà a essere dolore e fatica.
È, quella di Peguy, anche una preghiera di confessione, confessione di un peccatore (“Io sono un peccatore, non sono un sant”, scriveva all’amico Lotte), di uno che è stato ribelle (‘ce vieux coeur qui faisait le rebelle’), di uno che non riusciva neanche a dire ‘sia fatta la tua volontà’, ma che ora, a Chartres, scopre che a essere sconfitta è proprio tutta la sua stessa presunta saggezza (‘la sagesse en déroute’).
Il poeta Peguy è ormai un uomo che riconosce peccati e fallimenti (‘Nous avons tant péché… Nous avons tant failli par l’acte et la parole’), ma è anche un uomo la cui volontà resterà segnata solo dall’obbedienza (‘Nous ne voulons plus rien que par obéissance’) e Maria diventa per lui il prototipo della nuova umanità risuscitata in Cristo. “Lei è superiore agli uomini e agli angeli, perché è carnale come gli uomini e pura come gli angeli, senza ombra di peccato. Lei sola è una perfetta imitazione di Gesù, perché solo lei è totalmente terrestre e totalmente divinizzata. Lungi dall’essere un pietismo devoto, il culto di Peguy per Maria è una esaltazione del temporale per l’eterno, una glorificazione della carne per lo spirito” (Jean Bastaire).
Che uomo e che scrittore è dunque Peguy? Scriverà di lui l’amico Alain-Fournier: “Io dico, sapendo quello che dico, che probabilmente dopo Dostoevkij non c’è più stato un uomo che sia così chiaramente un uomo di Dio”. E Romain Rolland, premio Nobel per la letteratura nel 1915, il cui capolavoro, il romanzo Jean-Christophe, venne pubblicato proprio sui Cahiers de la Quinzaine di Peguy, di lui scrittore dirà: “Non posso più leggere nulla dopo Peguy. Come risuonano vacui i più grandi di oggi paragonati a lui”.

C. Peguy, Le cinque preghiere nella cattedrale di Chartres
(traduzione a cura di Bruno Trevellin)

A padre Felice Monchieri,
gesuita, confessore e guida di pellegrini

Prima preghiera

Preghiera di residenza

I
O Regina, ecco dunque dopo la lunga strada
Prima di ripartire per lo stesso cammino
Il solo asilo aperto nel cavo della vostra mano
E il giardino segreto dove tutta l’anima si apre

II
Ecco il pesante pilastro e la volta montante
E l’oblio per ieri e l’oblio per domani
E l’inutilità di ogni calcolo umano
E più che il peccato, la saggezza in rotta

III
Ecco il luogo del mondo dove tutto diventa facile
Il rimpianto, la partenza, lo stesso evento
E l’addio temporaneo e l’allontanamento
Il solo angolo della terra dove tutto diventa docile

IV
E questo stesso vecchio cuore che faceva il ribelle
E questa vecchia testa e i suoi ragionamenti
E queste due braccia irrigidite nelle caserme
E questa giovane ragazza che faceva troppo la bella

V
Ecco il luogo del mondo dove tutto è riconosciuto
E questa vecchia testa e la sorgente delle lacrime
E queste due braccia irrigidite nel mestiere delle armi
Il solo angolo della terra dove tutto sia contenuto

VI
Ecco il luogo del mondo dove tutto è ritorno
Dopo tante partenze, dopo tanti arrivi
Ecco il luogo del mondo dove tutto è povero e nudo
Dopo tanti azzardi, dopo tante fatiche

VII
Ecco il luogo del mondo e il solo ritiro
E l’unico ritorno e il raccoglimento
E la foglia e il frutto e lo sfogliamento
E i rami colti per quest’unica festa

VIII
Ecco il luogo del mondo dove tutto rientra e si tace
E il silenzio e l’ombra e la carnale assenza
E il cominciamento dell’eterna presenza
La sola ridotta dove l’anima è tutto ciò che è stata

IX
Ecco il luogo del mondo dove la tentazione
Si ritorce su se stessa e si mette al contrario
Perché ciò che qui tenta è la sommissione
Ed è l’accecamento nell’universo immenso

X
E ciò che tenta qui è la deposizione
E ciò che qui viene tutta sola è l’abdicazione
E ciò che viene da sé e ciò che si presenta
Non è qui che grandezza e presentazione

XI
Qui c’è la rivolta che diventa impossibile
E ciò che qui si presenta è la dimissione
E c’è la cancellazione che diventa invincibile
E tutto non è che buongiorno e saluto

XII
Ciò che altrove è un’accessione
Qui non è che una totale e sorda abrasione
Ciò che altrove è un intasamento
Qui non è che bassezza e depressione

XIII
Ciò che altrove è un’oppressione
Qui non è che l’effetto di un nobile sfondamento
Ciò che altrove è una premura
Qui non è che un’eredità e una successione

XIV
Ciò che altrove è una rude guerra
Qui non è che la pace di un lungo abbandono
Ciò che altrove è un abbassamento
È qui la legge stessa e la norma comune

XV
Ciò che altrove è un’aspra battaglia
E sul collo teso il coltello da macellaio
Ciò che altrove è il taglio e l’innesto
Qui non è che il fiore e il frutto del pesco

XVI
Ciò che altrove è una rude salita
Qui non è che discesa e compimento
Ciò che altrove è il mare in tempesta
Qui non è che bonaccia e stabilità

XVII
Ciò che altrove è una dura legge
Qui non è che un bel piegarsi ai vostri comandi
E nella libertà del nostro emendamento
Una fedeltà più tenera della fede

XVIII
Ciò che altrove è un’ossessione
Qui non è che una piazza arresa alla vostra legge
Ciò che altrove è un’anima venduta
Qui non è che preghiera e intercessione

XIX
Ciò che altrove è una lassitudine
Qui non è che una chiave su un umile vassoio
Ciò che altrove è la vicissitudine
Qui non è che una vigna adatta al poggio

XX
Ciò che altrove è la lunga abitudine
Seduta a un angolo di fuoco, i pugni sotto il mento
Ciò che altrove è una solitudine
Qui non è che un vivace e fermo germoglio

XXI
Ciò che altrove è la decrepitudine
Seduta a un angolo di fuoco, i pugni sulle ginocchia
Qui non è che tenerezza e sollecitudine
E due braccia materne a noi rivolte

XXII
Noi ci siamo lavati di una tale amarezza,
Stella del mare e dei salati scogli,
Noi ci siamo lavati di una sì bassa schiuma,
Stella della barca e delle morbide reti,

XXIII
Noi abbiamo lavato le nostre infelici teste
Di un tale miscuglio di lordura e di ragionamento
Eccoci ormai, o regina dei profeti,
Più chiari dell’acqua dei pozzi dell’antico testamento

XXIV
Noi abbiamo governato arche sì modeste,
Vela del solo vascello che non perirà,
Noi abbiamo consultato sì povere bussole,
Arca di sola salvezza, regina dei patriarchi,

XXV
Noi abbiamo consumato così lontani viaggi
Che non abbiamo più gusto per paesi stranieri
Regina dei confessori, delle vergini e degli angeli,
Eccoci ritornati nei nostri primi villaggi

XXVI
Ci è stato detto tanto, regina degli apostoli,
Non abbiamo più gusto per la perorazione
Non abbiamo più altari che questi che sono i vostri
Non sappiamo nient’altro che una semplice orazione

XXVII
Noi abbiamo asciugato sì vasti naufragi
Che non abbiamo più gusto per il trasbordo
Eccoci di ritorno, al declino delle nostre età,
Stella del solo Nord, nel vostro bastimento

XXVIII
Ciò che altrove è la dispersione
Qui non è che l’effetto di un bell’assembramento
Ciò che altrove è uno smembramento
Qui non  è che corteo e processione

XXIX
Ciò che altrove domanda un esame
Qui non è che l’effetto di una povera giovinezza
Ciò che altrove domanda un indomani
Qui non è che l’effetto di una sudata fiacchezza

XXX
Ciò che altrove domanda una pergamena
Qui non è che l’effetto di una povera tenerezza
Ciò che altrove domanda una destrezza
Qui non è che l’effetto di un’umile goffezza

XXXI
Ciò che altrove è squilibrio
Qui non è che giustezza e declinazione
Ciò che altrove è baraccamento
Qui non è che una casa salda e spessa

XXXII
Ciò che altrove è la guerra e la pace
Qui non è che disfatta e resa
Ciò che altrove è sedizione
Qui non è che un bel popolo e spighe fitte

XXXIII
Ciò che altrove è un immenso esercito
Coi suoi treni di viveri e i suoi ingombri
E i suoi treni di bagagli e i suoi ritardi
Qui non è che decenza e buona fama

XXXIV
Ciò che altrove è uno sprofondamento
Qui non è che una lenta e curva inclinazione
Ciò che altrove è comparazione
Qui è senza pari e senza raddoppiamento

XXXV
Ciò che altrove è un abbattimento
Qui non è che l’effetto di una povera obbedienza
Ciò che altrove è un gran parlamento
Qui non è che l’effetto di una sola udienza

XXXVI
Ciò che altrove è inquadramento
Qui non è che un candido e calmo riposare
Ciò che altrove è un aggiornamento
Qui non è che l’oblio del mattino e della sera

XXXVII
Le mattine sono partite verso i tempi andati
E le sere partiranno verso la sera eterna
E i giorni entreranno in un giorno solenne
E i figli diverranno uomini risoluti

XXXVIII
Le età entreranno nell’età assoluta
I figli ritorneranno verso il suolo paterno
E rapiranno a forza e l’amore fraterno
E l’antica eredità e il bene devoluto

XXXIX
Ecco il luogo del mondo dove tutto diventa infante
E soprattutto questo vecchio con la sua barba grigia
E i suoi capelli arruffati al soffio della brezza
E il suo sguardo modesto e un tempo trionfante

XL
Ecco il luogo del mondo dove tutto diventa novizio
E questa vecchia testa e i suoi barlumi
E queste due braccia irrigidite nei governi
Il solo angolo della terra dove tutto diventa complice

XLI
E questo stesso grande sciocco che faceva il furbo
(E’ il vostro servitore, o prima servente)
E che girava intorno in un’orbita sapiente
E che portava acqua alla roggia del mulino

XLII
Ciò che altrove è uno sradicamento
Qui non è che il fiore della giovane stagione
Ciò che altrove è troncamento
Qui non è che un sole che rasenta l’orizzonte

XLIII
Ciò che altrove è una dura aratura
Qui non è che raccolto e spossessamento
Ciò che altrove è il declino di un’età
Qui non è che un candido e caro invecchiamento

XLIV
Ciò che altrove è una resistenza
Qui non è che seguito e accompagnamento
Ciò che altrove è una prosternazione
Qui non è che dolce e lunga obbedienza

XLV
Ciò che altrove è regola di costrizione
Qui non è che scatto e abbandono
Ciò che altrove è una dura penale
Qui non è che fiacchezza e sollievo

XLVI
Ciò che altrove è una regola di condotta
Qui non è che bene e rinforzo
Ciò che altrove è risparmio prodotto
Qui non è che un onore e un grave giuramento

XLVII
Ciò che altrove è una spossatezza
Qui non è che il fiore della giovane orazione
Ciò che altrove è la pesante armatura
Qui non è che la lana e il vello bianco

XLVIII
Ciò che altrove sarebbe un tour de force
Qui non è che semplicità e rilassamento
Ciò che altrove è rugosa scorza
Qui non è che la linfa e i pianti del sarmento

XLIX
Ciò che altrove è una lunga usura
Qui non è che rinforzo e accrescimento
Ciò che altrove è sconvolgimento
Qui non è che il giorno della buona avventura

L
Ciò che altrove si tiene sulla riserva
Qui non è che abbondanza ed eccedenza
Ciò che altrove si guadagna e si conserva
Qui non è che dispendio e desistenza

LI
Ciò che altrove si tiene sulla difesa
Qui non è che letizia e smantellamento
E l’oblio dell’ingiuria e l’oblio dell’offesa
Qui non è che pigrizia ed esilio

LII
Ciò che altrove è un legame
Qui non è che fedele e nobile attaccamento
Ciò che altrove è un accerchiamento
Qui non è che un passante davanti alla vostra casa

LIII
Ciò che altrove è un’obbedienza
Qui non è che un covone al tempo della falciatura
Ciò che altrove si fa per sorveglianza
Qui non è che un fieno buono al tempo della fienagione

LIV
Ciò che altrove è una forzatura
Qui non è che la pianta nel giardino
Ciò che altrove è una garanzia del pegno
Qui non è che la soglia del gradino

LV
Ciò che altrove è una ritorsione
Qui non è che distensione e disarmo
Ciò che altrove è una contrazione
Qui non è che un muto e calmo ingaggio

LVI
Ciò che altrove è un bene imperituro
Qui non è che un tranquillo e breve disimpegno
Ciò che altrove è un orgoglio
Qui non è che una rosa e dei passi sulla sabbia

LVII
Ciò che altrove è un rafforzamento
Qui non è che il fiore della giovane ragione
Ciò che altrove è un raddrizzamento
Qui non è che il pendio e la piega dell’erba

LVIII
Ciò che altrove è uno scorticare
Qui non è che un modesto e bello svestimento
Ciò che altrove è un’erosione
Qui non è che un duraturo e sicuro spogliamento

LIX
Ciò che altrove è un irrigidimento
Qui non è che soffice e candida fontana
Ciò che altrove è un’illustre pena
Qui non è che un profondo e puro zampillare

LX
Ciò che altrove si contende e si prende
Qui non è che un bel fiume ai margini della sua sorgente,
O regina, ed è qui che ogni anima si rende
Come un giovane guerriero caduto nella sua corsa

LXI
Ciò che altrove è la strada erta,
O regina che regnate nella vostra illustre corte,
Stella del mattino, regina dell’ultimo giorno,
Ciò che altrove è la mensa pronta

LXII
Ciò che altrove è la strada seguitata
Qui non è che un pacifico e forte distacco
E in un calmo tempio e lungi da un piatto tormento
L’attesa di una morte più viva della vita

Seconda preghiera

Preghiera di domanda

I
Noi non domandiamo che il grano sotto la mola
Sia riposto nel cuore della spiga
Noi non chiediamo che l’anima errante e sola
Sia adagiata in un giardino fiorito

II
Noi non domandiamo che il grappolo spremuto
Sia rimesso sul frontone del pergolato
E che il pesante calabrone e la giovane ape
Vi tornino a saziarsi di rosato

III
Noi non domandiamo che la rosa vermiglia
Sia rimessa nel cerchio del roseto
E che il paniere e la pesante cesta
Ritornino al fiume e ridiventino giunco

IV
Noi non domandiamo che questa pagina scritta
Sia cancellata dal libro della memoria
E che il pesante sospetto e la giovane storia
Rammemorino questa pena prescritta

V
Noi non domandiamo che lo stelo piegato
Sia raddrizzato nel libro della natura
E che la gemma pesante e la giovane nervatura
Spacchi ancora la scorza e rifiorisca

VI
Noi non domandiamo che il ramo spaccato
Rinverdisca nel libro della grazia
E che il pesante germoglio e la giovane razza
Rizampilli dall’albero folgorato

VII
Noi non domandiamo che il ramo sfogliato
Si volga ancora a una giovane primavera
E che la linfa pesante e il giovane tempo
Salvi almeno una cima nella foresta allagata

VIII
Noi non domandiamo che la piega della tovaglia
Sia stirata prima che il padrone ritorni
E che la vostra serva e un disgraziato
Siano liberati da questa pesante cappa

IX
Noi non domandiamo che questa augusta tavola
Sia riservata, a meno che per un Dio,
Ma non speriamo che il grande connestabile
Scaldi due volte le sue mani a un sì magro fuoco

X
Noi non domandiamo che un’anima fuorviata
Sia rimessa sul cammino del bene,
O regina, ci è sufficiente aver conservato l’onore
E noi non vogliamo che un pietoso aiuto

XI
Ci rimetta su un cammino di diporto
E noi non vogliamo che un amore corrotto
Ci rimetta su un cammino di alleanza,
O solo governo di un’anima guerriera,

XII
Reggente del mare e dell’illustre porto,
Noi non domandiamo nient’altro in questi emendamenti,
Regina, che conservare sotto i vostri comandamenti
Una fedeltà più forte della morte

Terza preghiera

Preghiera di confidenza

I
Noi non domandiamo che questa bella tovaglia
Sia ripiegata sui piani dell’armadio
Noi non domandiamo che una piega della memoria
Sia cancellata da questa pesante cappa

II
Signora della via e del raccordo,
O specchio di giustizia e di giustezza d’animo,
Voi sola sapete, o grande nostra Signora,
Ciò che è la fermata e il raccoglimento

III
Signora della razza e della sovrapposizione,
O tempio di saggezza e di giurisprudenza,
Voi sola conoscete, o severa prudenza,
Ciò che è il giudice e il bilanciamento

IV
Quando fu necessario sederci all’incrocio di due strade
E scegliere il rimpianto coi rimorsi
Quando fu necessario sederci all’angolo di doppie sorti
E fissare lo sguardo sulla chiave di due volte

V
Voi sola sapete, signora del segreto,
Che uno dei due cammini andava in basso
Voi conoscete quello che scelsero i nostri passi
Come si sceglie un cedro o il legno di un cofanetto

VI
E non per la virtù che non abbiamo affatto
E non per il dovere che non amiamo
Ma come un carpentiere s’arma del suo compasso
Per la necessità di metterci al centro della miseria

VII
E per ben porci nell’asse dell’angoscia
E per questo sordo bisogno di essere più infelici
E di andare a un più duro e più crudo soffrire
E di prendere il male nella piena giustezza

VIII
Per questa vecchia destrezza, per questa stessa astuzia
Che più non ci servirà a conseguire il bene
Potessimo, o reggente, tenere almeno l’onore
E custodire lui, lui solo nostra povera tenerezza

Quarta preghiera

Preghiera di riporto

I
Noi abbiamo governato sì vasti regni,
O reggente di re e di governi,
Noi abbiamo tanto dormito sulla paglia e sulle stoppie,
Regina dei grandi pezzenti e delle rivolte,

II
Che non abbiamo più gusto per i grandi maggiordomi,
Regina del potere e dei rivolgimenti,
Che non abbiamo più gusto per i cambiamenti,
Reggente dei frontoni, dei palazzi e delle cupole

III
Noi abbiamo combattuto così ferventi guerre
Davanti al Signore e al Dio degli eserciti
Noi abbiamo percorso sì mutevoli terre
Noi ci siamo acquisite così tante rinomanze

IV
Che non abbiamo più gusto per il mestiere delle armi,
Regina delle grandi paci e dei disarmi,
Che non abbiamo più gusto per il mestiere delle lacrime,
Regina dei sette dolori e dei sette sacramenti

V
Noi abbiamo governato così vaste province,
Regina dei prefetti e dei procuratori,
Noi abbiamo lanternato sotto tanti augusti principi,
Regina delle tavole dipinte e dei due donatori

VI
Che non abbiamo più gusto per i dipartimenti
Né per la prefettura né per la capitale
Che non abbiamo più gusto per gli imbarchi
Che non aspiriamo più alla terra natale

VII
Noi abbiamo incontrato così alte fortune,
O chiave del solo onore imperituro,
Noi ci siamo spogliati di così bassi rancori,
Regina della testimonianza e del doppio testimone,

VIII
Che non abbiamo più gusto per le vanterie,
Signora di saggezza e di silenzio e di ombra,
Che non abbiamo più gusto per le argenterie,
O chiave del solo tesoro e di un bene senza numero

IX
Noi abbiamo visto così tanto, donna di povertà,
Che non abbiamo più gusto per i nuovi sguardi
Noi abbiamo fatto così tanto, tempio della purità,
Che non abbiamo più gusto per nuovi azzardi

X
Noi abbiamo tanto peccato, rifugio dei peccatori,
Che non abbiamo più gusto per le esitazioni
Noi abbiamo tanto cercato, miracolo di candore,
Che non abbiamo più gusto per gli insegnamenti

XI
Noi abbiamo tanto appreso nelle scuole
Che non sappiamo nient’altro che i vostri comandamenti
Noi abbiamo tanto fallito con gli atti e con le parole
Che non sappiamo nient’altro che i nostri emendamenti

XII
Noi siamo quei soldati che grugnivano per il mondo
Ma che marciavano sempre e che mai sono stati piegati
Noi siamo questa Chiesa e questo fascio legato
Noi siamo questa razza intima e profonda

XIII
Noi non domandiamo più di questi beni perituri
Noi non domandiamo più le vostre grazie di bontà
Noi non domandiamo più che le vostre grazie di onore
Noi non costruiremo più le nostre case su questa sabbia

XIV
Noi non sappiamo più nulla di quanto ci hanno letto
Noi non sappiamo più nulla di quanto ci hanno detto
Noi non conosciamo che un eterno editto
Noi non conosciamo nient’altro che il vostro ordine assoluto

XV
Noi ne abbiamo presi troppi, noi siamo risoluti
Noi non vogliamo più niente se non per obbedienza
E restare sotto i colpi di un’augusta potenza,
Specchio dei tempi futuri e dei tempi passati

XVI
Se pertanto è permesso che chi non ha niente
Possa un giorno disporre e legare qualcosa
Se non è vietato, misteriosa rosa,
Che colui che non ha riporti un giorno il suo bene

XVII
Se è permesso ai pezzenti di fare un testamento
E di legare l’asilo e la paglia e la stoppia
Se è permesso al re di legare il reame
E se il gran delfino presta un nuovo giuramento

XVIII
Se pertanto è ammesso che colui che deve tutto
Si faccia aprire un conto e vantare un credito
Se il versamento gira e non è proibito
Noi non domandiamo niente, noi andremo fino in fondo

XIX
Se dunque è ammesso che un umile debitore
Possa alzare la voce per ciò che non è dovuto
Se può toccare un guadagno quando non ha venduto
E far bilanciare con saldo creditizio

XX
Noi che non abbiamo conosciuto che le vostre grazie di guerra
E le vostre grazie di dolore e le vostre grazie di pena
(E le vostre grazie di gioia e questa pesante piana)
E il cammino di grazie della miseria

XXI
E la processione di grazie dell’angoscia
E i campi coltivati e i sentieri battuti
E i cuori lacerati e i reni incurvati
Noi non domandiamo niente, vigilante signora,

XXII
Noi che non abbiamo conosciuto che la vostra avversità
(Ma che sia lodata, o tempio di saggezza)
O, vogliate riportare, meraviglia di abbondanza,
le vostre grazie di bene e di prosperità

XXIII
Vogliate riporle su quattro giovani teste
Le vostre grazie di dolcezza e di consenso
E intrecciare per queste fronti, regina del puro frumento,
qualche spiga colta nella mietitura delle feste

Quinta preghiera

Preghiera di deferenza

I
Tanti amici si sono allontanati da questo cuore solitario
Ma non hanno stancato l’amore né la fedeltà
Tanti trafugamenti e tanta mobilità
Non hanno scoraggiato questo cuore involontario

II
Tanti colpi della fortuna e colpi della miseria
Non hanno suonato il giorno della fragilità
Tanta intolleranza e brutalità
Non hanno laicizzato questo cuore sacramentale

III
Tanta fasulla rivendicazione e tanto falso mistero
Non hanno stancato la fede né la docilità
Tante rinunzie non hanno debilitato
Il sangue del cuore rosso e il sangue dell’arteria

IV
Pertanto se oggi bisogna redigere un inventario
Che la morte da sola doveva concludere e sigillare
Se bisogna riscoprire ciò che doveva stare celato
E se bisogna divenire suo proprio segretario

V
Se bisogna costituirsi e suo proprio notaio
E suo proprio cancelliere e suo doppio testimone
E mettere la firma dopo l’ultimo punto
E premere sul sigillo la cifra sottoscritta

VI
Se bisogna chiudere la clausola e legare il contratto
E l’articolo dividere in paragrafi
E scavare nella pietra e incidere l’epigrafe
Se bisogna costituirsi rettore e magistrato

VII
Se bisogna articolare questo nuovo repertorio
Senza nessuna eccezione e senza tergiversare
E senza trascrizione e senza trasbordo
E senza trasgressione e senza scappatoia

VIII
Se bisogna su questi detriti redigere un nuovo codice
E su questi castighi delineare un nuovo re
E piantare l’apparato di un’ultima legge
Senza nessun evento e senza nessun episodio

IX
Nessuno passerà la soglia di questo deserto
Che non sia vostro fedele e che non sia vostro devoto
E nessuno passerà in questa cittadella
Che non abbia dato il motto che si dà come parola d’ordine

X
Nessuno visiterà questo tempio di memoria
Questo tempio di memoria e questo tempio d’oblio
E questa gratitudine e questo destino compiuto
E questi rimpianti piegati nei ripiani dell’armadio

XI
Nessuno visiterà questo cuore sepolto
Che non si sia messo sotto la vostra guida
E non si sia perduto nel vostro augusto seguito
Come una voce si perde in un coro compiuto

XII
E nessuna entrerà in questa solitudine
Che non vi sia soggetta e che non vi sia servitrice
E che non vi sia seconda e che non vi sia seguace
E nessuna entrerà in questa servitù

XIII
E nessuno varcherà la soglia di questo palazzo
E la porta centrale e l’atrio di marmo
E la vasca e la fonte e il muro di cinta e l’albero
Che non sia vostro schiavo e uno dei vostri valletti

XIV
E nessuno passerà in questa  pienezza
Che non sia vostro figlio e vostro servitore
Come è vostro servo e vostro debitore
E nessuno passerà in questa quiete

XV
Per l’amore più puro e più salutare
E l’arroccamento e il rimpianto stesso
E nessuno passerà la soglia di questo segreto
Per l’amore più duro e più statutario

XVI
E l’amore più maturo e più pieno di pena
E il più pieno di dolore e il più pieno di lacrime
E il più pieno di guerra e il più pieno di allarmi
E il più pieno di morte sulla soglia di questa piana

XVII
E per il più gonfio del più antico singhiozzo
E per il più vuoto della vecchia amarezza
E per il più lavato dalla più bassa schiuma
E per il più saziato da più antico fiotto

XVIII
E per il più simile a questo pesante grappolo
E per il più imprigionato alle pergole di questo muro
E per il più costretto come per il più sicuro
E per il più simile a questa piega della tovaglia

XIX
E nessuno passerà in questa certezza
Per l’amaro ricordo e il rimpianto più dolce
E il noioso avvenire e l’eterna risacca
Di onde di silenzio e di sollecitudine

XX
E nessuno varcherà la soglia di questa tomba
Per un culto eterno anche se corruttibile
E la profonda risacca di queste onde di sabbia
Dove il piede di silenzio a ogni passo ricade

XXI
Che non sia inchinato verso le vostre sacre ginocchia
E non sia sotto i vostri piedi come un cammino di foglia
E non consenta e non lasci e non pretenda e voglia
Dallo spessore del mondo essere amato meno di voi


(Per un maggior approfondimento su Peguy, si consiglia la consultazione del sito ufficiale: http://www.charlespeguy.fr/)


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