Pregare con Peguy, poeta e pellegrino
di Bruno Trevellin
Dalla straordinaria
esperienza di Charles Peguy, poeta e pellegrino a Chartres, nascono Le cinque preghiere nella cattedrale di
Chartres (504 versi raggruppati in quartine), terza e ultima parte de L’arazzo di Nostra Signora, pubblicato
nel 1913.
Una volta concluso il
cammino che da Parigi (Lozère) arriva a Chartres, attraversando la piana della
Beauce, il poeta si trova finalmente a tu per tu, dentro la cattedrale, con la
presenza viva e vivificante della madre di ogni misericordia. Lui, utilizzando
al meglio la terminologia militaresca, e marinara, che ben conosce, si arrende
a un’evidenza che supera ogni conoscenza, che è più ragionevole di ogni
ragionamento e riconsidera ogni aspetto della sua vita passata alla luce di
questo nuovo evento di grazia, bello e inatteso, che lo introduce in
un’esperienza di vita nuova, quella di una persona che si abbandona, finalmente
e totalmente, alla volontà di un Altro.
Si è detto che le preghiere
hanno sullo sfondo il dramma sentimentale che l’autore sta vivendo con Blanche
(‘Et cette jeune enfant qui fasait trop la belle’), che non lo porta però
alla rottura del matrimonio. Certamente c’è questo aspetto e lo si legge e
Peguy con umana sincerità non lo nasconde, e non può nasconderlo perché la sua
poesia, che si fa preghiera, non può che nascere dalla considerazione senza
mascheramenti della realtà e dalla verità con cui è percepita. In ogni caso la
sua riflessione procede ben oltre, arrivando a toccare le corde di un’orazione
litanica che è suggerita da altri e a cui lui, inseguendola, si abbandona.
Per questo le sue quartine
sono biografismi, quasi tappe della vita ritmata, che possono diventare anche
la biografia di molti, di quei molti che, facendosi come lui pellegrini, si
lasciano accogliere dalle braccia materne della Vergine Maria (‘Et deux bras maternels qui se tournent vers
nous’).
Peguy ha proprio trovato,
‘inventato’ (nel senso di ‘trovare cercando’), le parole con cui dire
l’esperienza di ogni pellegrino che si avvia a un santuario col fardello di
tutte le sue angosce e di tutte le sue trepidazioni. Così facendo, una volta
arrivato, non ci sarà più altro da vedere e da cercare, anzi, non ci sarà più gusto
per nient’altro (‘Nous n’avons plus de goût pour de nouveaux hasards’). Tale è infatti l’esperienza del pellegrino, che non vede
l’ora di tornare su quei suoi passi, su quello stesso cammino che l’ha segnato
definitivamente, al punto che non avrà neanche più gusto per ‘le terre
straniere’ (‘Nous n’avons plus de goût pour les pays étranges’), perché è là e solo là che desidera continuamente tornare.
Le tappe di questo
nuovo riflettere su di sé sono segnate dai titoli nuovi che Peguy ‘inventa’ e ‘crea’
per Maria e che colloca nelle sue quartine mescolandoli a quelli già noti della
tradizione mariana proprio come segnali rivelatori di senso degli eventi che
gli stanno accadendo. Tra i più significativi ne elenchiamo alcuni, nell’ordine
in cui si susseguono nei versi:
Stella del mare e dei
salati scogli,
Stella della barca e
delle soffici reti,
Stella del giorno e
dell’ultima sera,
O sola guida di
un’anima guerriera,
Reggente del mare e
del porto illustre,
Signora della via e
del raccordo,
Signora del segreto,
O reggente di re e di
governi,
Reggente di grandi
sciocchi e di sollievi,
Reggente del potere e
dei rivolgimenti,
Regina di frontoni, di
palazzi e di cupole,
Regina delle grandi
paci e dei disarmi,
Reggente dei prefetti
e dei procuratori,
Regina delle tavole
dipinte e dei due donatori,
O chiave del solo
onore imperituro,
Regina della
testimonianza e del doppio testimone,
Signora di saggezza e
di silenzio e d’ombra,
O chiave di un solo
tesoro e di un bene senza numero,
Donna di povertà,
Specchio dei tempi
futuri e dei tempi passati,
Rosa misteriosa,
Vigilante signora,
Regina del puro
frumento.
Ma che luogo è
Chartres? Cos’ha di così straordinario la cattedrale di Chartres? Molte
quartine della prima preghiera insistono sulle sue caratteristiche, da intendersi
ormai solamente come architetture dello spirito. Non ci sono descrizioni di
pareti, di vetrate, di rilievi, di pavimentazioni. La cattedrale è il luogo
dove l’anima si abbandona, si rende, come succede a un giovane guerriero che
cade nella corsa (‘c’est ici que tout âme se rende / comme un jeune guerrier retombé dans sa course’). È il luogo dove, dopo
l’abbandono, tutto si fa facile, docile, chiaro, dove la stessa tentazione si
ritorce su se stessa; il luogo dove non è più possibile la rivolta, dove ci
sono solo pace e quiete, disfatta e resa (‘N’est
ici que défaite et que reddition’). Soprattutto è il luogo dove tutto si fa
fanciullo (quartina XXXIX), specialmente chi è già segnato dal tempo e dalle
vicissitudini della vita, il luogo cioè dove è ancora percepibile l’innocenza
dell’inizio, perduta sì, ma non scordata, anzi, ancora fortemente desiderata. Ed
è il luogo dove ci si fa anche novizi, perché si entra in una vita nuova e
monastica, perché tutto d’ora in avanti verrà ricondotto a quell’Uno (monos), che, per grazia (lo confesserà
Peguy all’amico Lotte), ti si è fatto incontro tramite Lei, la Madre che ha
solo occhi di misericordia.
E tutto questo è in
sé, i pilasti e le volte della cattedrale sono ormai il suo corpo stesso, la
sua testa, le sue braccia, i suoi fianchi, le sue gambe, trasformati in dimora
e tempio dello Spirito.
Ogni pellegrino,
toccato come Peguy, sa riconoscersi nella sua stessa esperienza. Ad altri, che
mai abbiano vissuto così un pellegrinaggio, si potrà raccontare ciò che si è
visto, ciò che è capitato andando lì e staranno pure ad ascoltare meravigliati
quello che al protagonista è accaduto, ma per chi ha vissuto nella maniera di
Peguy il pellegrinaggio, quelle parole (e che parole!) sono carne che fanno
risentire e rivivere ciò che è stato anche tuo e che, come per Peguy, te lo faranno
per sempre desiderare. Il pellegrino non è infatti un turista né un frettoloso visitatore,
ma colui che ha deciso mettere la sua
vita nelle mani di un Altro, dal quale è già stato preso e afferrato.
E gli effetti su chi
si fa pellegrino in questo modo sono duraturi e definitivi, perché un pellegrinaggio
non finisce con il raggiungimento della meta, continuando esso per tutto il
resto della vita, anche se questa continuerà a essere dolore e fatica.
È, quella di Peguy,
anche una preghiera di confessione, confessione di un peccatore (“Io sono un
peccatore, non sono un sant”, scriveva all’amico Lotte), di uno che è stato
ribelle (‘ce vieux coeur qui faisait le
rebelle’), di uno che non riusciva neanche a dire ‘sia fatta la tua volontà’,
ma che ora, a Chartres, scopre che a essere sconfitta è proprio tutta la sua
stessa presunta saggezza (‘la sagesse en
déroute’).
Il poeta Peguy è ormai
un uomo che riconosce peccati e fallimenti (‘Nous avons tant péché… Nous avons tant failli par l’acte et la parole’),
ma è anche un uomo la cui volontà resterà segnata solo dall’obbedienza (‘Nous ne voulons plus rien que par obéissance’)
e Maria diventa per lui il prototipo della nuova umanità risuscitata in Cristo.
“Lei è superiore agli uomini e agli angeli, perché è carnale come gli uomini e
pura come gli angeli, senza ombra di peccato. Lei sola è una perfetta
imitazione di Gesù, perché solo lei è totalmente terrestre e totalmente
divinizzata. Lungi dall’essere un pietismo devoto, il culto di Peguy per Maria
è una esaltazione del temporale per l’eterno, una glorificazione della carne
per lo spirito” (Jean Bastaire).
Che uomo e che
scrittore è dunque Peguy? Scriverà di lui l’amico Alain-Fournier: “Io dico,
sapendo quello che dico, che probabilmente dopo Dostoevkij non c’è più stato un
uomo che sia così chiaramente un uomo di Dio”. E Romain Rolland, premio Nobel
per la letteratura nel 1915, il cui capolavoro, il romanzo Jean-Christophe, venne pubblicato proprio sui Cahiers de la Quinzaine di Peguy, di lui scrittore dirà: “Non posso più leggere nulla dopo Peguy. Come risuonano vacui i più grandi di
oggi paragonati a lui”.
C. Peguy, Le cinque
preghiere nella cattedrale di Chartres
(traduzione a cura di Bruno
Trevellin)
A padre Felice Monchieri,
gesuita, confessore e guida di pellegrini
Prima preghiera
Preghiera di residenza
I
O Regina, ecco dunque dopo la lunga
strada
Prima di ripartire per lo stesso
cammino
Il solo asilo aperto nel cavo della
vostra mano
E il giardino segreto dove tutta
l’anima si apre
II
Ecco il pesante pilastro e la volta
montante
E l’oblio per ieri e l’oblio per
domani
E l’inutilità di ogni calcolo umano
E più che il peccato, la saggezza in
rotta
III
Ecco il luogo del mondo dove tutto
diventa facile
Il rimpianto, la partenza, lo stesso evento
E l’addio temporaneo e l’allontanamento
Il solo angolo della terra dove tutto
diventa docile
IV
E questo stesso vecchio cuore che
faceva il ribelle
E questa vecchia testa e i suoi
ragionamenti
E queste due braccia irrigidite nelle
caserme
E questa giovane ragazza che faceva
troppo la bella
V
Ecco il luogo del mondo dove tutto è
riconosciuto
E questa vecchia testa e la sorgente
delle lacrime
E queste due braccia irrigidite nel
mestiere delle armi
Il solo angolo della terra dove tutto
sia contenuto
VI
Ecco il luogo del mondo dove tutto è
ritorno
Dopo tante partenze, dopo tanti
arrivi
Ecco il luogo del mondo dove tutto è
povero e nudo
Dopo tanti azzardi, dopo tante
fatiche
VII
Ecco il luogo del mondo e il solo
ritiro
E l’unico ritorno e il raccoglimento
E la foglia e il frutto e lo
sfogliamento
E i rami colti per quest’unica festa
VIII
Ecco il luogo del mondo dove tutto
rientra e si tace
E il silenzio e l’ombra e la carnale
assenza
E il cominciamento dell’eterna
presenza
La sola ridotta dove l’anima è tutto
ciò che è stata
IX
Ecco il luogo del mondo dove la
tentazione
Si ritorce su se stessa e si mette al
contrario
Perché ciò che qui tenta è la
sommissione
Ed è l’accecamento nell’universo
immenso
X
E ciò che tenta qui è la deposizione
E ciò che qui viene tutta sola è
l’abdicazione
E ciò che viene da sé e ciò che si
presenta
Non è qui che grandezza e
presentazione
XI
Qui c’è la rivolta che diventa impossibile
E ciò che qui si presenta è la
dimissione
E c’è la cancellazione che diventa
invincibile
E tutto non è che buongiorno e saluto
XII
Ciò che altrove è un’accessione
Qui non è che una totale e sorda
abrasione
Ciò che altrove è un intasamento
Qui non è che bassezza e depressione
XIII
Ciò che altrove è un’oppressione
Qui non è che l’effetto di un nobile
sfondamento
Ciò che altrove è una premura
Qui non è che un’eredità e una
successione
XIV
Ciò che altrove è una rude guerra
Qui non è che la pace di un lungo
abbandono
Ciò che altrove è un abbassamento
È qui la legge stessa e la norma
comune
XV
Ciò che altrove è un’aspra battaglia
E sul collo teso il coltello da
macellaio
Ciò che altrove è il taglio e l’innesto
Qui non è che il fiore e il frutto del
pesco
XVI
Ciò che altrove è una rude salita
Qui non è che discesa e compimento
Ciò che altrove è il mare in tempesta
Qui non è che bonaccia e stabilità
XVII
Ciò che altrove è una dura legge
Qui non è che un bel piegarsi ai
vostri comandi
E nella libertà del nostro
emendamento
Una fedeltà più tenera della fede
XVIII
Ciò che altrove è un’ossessione
Qui non è che una piazza arresa alla
vostra legge
Ciò che altrove è un’anima venduta
Qui non è che preghiera e
intercessione
XIX
Ciò che altrove è una lassitudine
Qui non è che una chiave su un umile
vassoio
Ciò che altrove è la vicissitudine
Qui non è che una vigna adatta al
poggio
XX
Ciò che altrove è la lunga abitudine
Seduta a un angolo di fuoco, i pugni
sotto il mento
Ciò che altrove è una solitudine
Qui non è che un vivace e fermo
germoglio
XXI
Ciò che altrove è la decrepitudine
Seduta a un angolo di fuoco, i pugni
sulle ginocchia
Qui non è che tenerezza e
sollecitudine
E due braccia materne a noi rivolte
XXII
Noi ci siamo lavati di una tale
amarezza,
Stella del mare e dei salati scogli,
Noi ci siamo lavati di una sì bassa
schiuma,
Stella della barca e delle morbide
reti,
XXIII
Noi abbiamo lavato le nostre infelici
teste
Di un tale miscuglio di lordura e di
ragionamento
Eccoci ormai, o regina dei profeti,
Più chiari dell’acqua dei pozzi
dell’antico testamento
XXIV
Noi abbiamo governato arche sì
modeste,
Vela del solo vascello che non
perirà,
Noi abbiamo consultato sì povere
bussole,
Arca di sola salvezza, regina dei
patriarchi,
XXV
Noi abbiamo consumato così lontani
viaggi
Che non abbiamo più gusto per paesi
stranieri
Regina dei confessori, delle vergini
e degli angeli,
Eccoci ritornati nei nostri primi
villaggi
XXVI
Ci è stato detto tanto, regina degli
apostoli,
Non abbiamo più gusto per la perorazione
Non abbiamo più altari che questi che
sono i vostri
Non sappiamo nient’altro che una
semplice orazione
XXVII
Noi abbiamo asciugato sì vasti
naufragi
Che non abbiamo più gusto per il
trasbordo
Eccoci di ritorno, al declino delle
nostre età,
Stella del solo Nord, nel vostro
bastimento
XXVIII
Ciò che altrove è la dispersione
Qui non è che l’effetto di un bell’assembramento
Ciò che altrove è uno smembramento
Qui non è che corteo e processione
XXIX
Ciò che altrove domanda un esame
Qui non è che l’effetto di una povera
giovinezza
Ciò che altrove domanda un indomani
Qui non è che l’effetto di una sudata
fiacchezza
XXX
Ciò che altrove domanda una pergamena
Qui non è che l’effetto di una povera
tenerezza
Ciò che altrove domanda una destrezza
Qui non è che l’effetto di un’umile
goffezza
XXXI
Ciò che altrove è squilibrio
Qui non è che giustezza e
declinazione
Ciò che altrove è baraccamento
Qui non è che una casa salda e spessa
XXXII
Ciò che altrove è la guerra e la pace
Qui non è che disfatta e resa
Ciò che altrove è sedizione
Qui non è che un bel popolo e spighe
fitte
XXXIII
Ciò che altrove è un immenso esercito
Coi suoi treni di viveri e i suoi
ingombri
E i suoi treni di bagagli e i suoi
ritardi
Qui non è che decenza e buona fama
XXXIV
Ciò che altrove è uno sprofondamento
Qui non è che una lenta e curva
inclinazione
Ciò che altrove è comparazione
Qui è senza pari e senza
raddoppiamento
XXXV
Ciò che altrove è un abbattimento
Qui non è che l’effetto di una povera
obbedienza
Ciò che altrove è un gran parlamento
Qui non è che l’effetto di una sola
udienza
XXXVI
Ciò che altrove è inquadramento
Qui non è che un candido e calmo
riposare
Ciò che altrove è un aggiornamento
Qui non è che l’oblio del mattino e
della sera
XXXVII
Le mattine sono partite verso i tempi
andati
E le sere partiranno verso la sera
eterna
E i giorni entreranno in un giorno
solenne
E i figli diverranno uomini risoluti
XXXVIII
Le età entreranno nell’età assoluta
I figli ritorneranno verso il suolo
paterno
E rapiranno a forza e l’amore
fraterno
E l’antica eredità e il bene devoluto
XXXIX
Ecco il luogo del mondo dove tutto
diventa infante
E soprattutto questo vecchio con la
sua barba grigia
E i suoi capelli arruffati al soffio
della brezza
E il suo sguardo modesto e un tempo trionfante
XL
Ecco il luogo del mondo dove tutto
diventa novizio
E questa vecchia testa e i suoi
barlumi
E queste due braccia irrigidite nei
governi
Il solo angolo della terra dove tutto
diventa complice
XLI
E questo stesso grande sciocco che
faceva il furbo
(E’ il vostro servitore, o prima
servente)
E che girava intorno in un’orbita
sapiente
E che portava acqua alla roggia del
mulino
XLII
Ciò che altrove è uno sradicamento
Qui non è che il fiore della giovane
stagione
Ciò che altrove è troncamento
Qui non è che un sole che rasenta
l’orizzonte
XLIII
Ciò che altrove è una dura aratura
Qui non è che raccolto e
spossessamento
Ciò che altrove è il declino di
un’età
Qui non è che un candido e caro
invecchiamento
XLIV
Ciò che altrove è una resistenza
Qui non è che seguito e accompagnamento
Ciò che altrove è una prosternazione
Qui non è che dolce e lunga
obbedienza
XLV
Ciò che altrove è regola di
costrizione
Qui non è che scatto e abbandono
Ciò che altrove è una dura penale
Qui non è che fiacchezza e sollievo
XLVI
Ciò che altrove è una regola di
condotta
Qui non è che bene e rinforzo
Ciò che altrove è risparmio prodotto
Qui non è che un onore e un grave
giuramento
XLVII
Ciò che altrove è una spossatezza
Qui non è che il fiore della giovane
orazione
Ciò che altrove è la pesante armatura
Qui non è che la lana e il vello
bianco
XLVIII
Ciò che altrove sarebbe un tour de
force
Qui non è che semplicità e
rilassamento
Ciò che altrove è rugosa scorza
Qui non è che la linfa e i pianti del
sarmento
XLIX
Ciò che altrove è una lunga usura
Qui non è che rinforzo e accrescimento
Ciò che altrove è sconvolgimento
Qui non è che il giorno della buona
avventura
L
Ciò che altrove si tiene sulla
riserva
Qui non è che abbondanza ed eccedenza
Ciò che altrove si guadagna e si
conserva
Qui non è che dispendio e desistenza
LI
Ciò che altrove si tiene sulla difesa
Qui non è che letizia e
smantellamento
E l’oblio dell’ingiuria e l’oblio
dell’offesa
Qui non è che pigrizia ed esilio
LII
Ciò che altrove è un legame
Qui non è che fedele e nobile
attaccamento
Ciò che altrove è un accerchiamento
Qui non è che un passante davanti
alla vostra casa
LIII
Ciò che altrove è un’obbedienza
Qui non è che un covone al tempo
della falciatura
Ciò che altrove si fa per
sorveglianza
Qui non è che un fieno buono al tempo
della fienagione
LIV
Ciò che altrove è una forzatura
Qui non è che la pianta nel giardino
Ciò che altrove è una garanzia del
pegno
Qui non è che la soglia del gradino
LV
Ciò che altrove è una ritorsione
Qui non è che distensione e disarmo
Ciò che altrove è una contrazione
Qui non è che un muto e calmo
ingaggio
LVI
Ciò che altrove è un bene imperituro
Qui non è che un tranquillo e breve
disimpegno
Ciò che altrove è un orgoglio
Qui non è che una rosa e dei passi
sulla sabbia
LVII
Ciò che altrove è un rafforzamento
Qui non è che il fiore della giovane
ragione
Ciò che altrove è un raddrizzamento
Qui non è che il pendio e la piega
dell’erba
LVIII
Ciò che altrove è uno scorticare
Qui non è che un modesto e bello
svestimento
Ciò che altrove è un’erosione
Qui non è che un duraturo e sicuro
spogliamento
LIX
Ciò che altrove è un irrigidimento
Qui non è che soffice e candida
fontana
Ciò che altrove è un’illustre pena
Qui non è che un profondo e puro
zampillare
LX
Ciò che altrove si contende e si
prende
Qui non è che un bel fiume ai margini
della sua sorgente,
O regina, ed è qui che ogni anima si
rende
Come un giovane guerriero caduto
nella sua corsa
LXI
Ciò che altrove è la strada erta,
O regina che regnate nella vostra
illustre corte,
Stella del mattino, regina
dell’ultimo giorno,
Ciò che altrove è la mensa pronta
LXII
Ciò che altrove è la strada seguitata
Qui non è che un pacifico e forte
distacco
E in un calmo tempio e lungi da un
piatto tormento
L’attesa di una morte più viva della vita
Seconda preghiera
Preghiera di domanda
I
Noi non domandiamo che il grano sotto
la mola
Sia riposto nel cuore della spiga
Noi non chiediamo che l’anima errante
e sola
Sia adagiata in un giardino fiorito
II
Noi non domandiamo che il grappolo
spremuto
Sia rimesso sul frontone del
pergolato
E che il pesante calabrone e la
giovane ape
Vi tornino a saziarsi di rosato
III
Noi non domandiamo che la rosa
vermiglia
Sia rimessa nel cerchio del roseto
E che il paniere e la pesante cesta
Ritornino al fiume e ridiventino
giunco
IV
Noi non domandiamo che questa pagina
scritta
Sia cancellata dal libro della
memoria
E che il pesante sospetto e la
giovane storia
Rammemorino questa pena prescritta
V
Noi non domandiamo che lo stelo
piegato
Sia raddrizzato nel libro della
natura
E che la gemma pesante e la giovane
nervatura
Spacchi ancora la scorza e rifiorisca
VI
Noi non domandiamo che il ramo
spaccato
Rinverdisca nel libro della grazia
E che il pesante germoglio e la
giovane razza
Rizampilli dall’albero folgorato
VII
Noi non domandiamo che il ramo sfogliato
Si volga ancora a una giovane
primavera
E che la linfa pesante e il giovane
tempo
Salvi almeno una cima nella foresta
allagata
VIII
Noi non domandiamo che la piega della
tovaglia
Sia stirata prima che il padrone
ritorni
E che la vostra serva e un
disgraziato
Siano liberati da questa pesante
cappa
IX
Noi non domandiamo che questa augusta
tavola
Sia riservata, a meno che per un Dio,
Ma non speriamo che il grande
connestabile
Scaldi due volte le sue mani a un sì
magro fuoco
X
Noi non domandiamo che un’anima
fuorviata
Sia rimessa sul cammino del bene,
O regina, ci è sufficiente aver conservato
l’onore
E noi non vogliamo che un pietoso
aiuto
XI
Ci rimetta su un cammino di diporto
E noi non vogliamo che un amore
corrotto
Ci rimetta su un cammino di alleanza,
O solo governo di un’anima guerriera,
XII
Reggente del mare e dell’illustre
porto,
Noi non domandiamo nient’altro in
questi emendamenti,
Regina, che conservare sotto i vostri
comandamenti
Una fedeltà più forte della morte
Terza preghiera
Preghiera di confidenza
I
Noi non domandiamo che questa bella
tovaglia
Sia ripiegata sui piani dell’armadio
Noi non domandiamo che una piega
della memoria
Sia cancellata da questa pesante
cappa
II
Signora della via e del raccordo,
O specchio di giustizia e di
giustezza d’animo,
Voi sola sapete, o grande nostra
Signora,
Ciò che è la fermata e il
raccoglimento
III
Signora della razza e della
sovrapposizione,
O tempio di saggezza e di
giurisprudenza,
Voi sola conoscete, o severa
prudenza,
Ciò che è il giudice e il
bilanciamento
IV
Quando fu necessario sederci
all’incrocio di due strade
E scegliere il rimpianto coi rimorsi
Quando fu necessario sederci
all’angolo di doppie sorti
E fissare lo sguardo sulla chiave di
due volte
V
Voi sola sapete, signora del segreto,
Che uno dei due cammini andava in
basso
Voi conoscete quello che scelsero i
nostri passi
Come si sceglie un cedro o il legno
di un cofanetto
VI
E non per la virtù che non abbiamo
affatto
E non per il dovere che non amiamo
Ma come un carpentiere s’arma del suo
compasso
Per la necessità di metterci al
centro della miseria
VII
E per ben porci nell’asse
dell’angoscia
E per questo sordo bisogno di essere
più infelici
E di andare a un più duro e più crudo
soffrire
E di prendere il male nella piena
giustezza
VIII
Per questa vecchia destrezza, per
questa stessa astuzia
Che più non ci servirà a conseguire
il bene
Potessimo, o reggente, tenere almeno
l’onore
E custodire lui, lui solo nostra
povera tenerezza
Quarta preghiera
Preghiera di riporto
I
Noi abbiamo governato sì vasti regni,
O reggente di re e di governi,
Noi abbiamo tanto dormito sulla
paglia e sulle stoppie,
Regina dei grandi pezzenti e delle
rivolte,
II
Che non abbiamo più gusto per i
grandi maggiordomi,
Regina del potere e dei rivolgimenti,
Che non abbiamo più gusto per i
cambiamenti,
Reggente dei frontoni, dei palazzi e
delle cupole
III
Noi abbiamo combattuto così ferventi
guerre
Davanti al Signore e al Dio degli
eserciti
Noi abbiamo percorso sì mutevoli
terre
Noi ci siamo acquisite così tante
rinomanze
IV
Che non abbiamo più gusto per il
mestiere delle armi,
Regina delle grandi paci e dei
disarmi,
Che non abbiamo più gusto per il
mestiere delle lacrime,
Regina dei sette dolori e dei sette
sacramenti
V
Noi abbiamo governato così vaste
province,
Regina dei prefetti e dei
procuratori,
Noi abbiamo lanternato sotto tanti
augusti principi,
Regina delle tavole dipinte e dei due
donatori
VI
Che non abbiamo più gusto per i
dipartimenti
Né per la prefettura né per la
capitale
Che non abbiamo più gusto per gli
imbarchi
Che non aspiriamo più alla terra
natale
VII
Noi abbiamo incontrato così alte
fortune,
O chiave del solo onore imperituro,
Noi ci siamo spogliati di così bassi
rancori,
Regina della testimonianza e del
doppio testimone,
VIII
Che non abbiamo più gusto per le
vanterie,
Signora di saggezza e di silenzio e
di ombra,
Che non abbiamo più gusto per le
argenterie,
O chiave del solo tesoro e di un bene
senza numero
IX
Noi abbiamo visto così tanto, donna
di povertà,
Che non abbiamo più gusto per i nuovi
sguardi
Noi abbiamo fatto così tanto, tempio
della purità,
Che non abbiamo più gusto per nuovi
azzardi
X
Noi abbiamo tanto peccato, rifugio
dei peccatori,
Che non abbiamo più gusto per le
esitazioni
Noi abbiamo tanto cercato, miracolo
di candore,
Che non abbiamo più gusto per gli
insegnamenti
XI
Noi abbiamo tanto appreso nelle
scuole
Che non sappiamo nient’altro che i
vostri comandamenti
Noi abbiamo tanto fallito con gli
atti e con le parole
Che non sappiamo nient’altro che i
nostri emendamenti
XII
Noi siamo quei soldati che grugnivano
per il mondo
Ma che marciavano sempre e che mai
sono stati piegati
Noi siamo questa Chiesa e questo
fascio legato
Noi siamo questa razza intima e
profonda
XIII
Noi non domandiamo più di questi beni
perituri
Noi non domandiamo più le vostre
grazie di bontà
Noi non domandiamo più che le vostre
grazie di onore
Noi non costruiremo più le nostre
case su questa sabbia
XIV
Noi non sappiamo più nulla di quanto
ci hanno letto
Noi non sappiamo più nulla di quanto
ci hanno detto
Noi non conosciamo che un eterno
editto
Noi non conosciamo nient’altro che il
vostro ordine assoluto
XV
Noi ne abbiamo presi troppi, noi
siamo risoluti
Noi non vogliamo più niente se non per
obbedienza
E restare sotto i colpi di un’augusta
potenza,
Specchio dei tempi futuri e dei tempi
passati
XVI
Se pertanto è permesso che chi non ha
niente
Possa un giorno disporre e legare
qualcosa
Se non è vietato, misteriosa rosa,
Che colui che non ha riporti un
giorno il suo bene
XVII
Se è permesso ai pezzenti di fare un
testamento
E di legare l’asilo e la paglia e la
stoppia
Se è permesso al re di legare il
reame
E se il gran delfino presta un nuovo
giuramento
XVIII
Se pertanto è ammesso che colui che
deve tutto
Si faccia aprire un conto e vantare
un credito
Se il versamento gira e non è
proibito
Noi non domandiamo niente, noi
andremo fino in fondo
XIX
Se dunque è ammesso che un umile
debitore
Possa alzare la voce per ciò che non
è dovuto
Se può toccare un guadagno quando non
ha venduto
E far bilanciare con saldo creditizio
XX
Noi che non abbiamo conosciuto che le
vostre grazie di guerra
E le vostre grazie di dolore e le
vostre grazie di pena
(E le vostre grazie di gioia e questa
pesante piana)
E il cammino di grazie della miseria
XXI
E la processione di grazie
dell’angoscia
E i campi coltivati e i sentieri
battuti
E i cuori lacerati e i reni incurvati
Noi non domandiamo niente, vigilante
signora,
XXII
Noi che non abbiamo conosciuto che la
vostra avversità
(Ma che sia lodata, o tempio di
saggezza)
O, vogliate riportare, meraviglia di
abbondanza,
le vostre grazie di bene e di
prosperità
XXIII
Vogliate riporle su quattro giovani
teste
Le vostre grazie di dolcezza e di
consenso
E intrecciare per queste fronti,
regina del puro frumento,
qualche spiga colta nella mietitura
delle feste
Quinta preghiera
Preghiera di deferenza
I
Tanti amici si sono allontanati da
questo cuore solitario
Ma non hanno stancato l’amore né la
fedeltà
Tanti trafugamenti e tanta mobilità
Non hanno scoraggiato questo cuore
involontario
II
Tanti colpi della fortuna e colpi
della miseria
Non hanno suonato il giorno della
fragilità
Tanta intolleranza e brutalità
Non hanno laicizzato questo cuore
sacramentale
III
Tanta fasulla rivendicazione e tanto
falso mistero
Non hanno stancato la fede né la
docilità
Tante rinunzie non hanno debilitato
Il sangue del cuore rosso e il sangue
dell’arteria
IV
Pertanto se oggi bisogna redigere un
inventario
Che la morte da sola doveva concludere
e sigillare
Se bisogna riscoprire ciò che doveva
stare celato
E se bisogna divenire suo proprio
segretario
V
Se bisogna costituirsi e suo proprio
notaio
E suo proprio cancelliere e suo
doppio testimone
E mettere la firma dopo l’ultimo
punto
E premere sul sigillo la cifra
sottoscritta
VI
Se bisogna chiudere la clausola e
legare il contratto
E l’articolo dividere in paragrafi
E scavare nella pietra e incidere
l’epigrafe
Se bisogna costituirsi rettore e
magistrato
VII
Se bisogna articolare questo nuovo repertorio
Senza nessuna eccezione e senza
tergiversare
E senza trascrizione e senza
trasbordo
E senza trasgressione e senza
scappatoia
VIII
Se bisogna su questi detriti redigere
un nuovo codice
E su questi castighi delineare un
nuovo re
E piantare l’apparato di un’ultima
legge
Senza nessun evento e senza nessun
episodio
IX
Nessuno passerà la soglia di questo
deserto
Che non sia vostro fedele e che non
sia vostro devoto
E nessuno passerà in questa
cittadella
Che non abbia dato il motto che si dà
come parola d’ordine
X
Nessuno visiterà questo tempio di
memoria
Questo tempio di memoria e questo
tempio d’oblio
E questa gratitudine e questo destino
compiuto
E questi rimpianti piegati nei
ripiani dell’armadio
XI
Nessuno visiterà questo cuore sepolto
Che non si sia messo sotto la vostra
guida
E non si sia perduto nel vostro
augusto seguito
Come una voce si perde in un coro
compiuto
XII
E nessuna entrerà in questa
solitudine
Che non vi sia soggetta e che non vi
sia servitrice
E che non vi sia seconda e che non vi
sia seguace
E nessuna entrerà in questa servitù
XIII
E nessuno varcherà la soglia di
questo palazzo
E la porta centrale e l’atrio di
marmo
E la vasca e la fonte e il muro di
cinta e l’albero
Che non sia vostro schiavo e uno dei
vostri valletti
XIV
E nessuno passerà in questa pienezza
Che non sia vostro figlio e vostro
servitore
Come è vostro servo e vostro debitore
E nessuno passerà in questa quiete
XV
Per l’amore più puro e più salutare
E l’arroccamento e il rimpianto
stesso
E nessuno passerà la soglia di questo
segreto
Per l’amore più duro e più statutario
XVI
E l’amore più maturo e più pieno di
pena
E il più pieno di dolore e il più
pieno di lacrime
E il più pieno di guerra e il più
pieno di allarmi
E il più pieno di morte sulla soglia
di questa piana
XVII
E per il più gonfio del più antico
singhiozzo
E per il più vuoto della vecchia
amarezza
E per il più lavato dalla più bassa
schiuma
E per il più saziato da più antico
fiotto
XVIII
E per il più simile a questo pesante
grappolo
E per il più imprigionato alle
pergole di questo muro
E per il più costretto come per il
più sicuro
E per il più simile a questa piega
della tovaglia
XIX
E nessuno passerà in questa certezza
Per l’amaro ricordo e il rimpianto
più dolce
E il noioso avvenire e l’eterna risacca
Di onde di silenzio e di
sollecitudine
XX
E nessuno varcherà la soglia di
questa tomba
Per un culto eterno anche se
corruttibile
E la profonda risacca di queste onde
di sabbia
Dove il piede di silenzio a ogni
passo ricade
XXI
Che non sia inchinato verso le vostre
sacre ginocchia
E non sia sotto i vostri piedi come
un cammino di foglia
E non consenta e non lasci e non
pretenda e voglia
Dallo spessore del mondo essere amato
meno di voi
(Per un maggior approfondimento su
Peguy, si consiglia la consultazione del sito ufficiale: http://www.charlespeguy.fr/)
Nessun commento:
Posta un commento