Il
pellegrinaggio di Charles Peguy a Chartres
di Bruno Trevellin
Nel centosettesimo anniversario del pellegrinaggio di
Peguy
a Notre Dame de
Chartres
Dal 14 al 17 giugno del 1912 Charles Peguy (Orleans
1873-Villeroy 1914) compie il suo primo pellegrinaggio a Chartres, percorrendo
a piedi i 130 chilometri (tra andata e ritorno) della strada nazionale che, partendo
da Loziere e passando per vari villaggi (Orsay, Gometz-le-Chatel, Gometz-leVille,
Dourdan), arriva alla cattedrale di Notre Dame di Chartres, il luogo unico al
mondo ‘dove tutto si fa fanciullo’, dove anche l’invecchiare è ‘candido e
caro’, dove si può attendere ‘una morte più viva della vita’.
Ne L’arazzo di
Nostra Signora (La tapisserie de Notre Dame) Peguy mette insieme tre
momenti di questa sua esperienza. Il primo (Presentazione
di Parigi a Nostra Signora) è dominato da Parigi e dalla sua cattedrale, la
Parigi dove Peguy lavora, la Parigi che Peguy ama. Il secondo è la
presentazione della Beauce (Presentazione
della Beuce a Nostra Signora di Chartres) e del cammino percorso per
arrivare a Chartres. Il terzo è rappresentato dalle Cinque preghiere nella cattedrale. Nell’insieme si tratta di un lungo
poema di 944 versi, di un poema che si fa continuamente preghiera, pubblicato
nel maggio del 1913 e riferito proprio a quel suo pellegrinaggio fatto in
compagnia del giovane amico Alain Fournier (che però lo lascerà subito dopo il
primo giorno di cammino, a Dourdan). L’opera è dedicata al fedele amico Joseph Lotte,
scrittore cattolico, e al Bollettino dei
professori cattolici dell’Università, da lui fondato nel 1910.
Perché un pellegrinaggio a Chartres? Peguy è in un
periodo difficile, duro, cruciale della vita. La libreria che aveva aperto a
Parigi con i quarantamila franchi portatigli in dote dalla moglie, unica fonte
di reddito per la famiglia, è sull’orlo del fallimento; è tentato da una
relazione extraconiugale con Blanche Raphael, una collaboratrice della sua
rivista (i Cahiers) ma non vi cede;
si sente incompreso dalla moglie e dai vecchi amici socialisti dopo il suo
ritorno al cattolicesimo (1907); un giovane collaboratore della sua rivista,
Renè Bichet, è morto imprudentemente per una iniezione letale di morfina. Ma è
soprattutto il voto che aveva fatto per la guarigione del figlio minore Pierre,
colpito da una grave malattia (a marzo si era preso una febbre tifoidea), a
spingerlo al pellegrinaggio. Chiude per tre giorni la libreria e marcia da una
Notre Dame all’altra, sul cammino percorso per secoli da schiere di pellegrini
francesi e che lui stesso rifarà in seguito per altre due volte.
Parte dunque da Parigi (Loziere) carico di angosce per
attraversare la Beauce di cui Chartres, con la sua cattedrale dedicata
all’Assunta, è luogo unico al mondo. Ritrova i paesaggi dell’infanzia, con
sullo sfondo quella cattedrale dove è ancora possibile tornare fanciulli (Voici le lieu du mond ou tout devient enfant),
scriverà nella prima preghiera. Ci sono le distese di grano, i covoni, i
vigneti, i ruscelli, le conche, gli avvallamenti, le vaste piane. Ma la
cattedrale è sentita anche come il luogo dell’invecchiare ‘candido e caro’ (N’est ici qu’un candide e cher viellissement),
il luogo dell’attesa di una morte sentita ‘più viva della vita’ (L’attente d’une mort plus vivant que vie).
Tornato a casa, a Parigi, ritrova i problemi di
sempre, ma la Vergine Assunta di Chartres produce le sue grazie. Il figlio
Pierre guarisce da una nuova grave malattia (una difterite) e la moglie,
Charlotte Baudouin, socialista e anticlericale di famiglia comunarda, confida
al marito che se le condizioni del figlio fossero peggiorate avrebbe chiamato
un prete per il battesimo. Anche la poesia de La tapisserie gli nasce come ispirata dalla grazia. Peguy ne è
consapevole. “Vivo
senza sacramenti. È un’impresa folle. Ma godo del dono della grazia, di una
sovrabbondanza di grazia inconcepibile. Obbedisco alle indicazioni”, scriverà
all’amico Lotte. E proprio
perché un pellegrino tende a ritornare sul cammino che lo ha segnato, Peguy
rifarà il pellegrinaggio nel luglio del 1913 e il martedì di Pasqua del 1914,
questa volta in treno. In questo terzo verrà raggiunto a Chartres dall’amica
Genevieve Favre e dalla figlia di lei Jeanne, rispettivamente madre e sorella
di Jaques Maritain. E come per ogni esperienza di pellegrinaggio, il richiamo
di Chartres diventa per lui irresistibile. “È là che ho lasciato il mio cuore e
credo davvero che là mi farò seppellire, poiché lì ho ricevuto grazie
straordinarie”, confesserà sempre all’amico Lotte.
E
come ogni buon pellegrino, propone anche ad altri di recarsi a quella sua
stessa meta. Partito per il fronte il primo di agosto del 1914, si rivolge alla
moglie Charlotte, a Jeanne Maritain e a Blanche Raphaël, chiedendo loro di “andare
per lui a Chartres, ogni anno, se fosse morto in guerra. Insolita richiesta,
rivolta a una moglie non battezzata e a un’amica ebrea incredula. A Blanche, in
particolare, scrive dal fronte questo biglietto: «Se non dovessi tornare,
andrete una volta all’anno a Chartres per me. A partire da oggi, unirete alle
due preghiere in latino che vi ho chiesto di fare ogni giorno, una terza in
latino che copio per voi». Si tratta del Pater Noster, dell’Ave Maria e del
Salve Regina” (Gianni Valente, …ecco il
luogo del mondo dove tutto diviene facile, anche l’avvenimento, in
30GIORNI, 11, 1999)).
Peguy morirà a quarantun anni il 5 settembre del 1914
a Villeroy nel primo giorno della battaglia sulla Marna, colpito in fronte da
una pallottola, in quella prima guerra mondiale in cui si era arruolato
volontario e che per lui doveva essere l’ultima per l’umanità (“Je pars soldat
de la république pur le désarmement générale et la dernière des guerres”, aveva
scritto il 4 agosto a un’amica). I compagni ricorderanno che le sue ultime
parole furono: “Dio, eccomi!”
Peguy giace ora sepolto non a Chartres, com’era nel
suo desiderio, ma nella grande fossa comune di Villeroy, assieme ai suoi
commilitoni.
I
suoi desideri verranno però esauditi. La moglie andrà ogni anno pellegrina a Chartres,
portandosi anche i figli e lo farà per tantissimi anni, fino a quando si
sentirà le forze per farlo. Non solo, tra il ’25 e il ’26 lei e tre dei suoi
quattro figli (l’ultimo le nacque dopo la morte al fronte del padre) riceveranno
il battesimo cristiano.
Quella che proponiamo è la traduzione della parte
centrale de La tapisserie, cioè delle
94 quartine in rima incrociata della Presentazione
della Beauce a Nostra Signora di Chartres. La traduzione è volutamente letterale,
rispettosa delle singole strofe e di ogni singolo verso, fatta conservando il
più possibile i termini impiegati da Peguy, le allitterazioni, le anafore e,
dove possibile, le rime.
(giugno 2019)
C. PEGUY, Presentazione della Beauce a Notra Signora
di Chartres
(Traduzione e
note a cura di Bruno Trevellin)
I
Stella del mare[1],
ecco la pesante tovaglia
E l’ondata profonda
e l’oceano di grano
E la mobile schiuma
e i nostri granai ricolmi
Ecco il vostro
sguardo su quest’immenso mantello
II
Ed ecco la vostra
voce su questa pesante pianura
E i nostri amici
assenti e i nostri cuori affranti
Ecco ai nostri
fianchi i nostri pugni semiaperti
E la nostra
stanchezza e la nostra piena forza
III
Stella del mattino[2],
inaccessibile regina,
Eccoci marciare[3]
verso la vostra illustre corte
Ed ecco il piatto
del nostro povero amore
Ed ecco l’oceano
della nostra immensa pena
IV
Un singhiozzo
corrode e trapassa l’orizzonte
Pochi tetti bastano
a fare come un arcipelago
Dal vecchio
campanile risuona una sorta d’appello
La chiesa possente
sembra una casa bassa
V
Così navighiamo
verso la vostra cattedrale
Di tanto in tanto
una fila di covoni galleggia
Tondi come torri,
opulenti e soli
Come un cassero
sull’ammiraglia
VI
Duemila anni di
lavoro hanno fatto di questa terra
Una riserva senza
fine per le età nuove
Mille anni della
vostra grazia hanno fatto di quest’opera
Un riposario[4]
senza fine per l’anima solitaria
VII
Ci vedete marciare
su questa strada dritta
Tutti polverosi,
tutti infangati, la pioggia dentro i denti
Su questo largo
ventaglio aperto a tutti i venti
La strada nazionale
è la nostra porta stretta
VIII
Noi procediamo con
le mani lungo i fianchi
Senza alcun
ingombro, senza intrichi, senza discorsi
Con un passo sempre
uguale, senza fretta né rincorsa
Dai campi più
presenti ai campi più vicini
IX
Voi ci vedete
marciare, noi siamo la fanteria
Non avanziamo più di
un passo alla volta
Ma venti secoli di
popolo e venti secoli di re
E tutto il loro
seguito e tutto il loro pollame
X
E i loro cappelli a
piuma e i loro valletti
Hanno insegnato che
c’è un vivere famigliare
E come si può
marciare, i piedi nelle scarpe
Verso un ultimo
quadrato la sera di una battaglia
XI
Noi siamo nati per
voi ai bordi di questa piana
Nell’ansa della
nostra bionda Loira
E questo fiume di
sabbia e questo fiume di gloria
Non è là che per
baciare il vostro augusto manto
XII
Noi siamo nati ai
bordi di questa vasta piana
Nell’antica Orleans
severa e seriosa
E la Loira fluente e
sovente limacciosa
Non è là che per
lavare i piedi della costa
XIII
Noi siamo nati ai
bordi della vostra piana Beauce[5]
E abbiamo conosciuto
nei nostri più giovani anni
Il portale della
fattoria e i duri contadini
E il recinto del
borgo e la vanga e la fossa
XIV
Noi siamo nati ai
bordi della vostra piana Beauce
E abbiamo conosciuto
nei nostri primi rimpianti
Quello che può
nascondere tra le segrete disperazioni
Un sole che discende
in un cielo scarlatto
XV
E che tramonta rasentando
un suolo inevitabile
Duro come una
giustizia, equo come una barra,
Giusto come una
legge, fermo come uno stagno,
Aperto come uno
zoccolo bello e piano come un’asse di legno
XVI
Uno dei nostri,
dalla gleba feconda
Ha fatto qui zampillare
da un solo rapimento
E da una sola
sorgente e da un solo portamento
Verso la vostra
assunzione la guglia unica al mondo
XVII
Torre di Davide[6],
ecco la vostra torre beauceriana
Questa è la spiga
più dura che mai sia stata innalzata
Verso un cielo di clemenza
e di serenità
E il più bel fiore
dentro la vostra corona
XVIII
Uno dei nostri ha
fatto qui zampillare
Dalla superficie del
suolo fino ai piedi della croce
Più alta di tutti i
santi, più alta di tutti i re
La guglia
irreprensibile e che non può fallire
XIX
Questo è il covone e
il grano che non può perire
Che non può sbiadire
al sole di settembre
Che non può gelare
ai rigori di dicembre
Questo è il vostro
servitore e il vostro testimone
XX
È lo stelo e il
grano che non marcisce
Che non può sfiorire
agli ardori dell’estate
Che non può
ammuffire in un inverno crudo
Che non può
transitare come un comune transito
XXI
È la pietra senza
tacca e la pietra senza errore
L’orazione più alta
che mai sia stata elevata
La ragione più retta
che mai sia stata lanciata
E verso un cielo
senza bordo la linea più alta
XXII
Quella che non
morirà di alcuna morte
Il pegno e il
ritratto dei nostri distacchi
L’immagine e la
traccia dei nostri risanamenti
La lana e il fuso
delle più modeste sorti
XXIII
Noi arriviamo a voi
dalla lontana Parigi
Per tre giorni
abbiamo chiuso la nostra bottega
E l’archeologia con
la semantica
E la magra Sorbona e
i suoi poveri figli
XXIV
Degli altri a voi
verranno dal lontano Beauvois
Noi abbiamo per tre
giorni lasciato il nostro negozio
E il rumore gigantesco e la colossale città
Degli altri a voi
verranno dal lontano Cambresis
XXV
Noi arriviamo a voi
da Parigi capitale
Là dove abbiamo il
nostro governo
E il nostro tempo
perso negli internamenti
E la nostra libertà
totale e deludente
XXVI
Noi arriviamo a voi
dall’altra Notre Dame
Da quella che
s’innalza nel cuore della città
Nella sua veste
regale e nella sua maestà
Nella sua
magnificenza e nella sua magnanimità
XXVII
Come voi comandate
su un oceano di spighe
Laggiù voi comandate
su un oceano di teste
E la messe dei
dolori e la messe delle feste
Ogni sera si posa
davanti al vostro sagrato
XXVIII
Noi arriviamo a voi
dal nobile Hurepoix
Secondo il nostro
uso è un inizio della Beauce
Fattorie e campi
tagliati a vostra immagine
Ma sovente interrotti
da cortine di bosco
XXIX
E più spesso
interrotti da profonde valli
Per l’Yvette e per
la Bievre e i loro incroci
E i loro giri
sapienti e i loro svincoli
E per i bei castelli
e per i viali lunghi
XXX
Degli altri a voi
verranno dal nobile Vermandois
E dai valloncelli di
betulle e di selci
Degli altri a voi
verranno dai palazzi e dalle galere
E dal paese picardo
e dal verde Vendomois
XXXI
Ma piccola o più
grande questa è sempre Francia
Il paese del bel
grano e dei riquadri
Il paese dei
grappoli e dei ruscelli
Il paese della
ginestra, della brughiera e della landa
XXXII
Noi arriviamo a voi
dal lontano Palaiseau
E dai sobborghi
d’Orsay attraverso Gometz-le-Chatel
Altrimenti detto
Saint-Clair: e non è un castello;
E’ un villaggio ai
bordi di una strada tortuosa
XXXIII
Ci siamo affacciati,
salendo da questo pendio
Sulla superficie
piana e su Gometz-le-Ville
Sopra Saint-Clair: e
non è una città;
E’ un villaggio ai
bordi di una strada in pianura
XXXIV
Abbiamo disceso la
costa di Limours
Abbiamo incontrato
tre o quattro gendarmi
Loro ci hanno
guardato, non senza qualche sospetto,
Consultare i segnali
agli angoli degli incroci
XXXV
Abbiamo dormito
nella calma Dourdon
Un grosso borgo
molto ricco e che si sente provincia
Fieri abbiamo
fiancheggiato, riguardandoti come un principe,
I fossi del castello
tagliati come a gradino
XXXVI
La casa amica,
ospitale e fraterna
Ci ha fatto dormire
nel letto del ragazzo.
Vent’anni di ricordi
sono stati la nostra canzone
Il pane ci fu
tagliato da una mano materna
XXXVII
Tutta la nostra
giovinezza è stata lì solenne
Per noi fu
pronunciato il Benedicite
Quattro secoli di
onore e di fedeltà
Facevano delle
lenzuola un letto eterno
XXXVIII
Abbiamo finto di
essere un gaio pellegrino
E anche uno che vive
bene e che ama i viaggi
E di aver percorso
centro e trent’un baliati
E di essere abituati
a stare sul cammino
XXXIX
Il chiarore della
lampada inondava la tovaglia
Ci fu fatto visitare
l’orto
Sulla pergola
s’apriva e su un bel frutteto
Fu tale il primo
alloggio e la prima tappa
XL
L’orto era chiuso da
un’ansa dell’Orge
A destra dava un
muro di bosco
Sormontato da rami e
da un leggero arco
Di fronte un fabbro
con l’incudine e la forgia
XLI
Noi, noi ci siamo
levati questa mattina prima dell’alba
Noi, noi ci siamo
lasciati dopo i buoni addii
Il tempo si
annunciava bello. “Tanto meglio” ci hanno detto.
Ci hanno fatto
gustare dello stufato di bue
XLII
È sottinteso che il
buon pellegrino
È chi beve costante
e tiene il suo posto a tavola
E che non ha bisogno
di fare il contabile
E che è sufficiente
che si levi il mattino
XLIII
Il giorno era sulla
strada e il sole si alzava
Quando abbiamo
passato Saint-Mesme e le altre
Si avanzava già come
due buoni apostoli[7]
E la sinistra e la
destra contavano solamente
XLIV
Siamo risaliti per
Guè de Longroy
Sono ormai finiti i
nostri indugi
E l’iniquità dei
dislivelli
Ecco la giusta piana
e il segreto orrore
XLV
Di trovarci tutti
soli ed ecco il carro
E la ruota e i buoi
e il giogo e il fienile
E la polvere eguale
e l’eguale fango
E l’eguale tristezza
e l’eguale smarrimento
XLVI
Eccoci giunti
sull’alta terrazza
Dove nulla può
nascondere l’uomo davanti a Dio
Dove nessuna
maschera né di luogo né di tempo
Potrà salvarci,
Signore, dal vostro agguato
XLVII
Ecco l’immenso
covone e l’immensa bica
E il grano sotto la
mola e il nostro macerarci
E il sottile
mannello e le nostre rinunce
E l’immenso
orizzonte che lo sguardo abbraccia
XLVIII
E le nostre
indegnità, questa immutabile massa,
E in un tal momento la
nostra paura bassa
E il giusto terrore
e il segreto tormento
Di trovarci tutti
soli davanti alla vostra faccia
XLIX
Ma eccovi
finalmente, regina di maestà.
Come abbiamo potuto
lasciarci illudere
E marciare davanti a
voi senza accorgerci di voi
Saremo dunque noi
sempre un popolo inconvertibile
L
Questo paese è più
liscio della più liscia tavola
Appena un incavo di
suolo, appena una leggera piega
È la tavola del
giudice e il fatto compiuto
E l’arresto senza
appello e l’ordine ineluttabile
LI
E il pronunciamento
del testo insormontabile
E la misura colma ed
è la sorte piena
Ed è la vita stesa e
l’uomo sepolto
Ed è l’araldo d’armi
e il terribile sigillo
LII
Ma voi apparite,
regina misteriosa.
Quella punta laggiù
nello spumeggiare[8]
Delle messi e dei
boschi e nel fluttuare
Dell’ultimo
orizzonte non è affatto un leccio
LIII
Né il conosciuto
profilo di un albero intercambiabile
È già più distante,
e più bassa, e più alta,
Ferma come una
speranza sull’ultima costa,
Sull’ultimo poggio
l’inimitabile guglia
LIV
Da qui a voi, o
regina, non c’è che la strada
Questa noi
riguardiamo, ne abbiamo fatte ben altre.
Voi avete la vostra
gloria e noi abbiamo le nostre
Noi l’abbiamo
scalfita, ce la mangeremo tutta
LV
Noi sappiamo cos’è
un tratto che s’aggiunge
A un tratto già
fatto e ciò che un chilometro
Chiede al garretto e
ciò che bisogna mettere
Noi passeremo questa
sera il ponte e la svolta
LVI
E il profondo fosso
che le mura cerchia
Tagliati dalle auto,
marceremo nel vento
Questa è la contrada
inafferrabile in foto,
La strada nuda e
grave che serpeggia
LVII
Abbiamo avuto la
buona intuizione di partire al mattino
Questa sera
dormiremo a due passi da casa
In quel vecchio
albergo dove per quaranta soldi
Tutti dormiremo
presso la vostra illustre torre
LVIII
Saremo così stanchi
che guarderemo,
Seduti su una sedia
vicino alla finestra,
Nel corpo macerati e
in tutto l’essere
Con gli occhi
abbattuti, quasi con occhi tondi
LIX
E le sopracciglia
alzate fin dentro la fronte,
L’angolo una volta
trovato da un solo uomo al mondo
E l’unica salita
ascendente e profonda
E saremo reclute che
contemplano
LX
Ecco l’asse e la
linea e il fiore gigante
Ecco la dura
pendenza e la soddisfazione
Ecco l’esattezza e
il consenso
E il severo pianto,
o regina del dolore[9]
LXI
Ecco la nudità, il
resto è vestimento
Ecco il vestimento,
tutto il resto è paramento
Ecco la purità,
tutto il resto è lordura
Ecco la povertà, il
resto è ornamento
LXII
Ecco la sola forza e
il resto è debolezza
Ecco il crinale
unico e il resto è sbavatura
E la sola nobiltà e
il resto è spazzatura
E la sola grandezza
e il resto è bassezza
LXIII
Ecco la sola fede
che non è spergiura
Ecco il solo slancio
che sa un poco ascendere
Ecco il solo istante
che vale mettere in conto
Ecco il solo
proposito che si realizza e che dura
LXIV
Ecco il monumento,
tutto il resto è rivestimento
Ed ecco il nostro
amore e il nostro intendimento
E il nostro
atteggiamento e la nostra pacificazione
E il nulla del
merletto e l’esatta modanatura
LXV
Ecco il bel
giuramento, il resto è tradimento
Ecco l’unico prezzo
delle nostre lacerazioni,
Il salario pagato
per i nostri arroccamenti
Ecco la verità, il
resto è impostura
LXVI
Ecco il firmamento,
il resto è procedura
E verso il tribunale
ecco l’aggiustamento
E verso il paradiso
ecco il compimento
E la foglia di
pietra e l’esatta nervatura
LXVII
Inchiodati resteremo
sulla sedia di paglia[10]
E non intenderemo e
non vedremo
Il tumulto delle
voci, il tumulto dei passi
E la bolgia
innocente nella cripta
LXVIII
Né i barrocciai
venuti per il giorno del mercato
Né la finta collera
e lo scoppio di bestemmie
Perché noi
contempleremo e noi mediteremo
Con un solo
abbraccio la guglia senza macchia
LXIX
Noi non sentiremo nè
le nostre rigide facce
Né la fame né la
sete né le rinunce nostre
Né le ginocchia
indurite né i nostri ragionamenti
Né le gambe
aggranchite dentro i nostri pantaloni
LXX
Perduti in questa
stanza e tra tanti hotel
Noi non scenderemo
all’ora del pasto
E non intenderemo e
neanche vedremo
La città prosternata
ai piedi dei vostri altari
LXXI
E quando si leverà
il sole del domani
Ci sveglieremo in
un’alba lustrale
All’ombra dei due
bracci della vostra cattedrale
Felici e infelici e
paralizzati dal cammino
LXXII
Noi veniamo a
pregarvi per quel povero ragazzo[11]
Morto nel corso di
quest’anno come uno sciocco
Quasi nella
settimana e vicino al giorno
In cui nacque vostro
figlio nella paglia e nella crusca
LXXIII
O Vergine, non era
il peggiore del gregge
Non aveva che un
difetto nella sua giovane corazza
Ma la morte che ci
spia e che segue la nostra traccia
È passata per quel
foro che si è fatto nella pelle
LXXIV
Era nato a noi
vicino nel nostro Gatinais
La strada cominciava
dove noi ridiscendiamo
Guadagnava ogni
giorno tutto ciò che noi perdiamo
E pertanto era lui
che a te tu destinavi,
LXXV
O morte, che fosti
vinta in una prima tomba,
I passi aveva messo
sulle nostre stesse impronte
Ma la sola mancanza
di una sola paura
Lasciò passare la
morte per un cammino nuovo
LXXVI
Eccolo ora nella
vostra reggenza
Voi siete regina e
madre e saprete dimostrarlo
Un essere era puro[12].
Voi lo farete rientrare
Nel vostro patronato
e nella vostra indulgenza
LXXVII
O regina che leggi
nel segreto del cuore
Voi sapete ciò che è
la vita oppure la morte
E voi sapete così in
quale segreto della sorte
Si cuce e si scuce
l’astuzia dell’inseguitore
LXXVIII
E voi sapete così in
quale accento del cuore
Si annoda e si snoda
un accompagnamento
E quello che fa di
spazio e di disboscamento
Per lasciare
rotolare giù la muta del bracchiere
LXXIX
E voi sapete così in
quale recesso di porto
Si prepara e si
compie un nobile innalzamento
E per quale gioco di
destrezza e di governo
Si rubi o si fissi
un illustre sostegno
LXXX
E voi sapete così su
quale filo di lama
Si gioca o si
inganna uno spavento
E per quale colpo di
pollice e quale bilanciamento
L’uno dei piatti
discende e l’altro si alzi
LXXXI
E quanto può costare
il labbro di uno schernitore
E quale forza e
implicazione
Per trasformare in
un solo colpo
Un vinto infelice in
un infelice vincitore
LXXXII
Madre, eccolo
dunque, era della nostra razza[13]
E vent’anni dopo
nostro raddoppio
Regina, ricevetelo
nel vostro emendamento
Dove è passata la
morte, passerà bene la grazia
LXXXIII
Noi, noi torneremo
per lo stesso cammino
La terra sarà di
nuovo senza segreti,
Il castello senza un
angolo e senza segreta
E questo suolo
meglio inciso di una perfetta pergamena
LXXXIV
Et nunc et in hora, noi vi preghiamo per noi
Che siamo più folli
di quel povero ragazzino
E senza dubbio meno
puri e meno nella vostra mano
E meno avviati verso
le vostre sacre ginocchia
LXXXV
Quando avremo
interpretato i nostri ultimi personaggi
Quando avremo
deposto la cappa e il mantello
Quando avremo
gettato la maschera e il coltello
Vogliate voi
ricordarvi dei nostri lunghi pellegrinaggi
LXXXVI
Quando noi
ritorneremo in questa fredda terra,
Così come fu
prescritto per il primo Adamo,
Regina di
Saint-Cheron, di Saint-Arnould e di Dourdan,
Vogliate voi
ricordarvi di questo cammino solitario
LXXXVII
Quando ci avranno
messo in una stretta fossa
Quando su di noi
avranno detta l’assoluzione e la messa
Vogliate voi
ricordarvi, regina della promessa,[14]
Il lungo cammino che
abbiamo fatto in Beauce
LXXXVIII
Quando noi avremo
lasciato questo sacco e questa corda
Quando avremo
tremato gli ultimi nostri tremori
Quando avremo
rantolato gli ultimi nostri rantoli
Vogliate voi
ricordarvi della vostra misericordia[15]
LXXXIX
Noi non domandiamo
altro, rifugio dei peccatori,[16]
che l’ultimo posto
nel vostro Purgatorio
per piangere
lungamente la nostra tragica storia
e contemplare da
lontano il vostro giovane splendore
NOTA FINALE: il
testo utilizzato per la traduzione è quello pubblicato in CHARLES PEGUY, L’arazzo di Nostra Signora, ed. Logos,
Roma, 1981 (con traduzione di Giorgio Francini)
[1]
Uno dei titoli più antichi per indicare la Vergine Maria. Il nome ebraico
Myriam (goccia del mare) venne tradotto da san Girolamo con ‘stilla maris’, ma
trascritto per errore ‘stella maris’ da un indotto copista e tale rimasto in
seguito per indicare cha Maria è la guida che porta a Cristo
[2]
Invocazione contenuta nelle Litanie lauretane
[3] Peguy
impiegherà spesso il verbo ‘marciare’, del resto è risaputo quanto amasse la
vita militare, le marce, le sfilate militari
[4] Il
‘reposoir’ di Peguy, tradotto da altri con ‘riposo’, richiama il ‘luogo del mio
riposo’ (di Dio) del Salmo 95
[5] Regione
della Francia settentrionale formata da un altipiano calcareo, povera d’acque e
con rari centri abitati.
[6] Altra
invocazione contenuta nelle Litanie lauretane
[7] Peguy
sta viaggiando assieme all’amico Alain Founier
[8]
All’amico Lotte scriverà: “Si vede il campanile di Chartres a diciassette
chilometri sulla pianura. Di tanto in tanto spariva dietro un’ondulazione, una
linea di boschi. Appena l’ho visto, sono andato in estasi. Tutte le mie
impurità sono svanite di colpo. Ero un altro uomo. Ho pregato un’ora nella
cattedrale, il sabato sera; ho pregato un’ora domenica mattina, prima della messa
solenne. Ma non ho seguito la celebrazione: avevo paura della folla. Ho
pregato, amico mio, come mai prima d’ora”.
[9] ‘Mater dolorosa’ è uno dei titoli con cui
viene spesso invocata la vergine Maria. Per la tradizione cristiana sono sette
i dolori di Maria che si possono enucleare dai testi evangelici
[10] La
madre di Peguy, rimasta vedova, troverà lavoro come impagliatrice di sedie dopo
la morte del marito. Peguy rimase orfano di padre subito dopo la nascita.
[11]
Trattasi di Renè Bichet, giovane collaboratore della rivista di Peguy (Chaiers de la Quinzaine), morto dopo una
festa con gli amici universitari in seguito a una iniezione di morfina
[12]
Puro per Peguy è l’uomo che non scende a compromessi, non chi ha la fobia del
contatto o della contaminazione (in ALAIN FINKIELKRAUT, Le mécontemporain, Gallimard, 1991, p.116)
[13] ‘Razza’
in Paguy non è una categoria fisica, ma il legame intimo e nello stesso tempo
fragile di un popolo (A. Finkielkraut, p. 115)
[14] Al
domenicano francese Alano della Rupe (sec. XV) Maria aveva rivelato 15 promesse
per i devoti al Santo Rosario
[15] Maria, mater misericordiae, è ricordata nel Salve Regina
[16] Maria, refugium peccatorum, è nelle Litanie
lauretane
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