Il foglio matricolare di mio nonno, il fante Toniato Antonio, classe 1913
Contadino padovano, soldato in Croazia e per due anni nei
campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
(trascrizione e note a cura di Bruno
Trevellin)
TONIATO ANTONIO, di Pasquale e di Riondato Teresa,
numero di matricola 50030, del Distretto di Padova, classe 1913.
Campagne
Campagna di guerra del 1943
Campagna di guerra del 1944
Campagna di guerra del 1945
Ha titolo all’attribuzione dei benefici[1]
di cui all’art. 6, D. L. 4-3-1948, n. 137 come ratificato con legge 23-2-1952,
n. 95 per essere stato prigioniero dei Tedeschi dal 12 settembre ’43 all’8
maggio ’45 e trattenuto dalle Forze Armate delle Nazioni Unite fino al 10
agosto ’45.
Note caratteristiche
Robustezza: molta
condotta in servizio e
fuori servizio: ottima
cura dell’arredo:
sufficiente
istruzione militare:
sufficiente
istruzione letteraria:
terza elementare
attitudine
all’avanzamento: a caporale
Dati e contrassegni personali
Residenza all’atto
dell’arruolamento: Rubano, via Frascà n. 7-frazione di Sarmeola.
Figlio di Pasquale e
di Riondato Teresa, nato il 9 giugno 1913 a Rubano (Padova), statura m. 1,79;
torace m. 0,84; capelli color castano, forma liscia; viso lungo; naso aquilino;
mento giusto; occhi castani; sopracciglia castane; fronte regolare; colorito
roseo; bocca regolare; dentatura sana; arte o professione contadino; sa leggere
e scrivere; titolo di studio terza elementare.
Arruolamento
Richiesta di congedo
illimitato presentata in data 8 agosto 1933
Chiamato alle armi e giunto il 6 aprile ‘34
Assegnato al 25°
Reggimento fanteria il 7 aprile ‘34
Nel 73° Reggimento
fanteria il 15 settembre ‘34
Parificato a Fiume il
29 settembre ‘34
Nel 75° Reggimento
fanteria per la guardia alla frontiera il 15 settembre ‘34
Nel 26° Reggimento
fanteria, divisione di Fiume l’8 marzo ‘35
Trattenuto alle armi a
senso della circolare n. 40001 del 4 marzo 1935-XIII del Ministero della guerra
il 6 aprile ‘35
Nel 25° Reggimento
fanteria il 17 settembre ‘35
Inviato in licenza
illimitata in attesa di congedo il 29 marzo ‘36
Collocato in congedo illimitato l’1 luglio ‘36
Iscritto al ruolo 111
delle forze in congedo del Distretto di Padova il 19 gennaio ‘38
Richiamato alle armi per istruzione il 30 agosto ‘39
Inviato in licenza illimitata senza assegni l’1 dicembre ‘39
Richiamato alle armi e giunto presso il 55° Reggimento
Fanteria il 7 gennaio ‘41
Catturato e fatto prigioniero dalle truppe tedesche mentre
trovavasi presso il 55° Reggimento Fanteria di stanza in Croazia il 12 settembre
‘43[2]
Rientrato dalla prigionia il 10 agosto ‘45[3]
Esaminato dalla Commissione interrogatrice prigionieri di
guerra del Distretto militare di Padova , nessun addebito può essere elevato in
merito alle circostanze della cattura e al comportamento tenuto durante la
prigionia di guerra.
Inviato in licenza di
rimpatrio di giorni 60 con assegni a
decorrenza dall’11 agosto ’45 al 10 ottobre ‘45
Collocato in congedo
illimitato il 10 ottobre ‘45
Nota Finale
Toniato
Antonio, mio nonno materno, tornò a casa nel pomeriggio dell'Assunta del 1945,
ridotto a 35 chili di pelle e ossa, anche lui per due anni 'schiavo di Hitler'
con gli altri 600 mila IMI (Internati Militari Italiani) senza diritti, che
preferirono lo sfruttamento nei campi di lavoro tedeschi piuttosto che essere
arruolati nell'esercito della Repubblica Sociale.
“Il regime nazista
non considera i nostri soldati catturati come prigionieri di guerra, ma li
classifica presto come ‘internati militari italiani’ (IMI), privandoli così
delle tutele garantite ai prigionieri dalla Convenzione di Ginevra,
sottraendoli alla protezione della Croce Rossa Internazionale e obbligandoli al
lavoro. È il lavoro per il Reich, infatti, l'obiettivo principale della
politica tedesca nei confronti degli italiani catturati, un lavoro che verrà
svolto in condizioni disumane, in totale spregio delle norme di guerra e di
quelle umanitarie.
Durante
l'internamento, i militari italiani – soprattutto gli ufficiali, perché i
soldati sono ritenuti più utili al lavoro coatto – vengono incessantemente
invitati, in cambio della liberazione, ad arruolarsi nelle forze armate
tedesche e soprattutto nelle forze armate della Repubblica Sociale Italiana. La
stragrande maggioranza degli internati rifiuta, dando vita a una forma di
Resistenza ‘disarmata’ o ‘passiva’. Molti si oppongono a qualsiasi tipo di
collaborazione; tutti si rassegnano alle tragiche condizioni di vita dei lager.
La RSI non aiuta in
alcun modo i connazionali nei campi che, nell'agosto 1944, sono trasformati,
con il consenso di Mussolini, in ‘lavoratori civili’, ma non per questo le loro
condizioni migliorano. Sfruttati, malati, sottoposti a torture fisiche e
psicologiche, non di rado oggetto di veri e propri crimini di guerra, gli italiani
dei lager pagano spesso con la vita la loro resistenza. Le vittime dei lager
saranno, alla fine della guerra, tra le 40 e le 50.000”[4].
[1] Trattasi
della pensione di guerra.
[2]
Fino all’8 settembre ’43 il comando del Reggimento era a Ragusa e aveva compiti
di difesa costiera e di controguerriglia. Le forze divisionali erano dislocate
a Gravosa, Trebjnie, Duzis, Davala, Ravno, Poljice e Slano. Il Reggimento viene
sciolto il 12 settembre, dopo l’armistizio. “Nel corso delle operazioni di
disarmo a Ragusa divampa, nelle prime ore del mattino, la resistenza italiana,
che verrà comunque domata in mattinata. Catturati 28.000 italiani” (in SILVIA
PASCALE, Come stelle nel cielo. In viaggio
tra i lager, Ciesse edizioni, 2017, p. 13)
[3]
“Andrea Devoto riassume così la successione delle fasi psicologiche
attraversate dai deportati nei lager: una fase di shock iniziale, comune a
tutti, caratterizzata da arresto, trasporto e arrivo al campo; una di
adattamento al lager contrassegnata da fame, degradazione e repressione d’ogni
sentimento; una fase di rassegnazione segnata da insensibilità fisica e morale,
obbedienza e spersonalizzazione” (PASCALE, Come
stelle nel cielo, p. 18)
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