Due donne per capire la
shoah: Edith Stein ed Etty Hillesum
Attività realizzata con
la classe 3A in occasione del Giorno della Memoria (prof. Bruno Trevellin, gennaio 2018)
Edith Stein (santa Teresa Benedetta della Croce, compatrona
d’Europa)
Nota biografica
Edith Stein (in religione Teresa Benedetta della Croce; Breslavia, 12 ottobre 1891 – Auschwitz, 9 agosto 1942) è stata una monaca, filosofa e mistica tedesca dell'Ordine delle
Carmelitane Scalze. Di origine ebraica, si convertì al cattolicesimo dopo un periodo di
ateismo che durava dall'adolescenza. Venne arrestata nei Paesi Bassi dai nazisti e rinchiusa nel campo di concentramento di
Auschwitz-Birkenau dove, insieme alla sorella Rosa (anch'ella monaca
carmelitana scalza) trovò la morte. Nel 1998 papa Giovanni Paolo II la proclamò santa e l'anno successivo la dichiarò patrona d'Europa.
La canzone di Battiato,
Il carmelo di Echt (scritta da Juri
Camisasca)
E
per vivere in solitudine nella pace e nel silenzioai confini della realtà,
mentre ad Auschwitz soffiava forte il vento
e ventilava la pietà,
hai lasciato le cose del mondo,
il pensiero profondo dai voli insondabili,
per una luce che sentivi dentro, le verità invisibili.
Dove sarà Edith Stein?
Dove sarà?
I mattini di maggio riempivano l’aria
i profumi nei chiostri del carmelo di Echt.
Dentro la clausura qualcuno che passava
selezionava gli angeli.
E nel tuo desiderio di cielo una voce nell’aria si udì:
gli ebrei non sono uomini.
E sopra un camion o una motocicletta che sia
ti portarono ad Auschwitz.
Dove sarà Edith Stein?
Dove sarà?
E per vivere in solitudine nella pace e nel silenzio
nel carmelo di Echt.
Il film su Edith Stein, La settima stanza (Edith
Stein ad Auschwitz), parte iniziale e scena finale
https://youtu.be/--p2obqKhHc
I libri più venduti di Edith Stein










Etty Hillesum e il suo Diario, per
apprezzare la vita, sempre
Un brano
dal Diario (1941-43) di Etty Hillesum
"Non sono i fatti
che contano nella vita, conta solo ciò che grazie ai fatti si diventa"
[...]
Credo in Dio e negli
uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile ma non è grave:
dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà
da sé. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata
trovata da ognuno in sè stesso; se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro
il prossimo, di qualunque razza o popolo; se avrà superato quest'odio e l'avrà
trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è
chiedere troppo. È l'unica soluzione possibile. È quel pezzettino d'eternità
che ci portiamo dentro. Sono una persona felice e lodo questa vita, nell'anno
del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra.
Le mie battaglie le
combatto contro di me, contro i miei proprio demoni: ma combattere in mezzo a
migliaia di persone impaurite, contro fanatici furiosi e gelidi che vogliono la
nostra fine, no, questo non è proprio il mio genere. Non ho paura, non so, mi
sento così tranquilla. Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che
stiamo vivendo, senza soccombere. Mi sembra che si esageri nel temere per il
nostro corpo. Lo spirito viene dimenticato, s'accartoccia e avvizzisce in
qualche angolino. Viviamo in un modo sbagliato, senza dignità. Io non odio
nessuno, non sono amareggiata: una volta che l'amore per tutti gli uomini
comincia a svilupparsi in noi, diventa infinito.
Bene, io accetto
questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so:
Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita
ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo
quando mi trovo in compagnia.
La vita e la morte, il
dolore e la gioia e persecuzioni, le vesciche ai piedi e il gelsomino dietro la
casa, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente
insieme e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio.
Un'altra cosa ancora
dopo quella mattina: la mia consapevolezza di non essere capace di odiare gli
uomini malgrado il dolore e l'ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza
che tutti questi orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori
di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi: e perciò sono
meno più familiari e assai meno terrificanti. Quel che fa paura è il fatto che
certi sistemi possono crescere al punto da superare gli uomini e da tenerli
stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime.

Nota biografica.
Alcuni dati per conoscerla meglio
Nata nel 1914 in Olanda da una famiglia della
borghesia intellettuale ebraica, Etty Hillesum muore ad Auschwitz nel novembre
del 1943.

Ragazza brillante, intensa,
con la passione della letteratura e della filosofia, si laurea in
giurisprudenza e si iscrive quindi alla facoltà di lingue slave; quando
intraprende lo studio della psicologia, divampa la seconda guerra mondiale e
con essa la persecuzione del popolo ebraico.
Durante gli ultimi due
anni della sua vita, scrive un diario personale: undici quaderni fittamente
ricoperti da una scrittura minuta e quasi indecifrabile, che abbracciano tutto
il 1941 e il 1942, anni di guerra e di oppressione per l’Olanda, ma per Etty un
periodo di crescita e, paradossalmente, di liberazione individuale.
Sotto l’aspetto vivace
e spontaneo, Etty è profondamente infelice: in preda a sfibranti malesseri
fisici, scopre a poco a poco che questi sono in relazione con tensioni di ordine
spirituale.
Forse anche a seguito
di carenze educative e vuoti affettivi dovuti al burrascoso matrimonio dei suoi
genitori, in quel periodo Etty vive relazioni sentimentali complicate, che la
lasciano “lacerata interiormente e mortalmente infelice”.
Dopo tanti errori,
finalmente l’incontro decisivo con uno psicologo ebreo tedesco, Spier, molti
anni più anziano di lei, che si rivela ben più di un terapeuta: attraverso le
contraddizioni di una relazione complessa, inizialmente anche ambigua, egli la
guida in un percorso di realizzazione umana e spirituale. L’aiuta a conoscere e
ad amare la Bibbia, le insegna a pregare, le fa conoscere S. Agostino ed altri
autori fondamentali della tradizione cristiana: sarà per Etty un mediatore fra
lei e Dio.
Seguendo quindi un
proprio itinerario, Etty matura una sensibilità religiosa che dà ai suoi
scritti una grande dimensione spirituale.
La parola “Dio”
compare anche nelle prime pagine del diario, usata però quasi
inconsapevolmente, come spesso accade nel linguaggio quotidiano. A poco a poco
però Etty va verso un dialogo molto più intenso con il divino, che percepisce
intimo a se stessa: “Quella parte di me, la più profonda e la più ricca in cui
riposo, è ciò che io chiamo Dio”.
Ormai libera dagli
errori del passato, si avvia sulla strada del dono di sé a Dio ed ai fratelli,
nel suo caso il popolo ebraico, la cui sorte sceglie di condividere pienamente.
Lavora per un breve
periodo in una sezione del Consiglio Ebraico di Amsterdam. Grazie a ciò, nel
1942, avrebbe avuto la possibilità di aver salva la vita, invece sceglie di non
sottrarsi al destino del suo popolo. Quasi subito chiede il trasferimento a
Westerbork, il campo di "smistamento" dove transitarono migliaia di
ebrei olandesi in attesa di deportazione e quindi si avvia al campo di
sterminio con gli altri ebrei prigionieri: è infatti convinta che l’unico modo
per render giustizia alla vita sia quello di non abbandonare delle persone in
pericolo e di usare la propria forza interiore per portare luce nella vita altrui.
Lavora nell'ospedale
del campo - con alcuni rientri ad Amsterdam - dall'agosto 1942 al 7 settembre
1943, data in cui Etty, suo padre, sua madre e Misha furono caricati sul treno
dei deportati diretto in Polonia. Morì ad Auschwitz il 30 novembre 1943.
Quando Etty inizia la
stesura del diario la guerra era nel pieno del suo svolgimento, e il cerchio
cominciava a stringersi intorno agli ebrei olandesi: erano costretti a brutali
restrizioni, radunati nel ghetto di Amsterdam, poi inviati nei campi di "smistamento"
in un'attesa più o meno lunga di deportazione nei campi di sterminio.
Questo fu il contesto
in cui Etty visse e in qualche modo comunicò a chi le stava intorno
l'atteggiamento affermativo assoluto verso la vita, oltre ogni pessimismo, che
la rese, come lei stessa si definì, "il cuore pensante della baracca".
I sopravvissuti del
campo hanno confermato che Etty fu fino all’ultimo una persona “luminosa”.
Al momento della sua
partenza definitiva per il campo di sterminio Etty, che presagisce la fine,
chiede ad un’amica olandese di nascondere i suoi quaderni e di farli avere ad
uno scrittore di sua conoscenza, a guerra finita.
I manoscritti, così
difficili da decifrare a causa della grafia, passano così per anni da un
editore all’altro, senza che nessuno ne intuisca l’importanza, fino a che nel
1981 giungono nelle mani dell’editore De Haan che, pubblicandoli, finalmente
riporta alla luce la storia di Etty Hillesum, permettendo così ai lettori di
tutto il mondo di conoscere la ricchezza di un’esperienza interiore che, anche
di fronte alla sofferenza estrema, sa lodare la vita e viverla con pienezza di
senso.
Scrivi le tue riflessioni su uno dei seguenti pensieri di Hetty Hillesum:
1.
Trovo bella la
vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me.
Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è
difficile, ma non è grave. Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il
resto verrà allora da sé: e "lavorare sé stessi" non è proprio una
forma di individualismo malaticcio.
2.
Una pace
futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in
sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di
qualunque razza o popolo, se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in
qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È
l'unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel
pezzetto d'eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola
come in dieci volumi. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo
proprio, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra.
Due canzoni su
Auschwitz
Auschwitz (Canzone del bambino nel
vento)Testo e musica di Francesco Guccini, 1964
[la canzone venne inizialmente cantata, con un testo in parte diverso, dall’Equipe 84 e poi venne inclusa da Guccini nel suo album Folk Beat n.1 commercializzato nel 1967]
Son morto che ero bambino
son morto con altri cento
passato per il camino
ed ora sono nel vento.
Ad Auschwitz c’era la neve
e il fumo saliva lento
nel freddo giorno d’inverno
e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz tante persone
ma un solo grande silenzio
è strano non ho imparato
a sorridere qui nel vento.
Io chiedo come può un uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.
Ma ancora tuona il cannone
ancora non è contenta
di sangue la belva umana
e ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sarà
che l’uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento mai si poserà.
Ancora tuona il cannone
ancora non è contento
saremo sempre a milioni
in polvere qui nel vento.
La nuova Auschwitz
di Claudio Chieffo
Parole e musica di Claudio Chieffo luglio 1967
a Valeria Capelli
Io suonavo il violino ad Auschwitz mentre morivano gli altri ebrei,
io suonavo il violino ad Auschwitz mentre uccidevano i fratelli miei,
mentre uccidevano i fratelli miei, mentre uccidevano i fratelli miei…
Ci dicevano di suonare, suonare forte e non fermarci mai,
per coprire l’urlo della morte, suonare forte e non fermarci mai,
suonare forte e non fermarci mai, suonare forte e non fermarci mai…
Non è possibile essere come loro,
non è possibile essere come loro…
Nel mondo nuovo che ora abbiamo creato
c’è la miseria, c’è l’odio ed il peccato,
c’è l’odio ed il peccato, c’è l’odio ed il peccato…
Ora siamo tornati ad Auschwitz dove c’è stato fatto tanto male,
ma non è morto il male nel mondo e noi tutti lo possiamo fare
e noi tutti lo possiamo fare e noi tutti lo possiamo fare…
Non è difficile essere come loro,
non è difficile essere come loro...
Ora suono il violino al mondo mentre muoiono i nuovi ebrei,
ora suono il violino al mondo mentre uccidono i fratelli miei,
mentre uccidono i fratelli miei, mentre uccidono i fratelli miei…
Il Giorno della Memoria
La ricorrenza
Il 27 gennaio 1945 i soldati dell’Armata Rossa abbattevano i cancelli di Auschwitz e liberavano i prigionieri sopravvissuti allo sterminio del campo nazista. Le truppe liberatrici, entrando nel campo di Auschwitz-Birkenau, scoprirono e svelarono al mondo intero il più atroce orrore della storia dell'umanità: la Shoah. Dalla fine degli anni ’30 al 1945 in Europa furono deportati e uccisi circa sei milioni di ebrei.
Con una legge del 20 luglio 2000, la Repubblica italiana ha istituito il Giorno della Memoria e nel primo articolo riconosce il 27 gennaio come data simbolica per "ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati".
In tutta Italia (e in molti paesi europei) vengono "organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti".
Primo Levi, il grande scrittore italiano deportato e sopravvissuto al lager di Auschwitz ha scritto che ogni qualvolta si pensa che uno straniero, o un diverso da noi è un Nemico, si pongono le premesse di una catena al cui termine c'è il Lager, il campo di sterminio.
A proposito del genocidio del popolo ebraico, ne "I sommersi e i salvati" Primo Levi ha detto: "E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire".
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