Limena che non c’è. Gli
antichi mulini galleggianti di Limena. Azioni didattiche per la ricerca su
persone e luoghi scomparsi (o dimenticati) del nostro territorio
Gli antichi mulini galleggianti
di Limena sul Brenta e sul Brentella
Attività di ricerca
storica realizzata con classi della scuola media di Limena
di Bruno Trevellin, docente
(fotogramma
dal film Il mulino del Po)
Antiche mappe di
Limena, ricordi d’infanzia, un’uscita sul territorio, alcune foto d’epoca e il
romanzo di Bacchelli
Parte prima: presentazione
dell’attività alla classe
Prima del pane, e della pizza, vengono i mulini
Da qualche anno propongo ai ragazzi delle mie classi un
lavoro di ricerca sugli antichi mulini di Limena collocati sul Brenta e sul Brentella.
Parto sempre da un mio ricordo, di quando da piccolo trascorrevo le vacanze in
campagna dai nonni materni e vedevo mio nonno Toni portare il grano o il
granoturco dal mugnaio (el munaro).
Caricava i sacchi su un carretto trainato da una vecchia cavalla e si recava al
mulino di Ponterotto. Riportava a casa le farine, per il pane, la pasta, la
polenta, o il semolino per le bestie. La pasta la faceva mia nonna: gnocchi,
tagliatelle, bigoli allora non si compravano al supermercato. Anche mia madre
da ragazza si adoperava in questo lavoro di trasporto, caricandosi sulla
bicicletta i sacchi pieni di farina.
Sono passati quasi cinquant’anni e i mulini sui corsi d’acqua
sono oggi una rarità museale, ma in giro se ne trovano ancora.
(foto scattata in via Molini a Ponterotto. In evidenza la
cabina del mulino dove mio nonno portava le sue granaglie. Sotto l’indicazione
della via e una foto del complesso visto da dietro)
Attenzione, quelli di Limena però non erano mulini in
muratura costruiti sulla riva, ma mulini galleggianti o natanti.
Le antiche mappe
sui mulini di Limena
Poi mostro loro tre antiche mappe di Limena, che uso anche
per altri lavori di ricerca sul territorio e che molti limenesi di sicuro
conoscono, perché le trovano appese come foto in municipio o perché le hanno
viste nei libri pubblicati da Renato Martinello.
La prima è del 1559 e mostra chiaramente i mulini sul
Brenta all’altezza dell’attuale Punta Speron-cascata. Il corso del Brenta era
stato sbarrato da una rosta in modo
da far correre più velocemente l’acqua e a valle si trovava il mulino o meglio:
i molini. La rosta era praticamente un
terrapieno sostenuto da una palizzata. Doveva essere un’opera imponente, ma di
grande utilità per quel mulino, di cui poco sappiamo se non della sua esistenza
proprio da questa mappa. E la rosta e i mulini erano talmente importanti per
l’economia del territorio che nel 1509 durante la guerra di Cambrai
Massimiliano d’Asburgo decise di distruggerli (Martinello, I colmelloni). Ma se sono riportati nella mappa del 1559 è evidente
che rosta e mulini vennero poi ricostruiti.
(mappa del 1559)
(particolare
della stessa)
Di sicuro ce n’erano anche altri sul tratto limenese del
Brenta. Abbiamo notizia di uno sistemato più a valle (all’altezza dell’attuale
zona artigianale) da una mappa del 1656, mulino appartenente ai canonici di
Padova. La mappa, conservata presso l’Archivio di Venezia, è stata disegnata
perché i canonici intendevano trasferire il loro mulino, andato distrutto, dal
Brenta al Brentella.
(in Galeazzo-Martinello, La
barchessa Fini)
(particolare della stessa)
La terza è
una mappa del 1722, conservata sempre presso l’Archivio di Stato di Venezia, e
mostra il mulino a due ruote (due rode)
sul Brentella appartenente ai Fini (la nobile famiglia proprietaria della villa
e delle barchesse in centro a Limena).
(in Galeazzo-Martinello, La
barchessa Fini)
Parte seconda: uscita
sul territorio
Di questi mulini a Limena non c’è traccia sul territorio, ma
ho accompagnato lo stesso i ragazzi a localizzarne i siti (scattando alcune
foto): di quello sul Brenta a Punta Speron e di quello sul Brentella in via
Matteotti. Il punto della rosta sul Brenta evidentemente ha contribuito alla
costruzione successiva delle cascate, che erano due fino agli anni ’90 e ora
una sola, dopo i lavori di sistemazione del Genio Civile di Venezia, ma con a
valle un sistema moderno di frangiflutti.
Sulla casa di via Matteotti al civico 38 è stata sistemata
una lapide marmorea con la scritta via Molino. Una più attenta considerazione
storica avrebbe conservato quel nome per la via lungo il canale Brentella, ma
per diverse e opposte motivazioni politiche venne prima intitolata a Italo
Balbo nel 1940 in onore del ministro del Ventennio e poi, nel dopoguerra,
reintitolata con quello del deputato socialista assassinato dai fascisti nel
1924.
(foto della lapide in via Matteotti, vi si legge via Molino
Limena)
(punto del Brentella in cui sorgeva il mulino dei Fini,
fotografato da via Fornace)
Parte terza: approfondimenti
in classe
Ma che mulini sono
quelli galleggianti?
Lo leggiamo nello studio di Claude Rivals, Il Mulino (in Storia e Dossier, n. 7 Giunti (1987). “Procopio, nella sua Storia della guerra gotica, racconta che
durante l’assedio di Roma nel 537 il re degli Ostrogoti aveva tagliato gli acquedotti,
togliendo così l’acqua ai mulini. Belisario e i suoi ingegneri trovarono
immediatamente la soluzione: legarono solidamente tra di loro due barche,
disposero nel mezzo una ruota da mulino, poi istallarono le mole e i
meccanismi. Il ‘mulino galleggiante’, che nasceva così dal singolare connubio
di un mulino e di un battello, fu una macchina di straordinaria longevità che è
stata vista su numerosissimi fiumi di quasi tutti i paesi d’Europa” (p. 12).
Quelli di Limena erano proprio questo tipo di mulini, quelli
inventati per Roma dal generale bizantino, come
quelli della foto sottostante, e il loro funzionamento, molto semplice, è
mostrato nei due disegni riportati.
Da:
trattoridepocapiacentini.it/2%20MULINI%20GALLEGGIANTI.pdf
Anche quelli ben più noti e
studiati di Ponte Molino a Padova erano di questo tipo. Ce n’erano ben
trentatre!
I mulini
natanti di Padova a Ponte Molino
A Padova e nel
territorio intorno si verificò un fiorire di strutture molitorie di tipo
natante sul fiume Brenta e Bacchiglione.
Le testimonianze documentarie confermano la gran diffusione di questi mulini
tra il XI e XIII secolo, ma i ritrovamenti archeologici anticipano l'utilizzo
di questo tipo di impianto già nei secoli precedenti. Nei pressi di Ponte Molino,
nella città, si verificò uno straordinario fenomeno, ovvero l'assieparsi sotto
le arcate del ponte romano di ben trentatré ruote natanti, numero confermato
già nella Visio Egidii di Giovanni da Nono nel XIV secolo. Altri molini
natanti si installarono sul Canale Alicorno, a Ponte San Nicolò e a Selvazzano.
Questi mulini costruiti su sandoni, zatteroni lignei e dotati di grande
ruota e coperti dall'arca che proteggeva i meccanismi e le macine,
sfruttavano piccoli salti d'acqua appositamente preposti con briglie
lignee e palificate e si caratterizzavano per ruote di ampia dimensione ma di
povero pescaggio rispetto alle pale degli altri fiumi padani, allargate per
sfruttare la semplice corrente fluviale. Queste strutture sopravvissero per
tutto il XIX secolo: gli storici edifici di Ponte Molino furono abbattuti nel
1884, dopo una piena del Bacchiglione. Gli ultimi esemplari furono demoliti nel
1912 su
ordine del Genio Civile che giudicava pericolose le palificate e le briglie
per lo scorrere delle acque. Pervengono oggi solo che testimonianze
fotografiche di queste gloriose strutture proto-industriali (testo da
wikipedia).
(I trentatré mulini a Ponte Molino a Padova, prima
della demolizione)
Riccardo
Bacchelli e Il mulino del Po (1957)
Non poteva mancare un riferimento al romanzo di
Riccardo Bacchelli Il mulino del Po.
Ne abbiamo letto qualche pagina, ma ancor più efficaci e belle sono state
alcune scene dal film di Sandro Bolchi del 1963. In yutube lo si trova per
intero.
(Riccardo Bacchelli)
“Il contadino ha il grano, ma lui ha le macine: finchè
dura bisogno di pane, c’è bisogno del mugnaio…e le pale gliele muove gratis il
fiume!” (Bacchelli, Il mulino del Po).
Fino a cinquant’anni fa si andava tutti al mulino.
Nota
finale dell’insegnante
Il lavoro non
ha la pretesa di essere esaustivo sull’argomento (tanto e di più è già stato
scritto sui mulini natanti), ma solo di documentare le modalità di sviluppo di
una ricerca storica a partire dal proprio territorio condotta con studenti di
undici-dodici anni.
Usando
materiale non difficile da reperire come mappe, foto d’epoca, cartoline e
indicazioni che si possono trovare online o su testi di storia, è possibile far
loro provare il piacere della ricerca a partire da ambienti noti del proprio
comune. Il materiale ovviamente lo procura il docente, ma su quel materiale poi
i ragazzi lavorano, mettono ordine, organizzano un proprio testo, un proprio
lavoro. Apprendono.
Peccato che a
Limena non solo non ci siano più i mulini, ma neanche l’indicazione della via
che li ricordi. In altre parti si incontra nella toponomastica stradale
via Mulini, via Molino, o Ponte Molino. Nel nostro caso basterebbe nella
segnaletica inserire sotto l’indicazione via Matteotti ‘già via molino’. Non
creerebbe problemi e soprattutto farebbe ritornare in vita una parte dimenticata di Limena.
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