Dal vangelo secondo Tolkien
“Dio è il
Signore, degli angeli, e degli uomini - e degli elfi”
Nuovi approcci per la
comprensione de Il signore degli anelli
Ricerche e approfondimenti per la
realizzazione di un’attività in una classe prima
di Bruno Trevellin, docente
Prima genesi dell’attività: dalla classifica
di Rai cultura
Ma quali saranno i libri più
venduti di tutti i tempi? In molti hanno provato a stilare una classifica e, se
pur con lievi spostamenti, c’è un sostanziale accordo sulle primissime
posizioni. Ho scelto quella di Rai
cultura (Il portale sulla letteratura) e l’ho mostrata alla classe.
1. La
Bibbia (3,9 miliardi di copie)
2. Il
libretto rosso di Mao (820 milioni di copie)
3. Il
Corano (600 milioni di copie)
4. Don
Chisciotte della Mancia (500 milioni di copie)
5. Dizionario
cinese (400 milioni di copie)
6. Le
due città (200 milioni di copie)
7.
Il
signore degli anelli (150 milioni di copie)
8. Il
piccolo principe (140 milioni di copie)
9.
Lo
hobbit (100 milioni di copie)
10. Il
sogno della camera rossa (100 milioni di copie)
I libri sacri sono ai primissimi
posti, ciò che riguarda la Cina pure (ci mancherebbe, sono un miliardo e mezzo
di abitanti!). Il primo libro di narrativa è il Don Chisciotte, ma è pubblicato
da più di quattrocento anni (è del 1606). Ciò che più sorprende allora è che in
questa speciale classifica Tolkien figura con ben due suoi libri che, sommati,
danno 250 milioni di copie vendute, e sono opere del ‘900 (1954-55 e 1938).
Un motivo più che valido per
leggere Il signore degli anelli in
classe! Ma leggerlo come? Alcuni ragazzi lo hanno già letto, per intero; molti
hanno visto il film. Io però volevo far cogliere loro ben altro!
Seconda
genesi dell’attività: “Dio è il Signore, degli angeli, e degli uomini - e degli
elfi”
Natura della creazione fantastica
per Tolkien
Il testo online di Andrea
Leonardo, intitolato J.R.R.Tolkien
ed il cattolicesimo, a partire dal suo epistolario. Il cristianesimo come
chiave interpretativa de Il Signore degli Anelli è
stato l’altro strumento utilizzato per una nuova comprensione dell’opera di
Tolkien e della creazione fantastica in generale. Non posso trascurare, tra
l’altro, che nella mia esperienza di insegnante ho notato che quando lascio i
ragazzi scrivere liberamente più della metà elabora proprio testi di natura fantastica.
Il testo di Leonardo è stato dunque fondamentale per me, spero lo sia stato
anche per i ragazzi (gliene ho lette solo alcune parti). Già nel suo inizio è avvincente,
là dove viene citato lo stesso Tolkien che parla della creazione fantastica:
“Dio è il Signore, degli angeli, e
degli uomini – e degli elfi... Nel regno di Dio la presenza di ciò che è più
grande non schiaccia ciò che è più piccolo. L’Uomo redento è ancora uomo. Il
Racconto, la fantasia, continuano ancora, e dovrebbero continuare. L’Evangelium
non ha abrogato le leggende; le ha santificate, specialmente nel “lieto fine”. Il cristiano deve ancora operare,
con la mente come con il corpo, deve soffrire, sperare, e morire; ma ora può
percepire che tutte le sue predisposizioni e facoltà hanno uno scopo, che può
essere redento. Così grande è stata la liberalità con cui è stato trattato che
ora egli può, forse, a ragion veduta supporre che nella Fantasia può
effettivamente assistere al germogliare e al molteplice arricchimento della
creazione”.
Con un inizio così non ho potuto fare a meno di buttarmi
totalmente nel testo, che tra l’altro mi aveva fatto conoscere mio figlio. Ho
cercato di ricavare ciò che meglio poteva essere trasmesso alla classe. Sempre
seguendo la massima che non basta leggere, ma leggere per capire, leggere e
capire (se stessi, gli altri, il mondo).
È stato impegnativo parlare di argomenti quali il potere, il
male, la grazia, l’immortalità a ragazzi di undici anni, ma in questo è venuto
in aiuto proprio Il signore degli anelli,
non certamente i trattati di teologia.
Seguendo il lavoro di
A. Leonardo
Le indicazioni che seguono sono tratte dal testo di Andrea
Leonardo, citate o parafrasate; quelle in corsivo sono di Tolkien stesso,
contenute anch’esse nel lavoro di Leonardo. Il testo, dicevo, lo si può trovare
online. Il mio lavoro è stato solo quello di impostarlo secondo un mio ordine
preferenziale, che ho usato soprattutto per me.
Vediamone dunque gli aspetti salienti. Sulla fiaba in sé innanzitutto,
che non è affatto evasione, anzi, perchè una fiaba scritta bene riporta a un
mondo più reale di quello che vediamo. Soprattutto permette di riandare alla
bontà e alla bellezza che la realtà del mondo primario (il nostro) deve
ritrovare. Nella fiaba poi trovano posto i desideri più profondi dell’uomo.
Il desiderio di parlare alle bestie
I desideri più profondi dell’uomo, ciò che egli non deve
dimenticare, trovano posto nella creazione di mondi secondari (fiabe):
Vi sono desideri più profondi, come
il desiderio di conversare con altri esseri viventi. E’ su questo desiderio,
antico quanto il Peccato Originale, che si fonda soprattutto la capacità di
parlare alle bestie e ad altre creature nelle fiabe, e soprattutto la
comprensione magica del linguaggio loro proprio. Questa ne è la radice, e non la “confusione”
attribuita alle menti degli uomini del passato non storico, una presunta
“mancanza della percezione di ciò che separa noi stessi dalle bestie”. Un vivido senso di questa separazione è
estremamente antico; ma anche la percezione che si sia trattato di una rottura:
uno strano destino e una strana colpa che ci sovrastano. Le altre creature sono
come altri regni con cui l’Uomo ha rotto le relazioni, e che vede ora
soltanto dall’esterno e da lungi, essendo in guerra con loro, o al massimo
nelle condizioni di un difficile armistizio.
Il desiderio della
vita eterna
Ed allora ecco che la fiaba, sempre, parlerà del grande
desiderio umano, che la realtà primaria può apparentemente accantonare, ma che
è, invece, stabilito saldamente nel cuore dell’uomo: il desiderio della vita
eterna:
E infine vi è il desiderio più
antico e profondo, quello della Grande Evasione, l’evasione dalla Morte. Le
fiabe procurano un gran numero di esempi e di forme diverse di questo desiderio
– che potrebbe essere chiamato il vero spirito evasivo o (direi) fuggitivo. Ma fanno lo stesso altre storie (in
particolare quelle di ispirazione scientifica), e fanno lo stesso altri studi.
Le fiabe sono realizzate da uomini e non da esseri fatati. E le storie umane
sugli elfi sono senza dubbio piene di Evasione dall’Immortalità. Non si può
pretendere che le nostre storie si elevino sempre al di sopra del nostro
livello comune. Ma lo fanno spesso. Poche
lezioni vengono impartite in esse più chiaramente del fardello di questo tipo
di immortalità, o piuttosto di una serie senza fine di vite, da cui il
“fuggitivo” vorrebbe scappare. Perché la fiaba è particolarmente adatta
a insegnare cose di questo genere, di molto tempo fa e anche di oggi.
Il lieto fine come evangelium
Il desiderio della vita eterna, di un bene che non si
esaurisce e non viene annientato, prende nella fiaba, la forma del “lieto
fine”:
La “consolazione” procurata dalle fiabe ha anche un altro aspetto oltre alla
soddisfazione fantastica di antichi desideri. Di gran lunga più importante è la
Consolazione del Lieto Fine. Mi arrischierei quasi ad affermare che ogni
fiaba compiuta dovrebbe averlo. Quantomeno direi che la Tragedia è la vera
forma del Teatro, la sua più alta funzione; ma il contrario vale per la Fiaba. Dal momento che non sembra vi sia una parola
per esprimere questo opposto – lo chiamerò Eucatastrofe. Il racconto
eucatastrofico è la vera forma della fiaba, e rappresenta la sua più elevata
funzione. La consolazione delle fiabe, la gioia del lieto fine: o, più
correttamente, della buona catastrofe,
dell’improvviso “capovolgimento” felice (perché non esiste un vero
finale per nessuna fiaba): questa gioia, che è una delle cose che la fiaba può
produrre supremamente bene, non è in essenza né “evasiva” né “fuggitiva”. Nella sua ambientazione fiabesca – od oltremondana
– è una grazia improvvisa e miracolosa: e non bisogna mai contare sul suo
ripetersi. Non nega l’esistenza della discatastrofe, del dolore e del
fallimento: la possibilità che ciò si verifichi è necessaria alla gioia della
liberazione; essa nega (a dispetto di un gran numero di prove, se si vuole) la
sconfitta finale e universale, ed è in quanto tale un evangelium, che fornisce
una visione fuggevole della Gioia, quella Gioia oltre le muraglie del mondo,
intensa come il dolore.
(…) I Vangeli contengono una fiaba (…) La Nascita
di Cristo è l’eucatastrofe della storia dell’Uomo. La Resurrezione è
l’eucatastrofe della storia dell’Incarnazione. Questa storia comincia e finisce
nella gioia. Ha in modo preminente «l’intima consistenza della realtà». Non si
è mai narrato alcun racconto che gli uomini abbiano trovato più vero di questo,
e nessuno che più uomini scettici abbiano accettato come vero per i suoi propri
meriti. Perché la sua Arte ha il tono in sommo grado convincente
dell’Arte Primaria, cioè della Creazione. Respingerlo conduce o alla tristezza, o all’ira…La gioia cristiana, la Gloria, è …
preminentemente (infinitamente, se non fossero finite le nostre capacità) alta
e gaia. Perché questa storia è suprema; ed è vera. L’arte ha avuto la sua
verifica. Dio è il Signore, degli angeli, e degli uomini – e degli elfi. La
Leggenda e la Storia si sono incontrate e fuse.
Il paradiso perduto
(la Genesi, la caduta)
L’incontro/scontro con il male, rivela come la nostalgia del
Paradiso perduto, dell’Eden, sia reale e come l’uomo, in fondo, sappia che
qualcosa di spaventoso e di innaturale è avvenuto nella creazione:
Per quanto riguarda l’Eden: penso che la maggior parte dei cristiani, tranne quelli molto semplici e incolti o quelli protetti in altro modo, siano stati incalzati per alcune generazioni da sedicenti scienziati, e abbiano finito per cacciare la Genesi in uno sgabuzzino della loro mente, come un mobile non più di moda, un po’ vergognandosi di averlo ancora per casa, sai, quando gente giovane e brillante viene a farti visita. Ma, in parte come sviluppo del mio stesso pensiero sulle mie linee e sul mio lavoro (tecnico e letterario), in parte per il contatto con C.S.Lewis, e non da ultimo in seguito alla ferma mano dell’Alma Mater Ecclesia che mi guida, io ora non mi sento né imbarazzato né dubbioso per quanto riguarda il mito dell’Eden. Non ha, naturalmente, lo stesso valore storico del Nuovo Testamento, che è praticamente un documento contemporaneo, mentre la Genesi è separata da non sappiamo quante tristi generazioni esiliate dalla Caduta, ma sicuramente c’era un Eden su questa infelicissima terra. Noi tutti ne abbiamo nostalgia, e lo intravediamo costantemente: tutta la nostra natura nella sua forma migliore e meno corrotta, più gentile e più umana, è impregnata della sensazione di “esilio”. Quanto più riusciamo ad andare indietro, tanto più la nostra mente è piena di pensieri di sibb, pace e buona volontà, e del pensiero della loro perdita. Non potremo più riaverlo, non ce lo restituirà il pentimento, perché è una spirale e non un circolo chiuso; potremo avere qualcosa di simile, ma su un piano più elevato.
Per quanto riguarda l’Eden: penso che la maggior parte dei cristiani, tranne quelli molto semplici e incolti o quelli protetti in altro modo, siano stati incalzati per alcune generazioni da sedicenti scienziati, e abbiano finito per cacciare la Genesi in uno sgabuzzino della loro mente, come un mobile non più di moda, un po’ vergognandosi di averlo ancora per casa, sai, quando gente giovane e brillante viene a farti visita. Ma, in parte come sviluppo del mio stesso pensiero sulle mie linee e sul mio lavoro (tecnico e letterario), in parte per il contatto con C.S.Lewis, e non da ultimo in seguito alla ferma mano dell’Alma Mater Ecclesia che mi guida, io ora non mi sento né imbarazzato né dubbioso per quanto riguarda il mito dell’Eden. Non ha, naturalmente, lo stesso valore storico del Nuovo Testamento, che è praticamente un documento contemporaneo, mentre la Genesi è separata da non sappiamo quante tristi generazioni esiliate dalla Caduta, ma sicuramente c’era un Eden su questa infelicissima terra. Noi tutti ne abbiamo nostalgia, e lo intravediamo costantemente: tutta la nostra natura nella sua forma migliore e meno corrotta, più gentile e più umana, è impregnata della sensazione di “esilio”. Quanto più riusciamo ad andare indietro, tanto più la nostra mente è piena di pensieri di sibb, pace e buona volontà, e del pensiero della loro perdita. Non potremo più riaverlo, non ce lo restituirà il pentimento, perché è una spirale e non un circolo chiuso; potremo avere qualcosa di simile, ma su un piano più elevato.
Il potere, la macchina come volontà di potenza, la magia
E’ a causa della caduta – che pure mai viene descritta ne Il Signore degli Anelli, perché la
storia è ambientata prima che inizi la rivelazione di Dio all’uomo, che nasce
il desiderio di vincere la morte e, con esso, il ricorso al Potere e poi alla
Magia ed alle Macchine che ne sono la conseguenza. E, se si vuole veramente affrontare il male, non basta lottare contro i suoi
derivati, ma bisogna riandare alla radice, bisogna tornare al principio,
incontrando la paura di morire e la caduta:
Comunque tutto questo... è per lo più legato alla Caduta,
alla Morte, e alla Macchina. Alla Caduta inevitabilmente, e questo motivo si
presenta in numerosi aspetti. Alla Morte, specialmente perché condiziona l’arte
e il desiderio creativo (o come dico io, sub-creativo) che non sembra avere una
funzione biologica, ma sembra anzi lontano dalle soddisfazioni della nostra
ordinaria vita biologica, con cui, nel nostro mondo, di solito c’è un
conflitto. Questo desiderio all’inizio si sposa ad un amore appassionato del
mondo reale primario, e poi si riempie del senso di morte, e ne resta tuttavia
insoddisfatto. Ha varie possibilità di caduta. Può diventare possessivo, legato
alle cose fatte a «sua immagine», il sub-creatore desidera essere Dio e Signore
della sua creazione privata. Si ribellerà contro le leggi del Creatore —
specialmente contro la morte. Queste
cose (una o tutte) porteranno a desiderare il Potere, per rendere la volontà
efficace più rapidamente, e si arriva così alla Macchina (o alla Magia). Con
quest’ultima io intendo l’uso che si fa di mezzi esterni (apparatus) invece che
lo sviluppo dei poteri interiori o talenti; o anche l’uso di questi talenti con
lo scopo corrotto di dominare: imporsi con la forza sul mondo reale o su altre
volontà. La Macchina è la forma moderna più lampante di questa volontà di
potenza, benché sia molto più simile alla Magia di quanto generalmente non si
voglia riconoscere... Il Nemico nelle
sue forme successive è sempre “per sua natura” legato al puro Dominio, e così
il Signore della magia e delle macchine; ma il problema che questo male
spaventoso può, come di solito avviene,
nascere da un’origine apparentemente buona, il desiderio di cambiare in meglio
il mondo e gli altri, velocemente e secondo i programmi del benefattore,
è un motivo ricorrente...
Il mondo monoteista di Tolkien
Il mondo de Il Signore
degli Anelli è così un mondo al cospetto di Dio, dopo la caduta, anche se
Dio stesso non viene mai nominato. Ed è un mondo monoteista, ma che non ha
ancora ricevuto la rivelazione del Cristo e, quindi, non può conoscerla:
L’unica critica che mi ha seccato è
che “non ha religione” (e “non ci sono donne”, ma questo non conta, e poi non è
neanche vero). E’ un mondo monoteista di “religione naturale”. Lo strano fatto che non ci siano
templi, chiese, o riti e cerimonie religiose, fa semplicemente parte del clima
storico descritto. Verrà spiegato a sufficienza se (come ora sembra probabile)
il Silmarillon e altre leggende della Prima e della Seconda Età saranno
pubblicate. Io sono comunque un cristiano;
ma la Terza Età non era un mondo cristiano.
Tolkien contesta così chiunque cerchi di identificare
allegoricamente la presenza di Cristo ne Il
Signore degli Anelli. Cristo verrà nel mondo, ma, al tempo del racconto,
non è ancora venuto. Nessuno dei personaggi del racconto ha la santità del
Cristo.
E poiché Dio è unico, non c’è un principio divino del male,
non c’è un sistema dualista che contempli due principi originari di pari
entità. La forza del male nasce dalla libertà degli esseri finiti e creati, ma
nessuna creatura è dall’origine cattiva in sé per volontà dell’unico Dio:
Elfi e uomini sono rappresentati
come biologicamente affini nella storia, perché gli elfi nel mio piccolo mondo
rappresentano alcuni aspetti degli uomini, e le loro doti e i loro desideri, incarnati. Hanno
possibilità e poteri che anche noi desidereremmo avere, e la bellezza e il rischio e il dolore
che si accompagnano al possesso di queste cose si leggono nella loro storia.
[...] Sauron naturalmente non era “malvagio”
in origine. Era uno “spirito” corrotto dal Primo Signore delle Tenebre (il
primo subcreatore ribelle) Morgoth. Gli venne offerta una possibilità di
pentirsi, quando Morgoth venne sconfitto, ma non poté affrontare l’umiliazione di ritrattare e di implorare il perdono;
e così il suo temporaneo sembrare buono e benevolo terminò in una ricaduta
peggiore, finché non diventò il maggior rappresentante del Male nelle epoche
successive. Ma all’inizio della Seconda Età era ancora bellissimo d’aspetto, o
meglio poteva assumere una bellissima forma visibile – e non era ancora del
tutto malvagio, così come non tutti i riformatori che vogliono affrettare la
ricostruzione e la riorganizzazione sono completamente malvagi, anche prima che
l’orgoglio e la brama di imporre la loro volontà li divori... Frodo afferma che gli orchi in origine non
erano malvagi.
Il male assoluto non esiste, genesi del tiranno e del
totalitarismo
Nella mia storia non esiste il male
assoluto. Non penso nemmeno che esista, a meno che non sia lo Zero. Non penso,
comunque, che una creatura razionale possa essere completamente malvagia.
Satana cadde. Nel mio mito Morgoth cadde prima della Creazione del mondo
fisico. Nella mia storia Sauron raffigura quanto di più vicino esista alla
totale malvagità. Ha percorso la stessa strada di tutti i tiranni: cominciando
bene, in quanto pur desiderando un ordine che rispondesse alla sua conoscenza,
dapprima considerava anche il benessere (economico) degli altri abitanti della
Terra. Ma andò più lontano dei tiranni umani per quanto riguarda l’orgoglio e
la brama di dominio, essendo in origine uno spirito immortale (angelico). Nel Signore degli Anelli il
conflitto fondamentale non riguarda la libertà, che tuttavia è compresa. Riguarda Dio, e il diritto che Lui solo ha di
ricevere onori divini. Gli Eldar e i Numenoreani credevano nell’Unico, nel vero
Dio, e consideravano un abominio la venerazione di qualunque altra persona.
Sauron desiderava essere un Dio-Re e i suoi servitori lo consideravano tale;
se avesse vinto, avrebbe preteso onori divini da tutte le altre creature
razionali e il potere temporale assoluto sul mondo intero.
La morte
La morte – la limitatezza della vita
umana – non è una punizione per la Caduta, ma un aspetto biologico (e quindi
anche spirituale, dato che corpo e spirito sono strettamente legati) della
natura dell’uomo. Il tentativo di sfuggire alla morte è sbagliato perché
innaturale, e sciocco perché la morte è il dono di Dio (che gli elfi
invidiano), una liberazione del tempo che consuma. La morte, vista come punizione, è
considerata con attitudine diversa: con paura e riluttanza. Un buon Numenoreano
invece moriva di propria spontanea volontà, quando sentiva che era tempo di
andarsene...
Gli elfi, artisti
immortali
Elfi e uomini sono solamente due
diversi aspetti dell’umanità, e rappresentano il problema della morte così come
viene vista da persone finite ma consapevoli e di buona volontà. In questo mondo mitologico elfi e
uomini sono affini nelle loro forme incarnate, ma nel rapporto dei loro spiriti
con il mondo rappresentano esperimenti diversi, ognuno dei quali ha il suo
naturale sviluppo e le sue debolezze. Gli
elfi rappresentano l’aspetto artistico, estetico e puramente scientifico della
natura umana ad un livello più elevato di quanto non si possa in realtà trovare
negli uomini. Cioè: hanno un amore infinito nei confronti del mondo fisico, e
il desiderio di osservarlo e di capirlo per la propria e l’altrui salvezza — in
quanto realtà derivata da Dio così come loro stessi derivano da Lui — e non
come materiale che può essere utilizzato per acquistare potere. Essi
possiedono anche elevate capacità artistiche o «subcreative». Sono inoltre immortali. Non «per l’eternità»,
ma all’interno del mondo creato, finché questo dura. Se uccisi, perché
la loro forma incarnata viene ferita o distrutta, non sfuggono al tempo, ma
rimangono nel mondo, benché disincarnati, oppure rinascono. Tutto questo finisce per diventare un grave
fardello man mano che le epoche si allungano, specialmente in un mondo in cui
esistono malizia e distruzione (non ho parlato della forma mitologica
che il Male o la Caduta degli Angeli prendono in questa storia). Il cambiamento in quanto tale non viene
rappresentato come male: costituisce lo sviluppo della storia e rifiutarlo va,
naturalmente, contro il disegno di Dio. Ma la debolezza degli elfi è quella di
rimpiangere il passato e di accettare malvolentieri i cambiamenti: come
se un uomo dovesse odiare un libro molto lungo, e desiderasse fermarsi sul suo
capitolo preferito. Per questo caddero in parte preda degli inganni di Sauron:
desideravano del potere sulle cose come stavano (che è tutt’altra cosa rispetto
all’arte) perché il loro desiderio di conservare diventasse realtà: per fermare
il cambiamento, e mantenere tutte le cose sempre fresche e belle. I Tre Anelli
non vennero rovinati, perché questi oggetti erano buoni, sia pure
limitatamente, garantivano la guarigione dai danni prodotti dal male, così come
arrestavano il cambiamento; e gli elfi non desideravano dominare gli altri, e
nemmeno piegare il mondo ai loro desideri. Ma con la caduta del potere i loro
deboli sforzi di preservare il passato fallirono. Non c’era più niente per loro nella Terra-di-Mezzo, se non stanchezza.
Morte e immortalità, nucleo centrale dell’opera
Se la vita degli hobbit al cospetto di Dio e del senso della
vita è il cuore dell’opera ecco che – affermazione straordinaria – il tema de Il Signore degli Anelli non è il potere
e la lotta contro di esso, ma il desiderio di eternità, essenziale in ogni
cuore:
Penso che nemmeno il potere, o il dominio, sia il vero
nocciolo della mia storia. Fornisce il pretesto per una guerra, ed è qualcosa
di sufficientemente scuro e minaccioso da sembrare, all’epoca, di somma
importanza, ma è per lo più una cornice
che permette ai personaggi di mostrarsi per quello che sono. Il tema centrale
per me riguarda qualcosa di molto più eterno e difficile: morte e immortalità:
il mistero dell’amore per il mondo in una razza destinata a lasciarlo e
apparentemente a perderlo; l’angoscia nei
cuori di una razza destinata a non lasciarlo, finché il suo intero ciclo
nato dal male non sia completo.
Il Signore degli Anelli indirizza ad una concezione di
immortalità che non sia mera sopravvivenza, ma che si caratterizzi, proprio per
un peculiare incontro con Dio come donatore e dono:
Solo leggendo il libro (con un atteggiamento critico), sono
diventato consapevole della predominanza del tema della morte. (Non che ci sia
qualche messaggio originale in questo tema: gran parte delle opere artistiche e
del pensiero degli uomini è influenzato da questo problema). Ma di sicuro la
morte non è un Nemico! Io ho detto, o
intendevo dire, che il “messaggio” riguardava il terribile pericolo di
confondere la vera immortalità con la longevità senza limite. La libertà dal tempo e l’aggrapparsi al
tempo. La confusione è opera del Nemico, e una delle cause principali del
disastro umano... Gli elfi definiscono la morte il dono di Dio (agli
uomini). La loro tentazione è diversa: una pigra malinconia, appesantita dalla
memoria, che li conduce a tentare di fermare il tempo.
…Il racconto riguarda
principalmente la morte, e l’immortalità; e le scappatoie: la longevità e la
memoria.
Il problema del male
Giungiamo ora al punto culminante della riflessione di
Tolkien sulla sua stessa creazione letteraria – e così della nostra ricerca sul
suo pensiero. Il male, pur nato semplicemente dalla libertà dei diversi
personaggi e, in particolare di Sauron, si oggettivizza come realtà potente e
tendente ad assimilare tutto a sé. Non è facile, per lo stesso Tolkien,
spiegare come sia possibile opporsi alla forza dilagante del male. Non nel
senso che questa lotta conduca alla disperazione ed alla inattività passiva,
generata dalla paura e dalla certezza dalla sconfitta, ma piuttosto perché
questa opposizione non può essere compresa che come “grazia”:
Come era stato possibile sconfiggere Sauron se questi aveva
l’Unico Anello? A questa domanda, e alle sue implicazioni, risponde La Caduta
di Numenor, che non è ancora pubblicata, ma che per il momento non posso far
uscire. Non si può pretendere troppo dall’Unico Anello, perché naturalmente è
solo un elemento mitico, anche se il mondo descritto nel racconto è concepito
in termini più o meno storici. L’Anello di Sauron è solo uno dei vari
espedienti mitici, per concentrare la vita o il potere in qualche oggetto,
suscettibile quindi di venire preso o distrutto con risultati disastrosi per
chi gli ha trasferito il suo potere. Se
dovessi spiegare filosoficamente questo mito, o quanto meno l’Anello di Sauron,
direi che si tratta di un espediente mitologico per rappresentare una verità:
che la potenza (o forse meglio la potenzialità) per essere esercitata e per
produrre risultati deve essere esteriorizzata e in questo modo esce (in
maggiore o minor grado) dal diretto controllo della persona. Un uomo che
desidera esercitare il «potere» deve avere dei soggetti, su cui esercitarlo,
diversi da se stesso. Ma poi dipende da loro.
La Grazia
Molto di più, la grazia è vero agente ne Il Signore degli Anelli, sebbene, volutamente, Tolkien abbia omesso
e tagliato ogni riferimento diretto alla fede cristiana:
Il Signore degli Anelli è
fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica; all’inizio non ne ero
consapevole, lo sono diventato durante la correzione. Questo spiega perché non
ho inserito, anzi ho tagliato, praticamente qualsiasi allusione a cose tipo la
“religione”, oppure culti o pratiche, nel mio mondo immaginario. Perché
l’elemento religioso è radicato nella storia e nel simbolismo. Tuttavia detto così suona molto
grossolano e più presuntuoso di quanto non sia in realtà. Perché a dir la
verità, io consciamente ho programmato molto poco.
La grazia si manifesta nella immotivata misericordia di Frodo
verso Gollum. Questo evento di bontà – quando tutto richiederebbe, invece, una
soluzione violenta contro di lui – rivelerà la sua decisività quando Frodo
stesso non sarà in grado di portare a compimento la sua missione ed essa
giungerà a buon termine, proprio perché Gollum è ancora vivo e, cercando di
impadronirsi dell’anello strappandolo a Frodo, di fatto lo farò precipitare là
dove era stato forgiato:
Gollum per me è solo un “personaggio” – una figura immaginata
– che garantiva che la situazione si sarebbe svolta in un certo modo sotto
diverse sollecitazioni, com’era probabile che avrebbe fatto (c’è sempre un elemento difficilmente
calcolabile in ogni individuo reale o immaginario: altrimenti lui/lei non
sarebbe un individuo ma un «tipo»)... La scena finale della Ricerca ha
quella forma semplicemente perché avendo considerato la situazione, e i
caratteri di Frodo, Sam, e Gollum, quegli
avvenimenti mi sembravano credibili da un punto di vista meccanico, morale e
psicologico. Ma, naturalmente, se desidera una riflessione più profonda,
dirò che all’interno del tipo di storia, la «catastrofe » esemplifica (per un
aspetto) le parole familiari: «Perdona i nostri nemici come noi perdoniamo chi
ci ha offeso. Non indurci in tentazione, ma liberaci dal male». «Non indurci in tentazione ecc.» è la richiesta più dura e meno spesso
considerata. L’idea, all’interno della mia storia, è che nonostante ogni
avvenimento e ogni situazione abbiano (almeno) due aspetti: la storia e lo
sviluppo dell’individuo (è qualcosa da cui possiamo ricavare del bene, del bene
definitivo, per lui stesso, o non riuscirci), e la storia del mondo (che
dipende dalle sue azioni per il suo stesso bene) — ci sono tuttavia situazioni
anormali in cui uno può trovarsi. Situazioni
«sacrificali» le chiamerei: cioè posizioni in cui il «bene» del mondo dipende
dal comportamento di un individuo in circostanze che gli richiedono sofferenza
e sopportazione oltre la norma — inoltre, può succedere (o sembra, dal
punto di vista umano) che richiedano
una forza fisica e morale che lui non ha: in un certo senso lui è votato al
fallimento, condannato a cadere in tentazione oppure a cedere alla pressione
contro la sua «volontà»: questo va contro ogni scelta che lui potrebbe
fare o avrebbe fatto se libero, non sotto costrizione.
Gollum era degno di compassione, ma ha perseverato fino alla
fine nella malvagità, e il fatto che questa si sia trasformata in bene, non è
certo merito suo. Il suo meraviglioso coraggio e la sua sopportazione, grandi
come quelli di Frodo e di Sam se non più grandi, di creatura votata al male,
erano portentosi, ma non certo onorevoli. Temo che, qualunque siano le nostre convinzioni, dobbiamo affrontare il dato di fatto che
esistono persone che cedono alla tentazione, respingono le possibilità di
salvarsi o redimersi, e appaiono quindi «condannabili».
Proprio il “fallimento” di Frodo, diventa allora lo snodo
decisivo de Il Signore degli Anelli.
Egli non può, da solo, portare a termine la missione:
Pochi …hanno osservato o commentato
il “fallimento” di Frodo. E’ un punto molto importante. Dal punto di vista del
narratore della storia gli avvenimenti sul Monte Fato nascono semplicemente
dalla logica del racconto fino a quel punto. Non erano stati deliberatamente
elaborati né previsti finché non sono accaduti. Ma innanzitutto, era diventato
chiaro che Frodo dopo tutto quello che era successo sarebbe stato incapace di
distruggere volontariamente l’Anello. Riflettendo sulla soluzione dopo averla scritta, penso che
sia centrale nell’ambito dell’intera teoria della vera nobiltà e del vero
eroismo che il libro illustra.
Altre due
considerazioni di Tolkien
Prima considerazione: la
fantasia non è contro la ragione
“La Fantasia è una naturale attività umana.
Certo, essa non distrugge e neppure offende la Ragione, e non smussa neanche l’appetito per
- né oscura la sua percezione della - verità scientifica. Al contrario. Quanto
più la ragione è acuta e chiara, tanto meglio opererà la Fantasia. Se gli
uomini si trovassero in uno stato nel quale non volessero conoscere, o non
potessero percepire la verità (i fatti o le testimonianze), allora la Fantasia
languirebbe sintantochè essi non fossero guariti. E se mai giungeranno ad uno
stadio di questo genere (il che non sembra del tutto impossibile) la Fantasia
perirà, e diverrà Illusione Morbosa. Perché la
Fantasia si fonda sulla dura consapevolezza che le cose sono proprio così nel
mondo, quale esso appare alla luce del sole; sul riconoscimento di un dato di
fatto, ma non sul divenirne schiavi”.
Seconda considerazione:
le fiabe non sono per i bambini
Su questo Tolkien è categorico.
“In realtà l’associazione tra
bambini e fiabe è un accidente della nostra storia domestica. Le fiabe nel
mondo letterario moderno sono state relegate alle stanze dei bambini, così come
il mobilio logoro o non più di moda viene relegato nella stanza dei giochi,
innanzitutto perché gli adulti non lo vogliono più, e non importa se viene
usato in modo improprio. Non è una scelta dei bambini che lo decide. I bambini come classe – e non lo
sono, eccetto che per una comune mancanza di esperienza – non amano le fiabe
più degli adulti, né le comprendono meglio di loro; e comunque non le amano più
di quanto amino altre cose. Sono giovani e stanno crescendo, e normalmente
hanno un sano appetito, cosicché le fiabe, di regola, vengono digerite
abbastanza bene. Ma in realtà solo
alcuni bambini, e alcuni adulti, hanno un gusto particolare per esse; e quando
ce l’hanno non è esclusivo, e neppure necessariamente predominante. E’ inoltre
un gusto, penso, che non si manifesterebbe nella prima infanzia senza stimoli
artificiali; e che certamente, se è innato, non diminuisce ma aumenta con l’età.
E’ vero che in tempi recenti le fiabe sono state abitualmente scritte o
“adattate” per i bambini. Ma si potrebbe fare la stessa cosa con la musica, la
poesia, i romanzi, la storia, o i manuali scientifici. E’ un procedimento
pericoloso, anche quando è necessario. Si salva dal disastro certamente
soltanto per il fatto che le arti e le scienze non sono materie relegate in
blocco alla stanza dei bambini; all’asilo e a scuola vengono impartiti soltanto
assaggi e cenni sulle cose degli adulti, nella misura in cui sembra adatta ai
bambini secondo l’opinione (spesso erronea) degli adulti. Ciascuna di queste
materie, se lasciata nel suo complesso incustodita nella stanza dei bambini,
verrebbe gravemente danneggiata. Lo stesso accadrebbe a un bel tavolo, a un
buon quadro, a uno strumento utile (come un microscopio); verrebbero smontati o
rotti, se fossero lasciati senza precauzioni in un’aula scolastica. Le fiabe, bandite a questo modo, tagliate
fuori dall’ambito di un’arte pienamente adulta, finirebbero per rovinarsi; e
invero, già per il fatto stesso di essere state bandite, sono cadute in rovina”.
Un’indagine parallela sull’origine delle fiabe
L’origine sensuale, violenta, complessa delle
fiabe e il disastro di Disney
Nel suo saggio Su Tolkien e le fiabe Terri Windling ci ricorda
che per Tolkien le fiabe sono “vicende in cui si narra del
mondo fatato... E’ un reame che contiene molte altre cose accanto a elfi e
fate, oltre a gnomi, streghe, trolls, giganti e draghi: racchiude i mari, il
sole, la luna, il cielo, e la terra e tutte le cose che sono in essa, alberi e
uccelli, acque e sassi, pane e vino, e noi stessi, uomini mortali, quando siamo
vittime di un incantesimo…Egli paragona le fiabe ad un calderone pieno di
minestra nel quale mitologia, storiografia, romance, agiografia, racconti
popolari e creazioni letterarie sono state gettate assieme e quindi lasciate
ribollire nei secoli. Ogni narratore attinge a questa pietanza quando scrive o
racconta storie fantastiche —le migliori delle quali finiscono per riversarsi
in questa risorsa collettiva.
Shakespeare ha contribuito alla minestra con La Tempesta e con Sogno di
Una Notte di Mezza Estate, così come Chaucer, Mallory, Spenser, Pope,
Milton, Blake, Keats, Yeats, e altri numerosi scrittori le cui opere non sono
mai state destinate ai bambini.
Fu solo nel diciannovesimo secolo che letteratura e arte fantastica furono
confinate all’infanzia —ironicamente, poiché ciò avvenne in un momento in cui
l’interesse del pubblico adulto per queste arti non avrebbe potuto essere
maggiore. Prima di allora, i racconti epici ed i miti antichi occupavano un
posto centrale nella letteratura, mentre i loro cugini, i racconti popolari e le
fiabe, venivano raccontati indifferentemente a giovani ed anziani. Quando
passarono dalla tradizione orale alla letteratura, le fiabe lo fecero in
qualità di storie per adulti. In occidente i primi racconti stampati di cui si
abbia notizia provengono dall’Italia del sedicesimo secolo: Le Piacevoli Notti di
Giovan Francesco Straparola e Il Pentamerone di Giambattista Basile. Entrambi i
volumi erano lavori sofisticati, destinati ad un pubblico colto e adulto; le
storie che contenevano erano sensuali, violente, complesse.
Nelle più antiche versioni de La
Bella Addormentata, ad esempio, la principessa non viene risvegliata da un
casto bacio ma dai gemelli da lei partoriti dopo che il principe è giunto, ha
fornicato col suo corpo addormentato e se ne è andato. Nelle versioni più
vecchie di Biancaneve, un principe
che capita davanti al feretro si appropria del cadavere della ragazza e si
rinchiude con esso celandosi al mondo; la madre, che protesta per il cattivo
odore che il corpo emana, si sente molto sollevata quando finalmente la giovane
nubile resuscita. Cenerentola non è
seduta nella cenere, piangente, mentre uccellini parlanti le volano attorno; in
realtà è una ragazza sveglia, arrabbiata e fiera che cerca di riscattarsi. Nel
diciassettesimo secolo, le fiabe vennero riprese dall’avanguardia Francese,
soprattutto dalle autrici, rifiutate dall’Accademia di Francia. Scrittrici
parigine arricchirono vecchi racconti popolari con frizzi e lazzi, usando le
fiabe per criticare velatamente l’aristocrazia (questa forma d’arte era così
famosa che quando finalmente si creò una raccolta di questi racconti francesi,
vennero riempiti ben quarantuno volumi dell’opera chiamata Les Cabinet de
fées). Nel tardo diciottesimo e nel primo diciannovesimo secolo, i romantici
tedeschi (Goethe, Tieck, Novalis, de la Motte Fouqué, ecc.) crearono opere
ricche di temi mistici ispirati dai miti e dalle fiabe, mentre i loro
connazionali, i fratelli Grimm, lavoravano al loro famoso e influente volume di
racconti popolari tedeschi. Le opere dei romantici tedeschi furono molto
popolari in Inghilterra nel diciannovesimo secolo, e la prima traduzione
inglese della raccolta dei Grimm (del 1832) accese la fiamma dell’interesse
vittoriano su tutto ciò che era magico e fatato.
L’Inghilterra vittoriana fu invasa dalle fate. Danzavano sui palchi durante
i balletti, si esibivano in elaborate produzioni teatrali, si adunavano in enormi
dipinti esibiti alle mostre della Royal Academy. Il grande interesse del
pubblico per le fate era in gran parte una conseguenza della rivoluzione
industriale e dello scombussolamento sociale causato da questa nuova economia.
Mano a mano che vasti tratti della campagna inglese scomparivano per sempre
sotto malta e mattoni, le fate si rivestivano sempre più di un’aurea di nostalgia
per uno stile di vita che andava scomparendo. Proprio quando l’interesse per il
folklore fiabesco raggiunse il suo picco, avvenne una cosa singolare: si
cominciò a spostare le fiabe dal salotto buono alla camera dei bambini.
Due furono le cause principali dell’improvvisa produzione di libri
fiabeschi dedicati ai bambini. Prima di tutto, i vittoriani idealizzavano
l’idea stessa dell’infanzia, ad un livello mai conosciuto prima —in precedenza
l’infanzia non era stata mai vista come qualcosa di così separato e distinto
dalla vita adulta (la nozione odierna dell’infanzia come periodo dedicato al
gioco e all’esplorazione ha le sue radici proprio in questi ideali vittoriani,
anche se nel diciannovesimo secolo questo era vero solo per le classi più
agiate. I bambini delle classi operaie lavoravano ancora ore e ore nei campi e
nelle fabbriche, come Charles Dickens ha raccontato nei suoi romanzi —e come
lui stesso ha provato sulla sua pelle). La seconda causa fu la nascita di una
nuova classe borghese che allo stesso tempo era colta e benestante. C’era
denaro da fare sfruttando l’infatuazione vittoriana per l’infanzia; gli editori
avevano trovato un mercato e avevano bisogno di prodotto con cui riempirlo.
Materiale a buon prezzo era facilmente disponibile saccheggiando le fiabe di
altri paesi, semplificandole per i giovani lettori, e modificandole
ulteriormente per adattarle ai rigidi canoni del periodo —trasformare giovani
eroine in passive, modeste, sottomesse ragazze vittoriane, e gli eroi in
ragazzi virtuosi, ricompensati per le loro virtù cristiane. Nella sua lezione
su Andrew Lang (dedicata quindi ad uno di questi editori vittoriani, anche se
certamente non al peggiore), Tolkien denigrò questa epurazione dell’antica
tradizione fiabesca. "Le fiabe, in tal modo bandite, tagliate fuori da
un’arte pienamente adulta, finirebbero per guastarsi; e in effetti, nella
misura in cui bandite sono state, si sono anche guastate." Tolkien sarebbe
stato ancora più deluso, se solo avesse saputo che il peggio doveva ancora
venire. In seguito infatti Walt Disney avrebbe fatto più danni di quelli
causati da tutti gli editori vittoriani messi assieme.
Solo l’anno prima Disney aveva pubblicato Biancaneve, il suo primo
lungometraggio a cartoni —introducendo modifiche radicali a questo racconto di
una relazione velenosa tra madre e figlia. Disney espanse il ruolo del
principe, rendendo questo giovanotto dalla mascella squadrata fondamentale per
lo svolgimento della trama; trasformò i nani in creature adorabilmente comiche
(e perfettamente asessuate). Nella sua versione cantata, danzata e
fischiettata, solo la regina mantiene una parte del suo potere originale. E’
una figura genuinamente spaventosa, molto più convincente della sorridente
Biancaneve disneyana —che viene introdotta come una Cenerentola vestita di
stracci, oppressa e al contempo audace. Tutto questo dà alla versione disneyana
del racconto un peculiare sapore americano, e ciò implica che stiamo guardando
una tipica storia alla Horatio Alger, "dalle stalle alle stelle"
(mentre in effetti si tratta di "dalle stelle alle stalle, e di nuovo alle
stelle"). Anche se il film fu un trionfo commerciale, amato da generazioni
di bambini, in tutti questi anni i critici hanno contestato le generalizzazioni
che la Walt Disney Studios ha apportato e continua ad apportare ogni volta che
riproduce delle favole. Lo stesso Walt rispose così alle critiche: "Semplice
mente, ai nostri giorni la gente non vuole ascoltare le fiabe nella versione
originale. Queste infatti erano troppo violente. In ogni caso, alla fine, si
ricorderanno la storia nel modo in cui noi la filmiamo." Sfortunatamente
il tempo gli ha dato ragione. Attraverso film, libri, giocattoli e oggettistica
varia famosa in tutto mondo Disney, e non Tolkien, è il nome che oggi più di
tutti viene associato alle fiabe.
Disney e i suoi emuli hanno una grande responsabilità circa le nostre idee
moderne sulla adeguatezza delle fiabe alla prima infanzia. E non a tutta
l’infanzia, come Tolkien sostiene con accanimento nel suo "Sulle
Fiabe." I bambini, egli dice, non possono essere considerati una singola
classe di esseri umani, con gusti simili. Alcuni bambini, come alcuni adulti,
nascono dotati di un appetito naturale per la meraviglia, mentre altri bimbi,
anche quelli cresciuti assieme ai primi, semplicemente non ne sono dotati.
Normalmente quelli di noi che nascono con questo appetito trovano che questo
non diminuisce con l’età, a meno che la società non ci insegni a reprimerlo e a
sublimarlo. Tolkien, naturalmente, era il tipo di bambino affamato di avventure
magiche e meravigliose. "Desideravo draghi, con tutto il mio cuore,"
ci dice eloquentemente. La maggior parte dei lettori di Tolkien, immagino,
hanno provato lo stesso sentimento. Io certamente, e non solo, allo stesso
tempo desideravo molte altre cose; la musica ebbe un ruolo ben più determinante
che non i libri, nei miei primi anni”.
Il testo riportato non è parafrasato, è interamente di Terri Windling.
Sull’origine delle fiabe se ne possono trovare molti altri, sempre online.
Il lavoro in classe
Partiamo dal film
Gli uomini “più di qualunque cosa desiderano il potere”, si
sente dire dalla voce fuori campo nel film di Peter Jackson. Come non partire
dal film, da questa inquietudine iniziale! In parecchi l’hanno già visto, l’argomento
è noto e comunque in classe ne vedremo solo alcuni spezzoni (porterebbe via
troppo tempo), quelli che più interessano il tipo di lettura proposta.
Prologo - tratto dal film di Peter Jackson La Compagnia dell’Anello
“Tutto ebbe inizio con la forgiatura dei grandi
anelli: tre
furono dati agli Elfi, gli esseri immortali, più saggi e leali di
tutti; sette
ai re dei Nani, grandi minatori e costruttori di città nelle
montagne; e nove, nove anelli furono dati alla razza degli Uomini, che più di qualunque cosa
desiderano il potere. Poiché in questi anelli erano
sigillati la forza e la volontà di comandare tutte le razze. Ma tutti loro furono
ingannati, perché venne creato un altro anello: nella terra di Mordor, tra le
fiamme del Monte Fato, Sauron l’Oscuro Signore forgiò in segreto
l’anello sovrano per controllare tutti gli altri, e in questo anello riversò
tutta la sua crudeltà, la sua malvagità, e la sua volontà di dominare ogni
forma di vita: “un anello per domarli tutti”. Uno ad uno i
paesi liberi della Terra di Mezzo caddero sotto il potere dell’Anello, ma
alcuni opposero resistenza. Un’ultima alleanza di Uomini ed Elfi marciò contro le armate di
Mordor, e sui pendii del Monte Fato, combatté per la libertà della
Terra di Mezzo. La vittoria era vicina, ma il potere
dell’Anello non poteva essere sopraffatto: la potenza di Sauron era
infinita”.
Abbiamo già scoperto che il tema centrale però
non è il potere, ma “qualcosa di molto più eterno e difficile: morte e
immortalità” (Tolkien).
Attività di lettura e
di scrittura
Lettura da parte del docente usando la LIM
Non è possibile leggere il libro in classe. Ne ho letto io
alcune pagine, dopo aver scaricato il testo usando la LIM, spiegandole e
collegandole con la vicenda nel suo complesso. I ragazzi seguivano sulla
lavagna, ascoltavano e potevano fare domande liberamente oppure sollecitati
dall’insegnante.
Lettura da fotocopie
Altre volte ho consegnato delle fotocopie sulle pagine
proposte in modo che potessero avere ciascuno il testo sottomano. Leggevo
comunque io, spiegando il testo e facendo come per l’attività di lettura con la
LIM.
In entrambi i casi c’era attenzione, anche perché li invitavo
a fare confronti con il punto così come proposto dal film.
Attività di scrittura
Completare con sintesi la storia a partire dal testo. Presentare un
personaggio
L’attività di scrittura proposta a fine percorso non è stata
di quelle pesanti. In un caso ho proposto di completare la vicenda come estrema
sintesi a partire da una fotocopia (dire cioè riassumendo cosa succedeva dopo).
Nel secondo caso si è trattato di descrivere un personaggio
tra quelli che avevamo maggiormente approfondito.
I risultati sono stati significativi. Tutti i ragazzi sono
riusciti a produrre i testi secondo le modalità indicate, testi ampi e ben
fatti.
Spezzoni dal film
Li avrei fatti felici se avessi fatto vedere l’intero film,
non chiedevano altro. Ma avrebbe portato via troppo tempo. Ho scelto di vederne
solo alcune parti: l’inizio con la festa nella contea, alcuni pericoli
affrontati dalla compagnia lungo cammino, alcune scene della battaglia finale,
la caduta di Gollum.
Approfondimenti
Chi sono mai questi
hobbit?
Abbiamo cercato informazioni sui
protagonisti della saga, sugli hobbit innanzitutto. Su di loro abbiamo
ascoltato lo stesso autore, Tolkien, prendendo sempre dal saggio di Leonardo.
“Verso la metà della III Età
appaiono gli hobbit. La loro origine è
sconosciuta (persino a loro stessi) perché sono sempre sfuggiti all’attenzione
dei più grandi, o alla gente civilizzata con le sue registrazioni, e
nemmeno loro ne tenevano, tranne vaghe tradizioni orali, finché non sono
emigrati dai confini di Mirkwood.... Gli
hobbit, naturalmente, sono una branca della razza umana (non degli elfi
o dei nani) – per cui le due varietà, hobbit e uomini, possono vivere
pacificamente insieme (come a Bree) e sono chiamati il Grande Popolo ed il
Piccolo Popolo. Sono completamente privi di poteri sovrumani, ma sono
rappresentati come più vicini alla natura (alla terra e alle altre cose
viventi, piante e animali) e, straordinariamente
dal punto di vista umano, privi di ambizione o di brama di ricchezza. Sono
stati rappresentati come piccoli (alti poco più della metà della normale
statura umana, ma man mano che gli anni passano si rimpiccioliscono) in parte
per sottolineare la piccineria del provinciale terra terra, benché senza la meschinità
o la crudeltà di Swift, ma soprattutto
per far risaltare, in creature di così piccola forza fisica, l’eroismo
sorprendente e inaspettato che ogni uomo dimostra quando messo alle strette…
Tolkien rivendica anche qui la
passione per la lingua, all’origine della sua creazione. Ma quei nomi, quelle
parole, esprimono la passione per la vita:
Alla base c’è l’invenzione dei
linguaggi. Le “storie” furono create
per fornire un mondo ai linguaggi e non il contrario. Per me, prima viene il
nome e poi la storia... Una volta scribacchiai “hobbit” su un foglio bianco di
qualche noiosa composizione scritta agli inizi degli anni Trenta. Passò qualche
tempo prima che scoprissi a che cosa si riferiva!...
Il punto di vista degli hobbit è
quello che viene proposto al lettore. E questo punto di vista è
antropocentrico:
Ma così come i primi racconti erano visti attraverso gli occhi degli elfi, quest’ultima grande storia, che dal mito e dalla leggenda scende alla terra, è vista soprattutto attraverso gli occhi degli hobbit: in questo modo, in effetti, diventa antropocentrica. Ma attraverso gli hobbit, e non gli uomini, perché l’ultima storia deve chiarire del tutto un tema ricorrente: il posto che nelle “politiche mondiali” occupano gli atti di volontà imprevisti e imprevedibili, e le buone azioni di chi apparentemente è piccolo, poco eroico e dimenticato invece dai saggi e dai grandi (sia buoni che malvagi). La morale conclusiva (dopo il primo simbolismo dell’Anello, cioè il desiderio di potere che cerca di diventare oggettivo attraverso una forza e un meccanismo fisici e inevitabilmente anche attraverso le menzogne) è ovvia: senza l’alto e il nobile il semplice e il volgare è estinato a rimanere tale; e senza il semplice e volgare il nobile e l’eroico non hanno senso.
Ma così come i primi racconti erano visti attraverso gli occhi degli elfi, quest’ultima grande storia, che dal mito e dalla leggenda scende alla terra, è vista soprattutto attraverso gli occhi degli hobbit: in questo modo, in effetti, diventa antropocentrica. Ma attraverso gli hobbit, e non gli uomini, perché l’ultima storia deve chiarire del tutto un tema ricorrente: il posto che nelle “politiche mondiali” occupano gli atti di volontà imprevisti e imprevedibili, e le buone azioni di chi apparentemente è piccolo, poco eroico e dimenticato invece dai saggi e dai grandi (sia buoni che malvagi). La morale conclusiva (dopo il primo simbolismo dell’Anello, cioè il desiderio di potere che cerca di diventare oggettivo attraverso una forza e un meccanismo fisici e inevitabilmente anche attraverso le menzogne) è ovvia: senza l’alto e il nobile il semplice e il volgare è estinato a rimanere tale; e senza il semplice e volgare il nobile e l’eroico non hanno senso.
L’angolo di visuale degli hobbit
è così simile a quello dell’uomo, di ogni uomo, che così Tolkien può scrivere
al figlio:
Bé, eccoti qua: uno hobbit in
mezzo allo Urukhai. Conserva nel cuore la tua hobbitudine, e pensa che tutte le storie sono così quando ci sei in
mezzo. Tu sei dentro una storia molto grande!
Gandalf, il vecchio
saggio delle Dolomiti!
(Testo tratto da wikipedia)
Nella sua
biografia su Tolkien, Humphrey Carpenter descrive un dettaglio importantissimo riguardo a un
viaggio dell'autore in Svizzera nell'estate del 1911
nel quale avrebbe preso l'ispirazione del personaggio dopo aver acquistato una
cartolina intitolata Der Berggeist:
Nella sua biografia su Tolkien, Humphrey Carpenter descrive
un dettaglio importantissimo riguardo a un viaggio dell'autore in Svizzera nell'estate del 1911 nel quale avrebbe preso l'ispirazione del
personaggio dopo aver acquistato una cartolina intitolata Der Berggeist:
« Prima di tornare in Inghilterra, Tolkien acquistò alcune cartoline illustrate, tra
cui la riproduzione di un quadro di un artista tedesco, Josef Madlener. Il suo
titolo è Der Berggeist (Lo spirito della montagna) e raffigura un
vecchio con una lunga barba bianca seduto su una roccia sotto un pino, con
indosso un cappello rotondo a tesa larga e un lungo mantello. [...] Tolkien
conservò questa cartolina con ogni cura, e molto tempo dopo scrisse, sul
frontespizio della cartellina in cui la conservava, "Ispirazione di
Gandalf" »
Il dipinto
originale è stato poi aggiudicato presso Sotheby's a Londra il
12 luglio 2005
per £ 84.000. Madlener aveva ceduto il dipinto al proprietario precedente negli
anni quaranta,
affermando che le montagne sullo sfondo erano le Torri del Vajolet,
sulle Dolomiti.
Per quanto
riguarda l'origine del nome, "Gandalf" appare in un romanzo fantasy
di William Morris del 1892, La fonte ai confini del mondo.
Il libro di Morris descrive un "viaggio magico" che coinvolge elfi,
nani e umani in un'ambientazione pseudo-medievale
che sono conosciute per aver ispirato profondamente Tolkien.
In una lettera
del 1946, Tolkien afferma di aver concepito Gandalf come un "Vagabondo
odinico". Altri autori hanno paragonato Gandalf al dio nordico Odino
nella sua forma di Vagabondo, un vecchio uomo con un occhio solo, una lunga
barba bianca, un ampio cappello bianco stropicciato, e un bastone. Secondo
altri critici, Gandalf presenta alcune somiglianze con mago Merlino,
personaggio centrale delle leggende arturiane.
La terra di mezzo
La terra di mezzo non è immaginaria, è questa nostra terra. È
lo stesso Tolkien a dircelo:
“Io ho la mentalità dello
storico. La Terra-di-mezzo non è un
mondo immaginario. Il nome è la forma moderna (apparsa nel XIII secolo e ancora
in uso) di midden-erd/middel-erd, l’antico nome di oikoumene, il posto degli
uomini, il mondo reale, usato proprio in contrasto con il mondo immaginario
(come il paese delle fate) o come mondi invisibili (come il paradiso o
l’inferno). Il teatro della mia storia
è su questa terra, quella su cui noi ora viviamo, solo il periodo storico è
immaginario. Ci sono tutte le caratteristiche del nostro mondo (almeno
per gli abitanti dell’Europa nord-occidentale) così naturalmente sembra
familiare, anche se un pochino nobilitato dalla lontananza temporale”.
Ma è stato importante scoprire che la terra di mezzo è a
Ravenna.
In un articolo da Il
Fatto Quotidiano del 27.10.2015 abbiamo potuto leggere proprio questo. Lo
ripropongo per esteso, a partire dal titolo.
Tolkien, ritrovata la mappa della Terra di Mezzo: “Minas Tirith ispirata a
Ravenna”
La cartina
appuntata in matita e china verde dallo stesso autore era tra le pagine di una
copia de Il Signore degli Anelli appartenuta alla famosa illustratrice inglese
Pauline Baynes.
«La via
prosegue senza fine, lungi dall’uscio dal quale parte», recita il Canto della
Strada di J.R.R. Tolkien, ma a
volte la strada ritorna a creare un cerchio perfetto. Tra gli scaffali in legno
della Blackwell’s Rare Books di Oxford,
la città dove l’autore anglosassone viveva e insegnava, è stata ritrovata,
accuratamente ripiegata, una vecchia mappa della Terra di Mezzo, l’immaginario continente in cui sono ambientati Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit. Appuntata in matita e
china verde dallo stesso Tolkien, la preziosa cartina giaceva tra le pagine di
una copia de Il Signore degli Anelli appartenuta alla famosa illustratrice
inglese Pauline Baynes, autrice
delle prime illustrazioni de Le
Cronache di Narnia di C.S. Lewis, e alla quale, nel 1970, fu
commissionato il disegno della Terra di Mezzo dalla casa editrice Allen &
Unwin. La scoperta, definita dalla libreria come «forse la migliore cartina di
Tolkien emersa negli ultimi 20 anni almeno», svela che Ravenna potrebbe essere stata di grande ispirazione per la città
immaginaria di Minas Tirith,
capitale del Regno di Gondor, dotata di un importante porto (Harlond), che
svolge un ruolo chiave in particolare nel terzo volume de Il Signore degli
Anelli. Ora il prezioso cimelio, il cui valore è stato stimato di sessantamila
sterline, andrà all’asta.
Contro
Hitler, contro ogni totalitarismo
Questa lettera contiene una testimonianza di due
importanti aspetti della vita di Tolkien: l'essere padre e l'essere profondamente
appassionato di letteratura; a partire da questa passione si scaglia in
un'invettiva contro Hitler,
presentato come un vandalo distruttore della germanità stessa!
“Tuttavia tu
sei la mia carne ed il mio sangue e tieni alto il nostro nome. [...] Il
legame tra padre e figlio non è costituito solo dalla consanguineità: ci deve
essere un po' di aeternitas.
Esiste un posto chiamato "paradiso" dove le opere buone iniziate
qui possono venire portate a termine. [...] Ho trascorso gran parte della mia
vita, fin quando avevo la tua età [21 anni, NdR], a studiare germanistica.
C'è molta più forza e veridicità nell'ideale "germanico" di quanto
gente ignorante non immagini. Io ne ero molto attratto da studente, come
reazione contro i "classici". [...] [Hitler] sta rovinando,
pervertendo, distruggendo e rendendo per sempre maledetto quel nobile spirito
nordico, supremo contributo all'Europa,
che io ho sempre amato, e cercato di presentare in una giusta luce”.
|
Considerazioni finali
Il lavoro in classe è durato per un mese. Non è facile parlare
a ragazzi di undici anni dei temi su accennati, ma li si può introdurre, con
una lettura ‘diversa’ de Il signore degli
anelli, a riflettere su questioni fondamentali per l’uomo, quali la
presenza del male e la necessità di opporvisi, l’amicizia vera, la dedizione
per il bene, la consapevolezza che da soli non si riesce e che la storia è
guidata verso un fine buono da un Altro che si serve di gente semplice, umile e
disposta al sacrificio.
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