Poesie,
testi e film per l’orientamento
Testi di Eliot, Gibran,
Neruda, Saba. Il film ‘Vado a scuola’ di Pascal Plisson
Attività
realizzata nella classe 3 A (ottobre 2017)
Parte
prima: poesie sul lavoro
Thomas
Sterns Eliot, Il LAVORO
In luoghi abbandonati
Noi costruiremo con mattoni nuovi
Vi sono mani e macchine
E argilla per nuovi mattoni
E calce per nuova calcina
Dove i mattoni son caduti
Costruiremo con pietra nuova
Dove le travi son marcite
Costruiremo con nuovo legname
Dove parole non son pronunciate
Costruiremo con nuovo linguaggio
C’è un lavoro comune
Una Chiesa per tutti
E un impiego per ciascuno
Ognuno al suo lavoro.
Noi costruiremo con mattoni nuovi
Vi sono mani e macchine
E argilla per nuovi mattoni
E calce per nuova calcina
Dove i mattoni son caduti
Costruiremo con pietra nuova
Dove le travi son marcite
Costruiremo con nuovo legname
Dove parole non son pronunciate
Costruiremo con nuovo linguaggio
C’è un lavoro comune
Una Chiesa per tutti
E un impiego per ciascuno
Ognuno al suo lavoro.
T. S. Eliot, I
DISOCCUPATI
Nessuno ci ha offerto un
lavoro
Con le mani in tasca
e il viso basso
stiamo in piedi all'aperto
e tremiamo nelle stanze senza fuoco.
Solo il vento si muove
sui campi vuoti, incolti,
dove l'aratro è inerte, messo di traverso
al solco. In queste terra
ci sarà una sigaretta per due uomini,
per due donne soltanto mezza pinta
di birra amara.
In questa terra
nessuno ci ha offerto un lavoro.
La nostra vita non è bene accetta,
la nostra morte
non è citata dal "Times".
Con le mani in tasca
e il viso basso
stiamo in piedi all'aperto
e tremiamo nelle stanze senza fuoco.
Solo il vento si muove
sui campi vuoti, incolti,
dove l'aratro è inerte, messo di traverso
al solco. In queste terra
ci sarà una sigaretta per due uomini,
per due donne soltanto mezza pinta
di birra amara.
In questa terra
nessuno ci ha offerto un lavoro.
La nostra vita non è bene accetta,
la nostra morte
non è citata dal "Times".
Kalhil Gibran, IL LAVORO
Allora un contadino disse:
Parlaci del Lavoro.
E lui rispose dicendo:
Voi lavorate per assecondare il ritmo della terra e l’anima della terra.
Poiché oziare è estraniarsi dalle stagioni e uscire dal corso della vita,
che avanza in solenne e fiera sottomissione verso l’infinito.
Quando lavorate siete un flauto
attraverso il quale il sussurro del tempo si trasforma in musica.
Chi di voi vorrebbe essere una canna silenziosa e muta
quando tutte le altre cantano all’unisono?
Sempre vi è stato detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura.
Ma io vi dico che quando lavorate esaudite una parte del sogno più remoto della terra,
che vi fu dato in sorte quando il sogno stesso ebbe origine.
Vivendo delle vostre fatiche,
voi amate in verità la vita.
E amare la vita attraverso la fatica è comprenderne il segreto più profondo.
Ma se nella vostra pena voi dite
che nascere è dolore e il peso della carne una maledizione scritta sulla fronte,
allora vi rispondo:
tranne il sudore della fronte niente laverà ciò che vi è stato scritto.
Vi è stato detto che la vita è tenebre
e nella vostra stanchezza voi fate eco a ciò che è stato detto dagli esausti.
E io vi dico che in verità la vita è tenebre fuorché quando è slancio,
E ogni slancio è cieco fuorché quando è sapere,
E ogni sapere è vano fuorché quando è lavoro,
E ogni lavoro è vuoto fuorché quando è amore;
E quando lavorate con amore voi stabilite un vincolo con voi stessi,
con gli altri e con Dio.
E cos’è lavorare con amore?
È tessere un abito con i fili del cuore,
come se dovesse indossarlo il vostro amato.
È costruire una casa con dedizione come se dovesse abitarla il vostro amato.
È spargere teneramente i semi e mietere il raccolto con gioia,
come se dovesse goderne il frutto il vostro amato.
È diffondere in tutto ciò che fate il soffio del vostro spirito,
E sapere che tutti i venerati morti stanno vigili intorno a voi.
Spesso vi ho udito dire, come se parlaste nel sonno:
“Chi lavora il marmo e scopre la propria anima configurata nella pietra,
è più nobile di chi ara la terra.
E chi afferra l’arcobaleno e lo stende sulla tela in immagine umana,
è più di chi fabbrica sandali per i nostri piedi”.
Ma io vi dico,
non nel sonno ma nel vigile e pieno mezzogiorno,
il vento parla dolcemente alla quercia gigante come al più piccolo filo d’erba;
E che è grande soltanto chi trasforma la voce del vento in un canto reso più dolce dal proprio amore.
Il lavoro è amore rivelato.
E se non riuscite a lavorare con amore,
ma solo con disgusto, è meglio per voi lasciarlo e,
seduti alla porta del tempio,
accettare l’elemosina di chi lavora con gioia.
Poiché se cuocete il pane con indifferenza,
voi cuocete un pane amaro,
che non potrà sfamare l’uomo del tutto.
E se spremete l’uva controvoglia,
la vostra riluttanza distillerà veleno nel vino.
E anche se cantate come angeli,
ma non amate il canto,
renderete l’uomo sordo alle voci del giorno e della notte.
Khalil Gibran (جبران خليل جبران
o Jibrān Khalīl Jibrān) (Bsharri, 6 gennaio 1883 – New York,
10 aprile 1931) è stato un poeta, pittore e filosofo libanese.
Libanese di religione cristiano-maronita emigrò
negli Stati Uniti; le sue opere si diffusero ben oltre il suo paese d’origine:
fu tra i fondatori, insieme a Mikha’il Nu’ayma, dell’Associazione degli
scrittori, punto d’incontro dei letterati arabi emigrati in America. La sua
poesia venne tradotta in oltre 20 lingue, e divenne un mito per i giovani che
considerarono le sue opere come breviari mistici. Gibran ha cercato di unire
nelle sue opere la civiltà occidentale e quella orientale. Fra le opere più
note: “Il Profeta” e “Massime spirituali”.
Pablo
Neruda, ODE AL MURATORE TRANQUILLO
Il muratore
dispose
i mattoni.
Mescolò la calce, lavorò
con sabbia.
Senza fretta, senza parole,
fece i suoi movimenti
alzando la scala,
livellando
il cemento.
Omeri rotondi, sopracciglia
sopra degli occhi
seri.
Lento andava e veniva
nel suo lavoro
e dalla sua mano
la materia
cresceva.
La calce coprì i muri,
una colonna
alzò il suo lignaggio,
i soffitti
impedirono la furia
del sole esasperato.
Da una angolo all’altro andava
con
tranquille mani
il muratore
spostando
materiali.
E alla fine
della
settimana,
le colonne,
l’arco,
figli di
calce, sabbia,
sapienza e mani,
inaugurarono
la semplice fermezza
e la freschezza.
Ahi, che lezione
mi dette col suo lavoro
il muratore tranquillo!
(Amedeo Trevellin intento alla pavimentazione di fronte a palazzo Moroni, Padova-foto da rivista anni ’80)
Pablo Neruda, ODE AL RICERCATORE
C'è un uomo
nascosto,
guarda
con un solo occhio
di ciclope efficiente,
sono cose minuscole,
sangue,
gocce d'acqua,
e scrive o conta,
la nella goccia
circola l'universo
la Via Lattea trema
come un piccolo fiume,
l'uomo
guarda
e annota,
nel sangue
punti rossi,
vaganti
pianeti
o invasioni
di favolosi reggimenti bianchi,
l'uomo
col suo occhio
annota,
descrive...
scopre
un centro
una minaccia,
un punto
spezzato,
un alone nero,
lo identifica, trova
il suo prontuario ,
ormai non può sfuggire,
e presto
nel tuo corpo infurierà la caccia,
la guerra
iniziata nell'occhio
del ricercatore:
sarà di notte, accanto
alla madre la morte,
accanto al bimbo le ali
dell'invisibile terrore,
la battaglia nella piaga,
tutto
è cominciato
con l'uomo
e col suo occhio
che cercava
nel cielo
nel sangue
una stella maligna.
E là col camice bianco
continua
a cercare
il segno,
il numero,
il colore
della morte
o della vita,
decifrando
il tessuto
l'insegna della febbre
o il primo sintomo
dell'umano sviluppo,
E poi
lo scopritore
sconosciuto,
l'uomo
che ha viaggiato nelle tue vene
o ha denunciato
un viaggiatore di frodo
a sud o a nord
delle tue viscere,
il temibile
uomo con occhio
prende il cappello dall'attaccapanni,
se lo mette,
accende una sigaretta,
ed entra nella via,
si muove, s'allontana,
si sparge nelle strade,
si mescola al folto della gente,
e infine scompare
come il drago,
il minuscolo e circolante mostro
ch'è rimasto là dimenticato
in una goccia nel laboratorio.
nascosto,
guarda
con un solo occhio
di ciclope efficiente,
sono cose minuscole,
sangue,
gocce d'acqua,
e scrive o conta,
la nella goccia
circola l'universo
la Via Lattea trema
come un piccolo fiume,
l'uomo
guarda
e annota,
nel sangue
punti rossi,
vaganti
pianeti
o invasioni
di favolosi reggimenti bianchi,
l'uomo
col suo occhio
annota,
descrive...
scopre
un centro
una minaccia,
un punto
spezzato,
un alone nero,
lo identifica, trova
il suo prontuario ,
ormai non può sfuggire,
e presto
nel tuo corpo infurierà la caccia,
la guerra
iniziata nell'occhio
del ricercatore:
sarà di notte, accanto
alla madre la morte,
accanto al bimbo le ali
dell'invisibile terrore,
la battaglia nella piaga,
tutto
è cominciato
con l'uomo
e col suo occhio
che cercava
nel cielo
nel sangue
una stella maligna.
E là col camice bianco
continua
a cercare
il segno,
il numero,
il colore
della morte
o della vita,
decifrando
il tessuto
l'insegna della febbre
o il primo sintomo
dell'umano sviluppo,
E poi
lo scopritore
sconosciuto,
l'uomo
che ha viaggiato nelle tue vene
o ha denunciato
un viaggiatore di frodo
a sud o a nord
delle tue viscere,
il temibile
uomo con occhio
prende il cappello dall'attaccapanni,
se lo mette,
accende una sigaretta,
ed entra nella via,
si muove, s'allontana,
si sparge nelle strade,
si mescola al folto della gente,
e infine scompare
come il drago,
il minuscolo e circolante mostro
ch'è rimasto là dimenticato
in una goccia nel laboratorio.
da Poesie
(Traduzione D. Puccini)
In
"Ode al ricercatore" Pablo Neruda esalta il lavoro
dello scienziato che esplorando i vari segreti della natura offre un grande
contributo al progresso dell'umanità.
Pablo Neruda nelle sue poesie canta le cose più semplici e umili della realtà; osserva e descrive gli aspetti modesti e quotidiani della vita. Lo scienziato paziente e silenzioso cerca di combattere ciò che tormenta l'umanità e cerca di capire cosa provoca tanto male negli uomini. L'autore ci presenta il ricercatore nei vari momenti del suo lavoro per farci capire l'importanza e la difficoltà del suo operato; egli è chiuso nel suo laboratorio e come un ciclope osserva al microscopio con un solo occhio trovando nella goccia di sangue le stesse caratteristiche di armonia possedute dall'universo. Osserva e prende appunti: le molecole somigliano a costellazioni e pianeti, mentre i movimenti dei corpuscoli sembrano percorsi di stelle e minacce di invasione. Lo scienziato vede i globuli rossi e i globuli bianchi che vengono paragonati dall'autore a degli eserciti minacciosi per il fatto che il loro proliferare genera svariate malattie; l'occhio del ricercatore è molto attento e se trova qualcosa di strano porta subito l'uomo alla lotta contro l'elemento che potrebbe portare la malattia.
In questi primi versi il poeta sottolinea l'attenzione e la velocità dello scienziato intento a trovare piccoli segni negativi nel minor tempo negativo per porvi subito rimedio; si nota inoltre l'amore che mette il ricercatore, con la sua estrema pazienza, nel suo lavoro per aiutare in un futuro i suoi simili, come un soldato che vigila con attenzione per respingere l'attacco del nemico.
Con le parole "invasioni e reggimenti" Neruda evidenzia il fatto che il lavoro dello scienziato è una lotta contro le malattie e la morte. Dopo che lo scienziato ha trovato le cause della malattia, comincia la cura del paziente che se ha un buon esito porta il paziente alla salute e tutto ciò è merito del ricercatore che con la sua bravura e pazienza ha allontanato la malattia e la morte.
Pablo Neruda nelle sue poesie canta le cose più semplici e umili della realtà; osserva e descrive gli aspetti modesti e quotidiani della vita. Lo scienziato paziente e silenzioso cerca di combattere ciò che tormenta l'umanità e cerca di capire cosa provoca tanto male negli uomini. L'autore ci presenta il ricercatore nei vari momenti del suo lavoro per farci capire l'importanza e la difficoltà del suo operato; egli è chiuso nel suo laboratorio e come un ciclope osserva al microscopio con un solo occhio trovando nella goccia di sangue le stesse caratteristiche di armonia possedute dall'universo. Osserva e prende appunti: le molecole somigliano a costellazioni e pianeti, mentre i movimenti dei corpuscoli sembrano percorsi di stelle e minacce di invasione. Lo scienziato vede i globuli rossi e i globuli bianchi che vengono paragonati dall'autore a degli eserciti minacciosi per il fatto che il loro proliferare genera svariate malattie; l'occhio del ricercatore è molto attento e se trova qualcosa di strano porta subito l'uomo alla lotta contro l'elemento che potrebbe portare la malattia.
In questi primi versi il poeta sottolinea l'attenzione e la velocità dello scienziato intento a trovare piccoli segni negativi nel minor tempo negativo per porvi subito rimedio; si nota inoltre l'amore che mette il ricercatore, con la sua estrema pazienza, nel suo lavoro per aiutare in un futuro i suoi simili, come un soldato che vigila con attenzione per respingere l'attacco del nemico.
Con le parole "invasioni e reggimenti" Neruda evidenzia il fatto che il lavoro dello scienziato è una lotta contro le malattie e la morte. Dopo che lo scienziato ha trovato le cause della malattia, comincia la cura del paziente che se ha un buon esito porta il paziente alla salute e tutto ciò è merito del ricercatore che con la sua bravura e pazienza ha allontanato la malattia e la morte.
(da: http://doc.studenti.it/download_2/d32bed6b_1.html)
Umberto
Saba, DISOCCUPATO
Dove sen va cosí di buon mattino
quell’uomo al quale m’assomiglio un poco?
Ha gli occhi volti all’interno, la faccia
sí dura e stanca.
Forse cantò coi soldati di un’altra
guerra, che fu la guerra nostra. Zitto
egli sen va, poggiato al suo bastone
e al suo destino,
tra gente che si pigia
in lunghe file alle botteghe vuote.
E suona la cornetta all’aria grigia
dello spazzino.
quell’uomo al quale m’assomiglio un poco?
Ha gli occhi volti all’interno, la faccia
sí dura e stanca.
Forse cantò coi soldati di un’altra
guerra, che fu la guerra nostra. Zitto
egli sen va, poggiato al suo bastone
e al suo destino,
tra gente che si pigia
in lunghe file alle botteghe vuote.
E suona la cornetta all’aria grigia
dello spazzino.
Cos’è il lavoro
Dalla lettera enciclica Laborem exercens del sommo pontefice
Giovanni Paolo II (1981)
L'uomo, mediante il lavoro, deve procurarsi il
pane quotidiano e contribuire al continuo progresso delle scienze e della
tecnica, e soprattutto all'incessante elevazione culturale e morale della
società, in cui vive in comunità con i propri fratelli. E con la parola
«lavoro» viene indicata ogni opera compiuta dall'uomo, indipendentemente dalle
sue caratteristiche e dalle circostanze, cioè ogni attività umana che si può e
si deve riconoscere come lavoro in mezzo a tutta la ricchezza delle azioni,
delle quali l'uomo è capace ed alle quali è predisposto dalla stessa sua
natura, in forza della sua umanità. Fatto a immagine e somiglianza di Dio
stesso nell'universo visibile, e in esso costituito perché dominasse la terra,
l'uomo è perciò sin dall'inizio chiamato al lavoro. Il lavoro è una delle
caratteristiche che distinguono l'uomo dal resto delle creature, la cui
attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo
l'uomo ne è capace e solo l'uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il
lavoro la sua esistenza sulla terra. Così il lavoro porta su di sé un
particolare segno dell'uomo e dell'umanità, il segno di una persona operante in
una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e
costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura.
Il lavoro nella costituzione italiana
Alla persona che
presta il lavoro la Repubblica italiana riconosce e garantisce diritti
inviolabili, anche e soprattutto nella dimensione lavorativa (art. 2 Cost.). Il
lavoro è considerato valore fondativo della Repubblica (art. 1 Cost.), nonché status attraverso il quale si realizza la partecipazione
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3, co. 2
Cost.). La carta costituzionale riconosce inoltre nel lavoro un «diritto», da
un lato, e un «dovere», dall’altro; la Repubblica si impegna, infatti, a
promuovere le condizioni di effettività del «diritto al lavoro», che riconosce
a tutti i cittadini (art. 4, co. 1, Cost.), ma al contempo, cristallizza il
lavoro come un «dovere», di scegliere e svolgere un’attività o una funzione,
concorrendo così al progresso materiale e spirituale della società secondo le
proprie possibilità (art. 4, 2° co., Cost.). La Costituzione contiene altresì
un gruppo di norme dei rapporti economici, collocate nel titolo III,
concernenti la disciplina di interessi ed esigenze dei lavoratori ritenuti di
particolare rilevanza. L’art. 35 attribuisce alla Repubblica il compito di
tutelare il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, di curare la
formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, di promuovere gli
accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i
diritti del lavoro. L’art. 36 stabilisce una norma di importanza fondamentale
nella disciplina lavoristica in genere, fissando i principi di sufficienza e
proporzionalità della retribuzione, e riconosce altresì al lavoratore il
diritto irrinunciabile al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite.
L’art. 37 accorda alle lavoratrici gli stessi diritti dei lavoratori dell’altro
sesso – sottolineando anche l’esigenza di far sì che possano attendere alle
funzioni famigliari, di mogli e di madri – e rinvia alla legge la fissazione dell’età minima per
il lavoro salariato, nonché il compito di tutelare «il lavoro dei minori con
speciali norme e garantire ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità
di retribuzione». L’art. 38 concerne gli istituti e i diritti all’assistenza e
alla previdenza dei cittadini inabili al lavoro e sprovvisti di mezzi e in
particolare dei lavoratori colpiti da eventi che fanno cessare la possibilità
di svolgere attività retribuita. Di importanza particolare in materia
lavoristica e ancor più sindacale, sono gli art. 39 e 40, che fissano i
principi della libertà
sindacale e del diritto allo sciopero. La disposizione sulla partecipazione dei lavoratori
alla gestione delle aziende (art. 46) è di fatto rimasta sulla carta, non
essendo state mai emanate le leggi che avrebbero dovuto stabilire «i modi» e «i
limiti» di tale partecipazione, fatta eccezione per alcuni diritti sindacali in
materia di informazione e consultazione (per es., per il trasferimento di
azienda e per il licenziamento collettivo), riconosciuti però ai sindacati e
non ai lavoratori (come prescrive la norma costituzionale).
(da; http://www.treccani.it/enciclopedia/lavoro-diritto-costituzionale/)
Parte
terza: il film ‘Vado a scuola’
“Vado a scuola”: un film da
vedere, soprattutto per le scuole
di Cristina
Lacava
Non pensate
alla solita storia caramellosa e strappalacrime, studiata a tavolino per
colpire al cuore gli occidentali ricchi (forse). “Vado a scuola” è un film
bello, dove i bambini sono i protagonisti assoluti, con le loro voci e le loro
storie, senza inutili commenti fuori campo. Commuove, certo, come è giusto che
sia, ma senza facili scorciatoie. Al festival di Locarno, dov’è stato
presentato l’ultima sera, ha avuto gran successo. Da noi arriva nei cinema il
26, chissà. Io spero che lo vedano in tanti, adulti e bambini, con e senza gli
insegnanti.
“Vado a
scuola” racconta come 4 ragazzi, tra gli 11 e i 13 anni, in 4 angoli sperduti
della terra affrontino ogni giorno ore di cammino, a rischio della loro stessa
vita, pur di arrivare a scuola. E come lo facciano sempre con il sorriso sulle
labbra, consapevoli di quanto l’istruzione sia la loro grande, irripetibile
possibilità. Le storie si intrecciano, i bambini non sono mai in posa, ma
ripresi “al naturale” nei loro dialoghi con i familiari. Nessuno di loro aveva
mai visto una troupe, naturalmente, e per essere ripresi hanno chiesto solo di
non essere disturbati e non perdere neanche un’ora di lezione.
Si parte con
Jackson, Kenya: è il bambino più a rischio perché ogni mattina fa 15
chilometri di corsa, in mezzo alla savana, trascinandosi dietro la sorellina.
Per arrivare a scuola deve superare una zona piena di animali selvaggi,
soprattutto i temibili elefanti. Il pericolo è noto; ogni anno 4-5 bambini
della sua scuola vengono uccisi lungo il percorso mattutino, e appena si entra
in classe il maestro fa l’appello per essere sicuro che tutti gli alunni siano
arrivati sani e salvi. Nella scuola non c’è l’acqua potabile, e tutti devono
portarsi dietro una tanichetta. Ma le difficoltà non scoraggiano Jackson che corre
per arrivare puntuale: nel giorno in cui lo segue il documentario, spetta a lui
l’alzabandiera del mattino. E ci tiene tantissimo a fare bella figura. Così
come ci tiene a presentarsi in ordine; nella prima scena del documentario, si
vede proprio Jackson che lava la sua divisa in una buca nel terreno.
Poi c’è
Carlito, in Patagonia, che ogni mattina si fa 25 km a cavallo con la
sorellina e supera le montagne (i paesaggi sono straordinari). Nella prima
parte è solo; poi si incontra con altri ragazzi, anche loro a cavallo. Quando
arrivano a scuola, ciascuno parcheggia il suo, come se fosse un motorino. Da
grande, dice Carlito, vorrà restare nella sua terra e fare il veterinario,
mentre la sorella sogna di diventare maestra.
La storia
forse più commuovente è quella di Samuel, 11 anni, che vive con i
fratelli più piccoli in un villaggio sul golfo del Bengala. Samuel è disabile e
per portarlo a scuola i fratellini devono spingerlo per un’ora e mezza su una
carrozzina sgangherata che rischia di perdere i pezzi (e infatti una ruota si
sgonfia). Ma il momento più bello è quando i due più piccoli lasciano Samuel
davanti alla scuola media, dove lo pettinano e lo accarezzano con un affetto
che fa stringere il cuore. E dopo un ultimo bacio lo lasciano ad altri ragazzini,
che lo accolgono con un entusiasmo che dovrebbe essere di lezione a tanti.
Proprio Samuel, il diverso, è il compagno più amato e la sua presenza in classe
arricchisce gli altri
Ma a me ha
colpito di più una ragazzina, Zahira, che vive in una comunità berbera
tra le montagne dell’Atlante, in Marocco. Zahira è in gamba; mentre le sue
sorelle a 13 anni sono già sposate e i fratelli si occupano del bestiame, lei è
l’unica che ha il grande privilegio di poter studiare. Glielo spiega la nonna,
analfabeta, e la ragazzina annuisce, orgogliosa e consapevole. Ogni lunedì
Zahira con due amiche si fa 4 ore a piedi, lungo sentieri impervi, per arrivare
nella città dove c’è il collegio che le ospita fino al venerdì. Lungo la strada
qualche volta riescono ad avere un passaggio, altre no: un anziano per esempio
si rifiuta di dare uno strappo alle bambine che vanno a scuola. Loro però non
si scoraggiano, anche quando una si fa male alla caviglia e non può proseguire.
Sono forti, entusiaste, allegre e se ne infischiano dei pregiudizi, grazie
anche alle famiglie che le appoggiano.
E questo
vale anche per gli altri: i quattro ragazzi non affronterebbero quei sacrifici,
quei pericoli, se i genitori, pur poverissimi e ignoranti, non li aiutassero.
Sono sorridenti e fiduciosi perché pensano – e a ragione – di avere in mano le
redini del proprio futuro.
Il regista,
il francese Pascal Plisson, esperto in documentati sull’Africa, ha avuto l’idea
mentre lavorava a un progetto sui Masai. Ha visto dei bambini che affrontavano
i pericoli della savana per andare a scuola, e da lì è partito. Grazie
all’Unesco e all’organizzazione internazionale Aide et Action ha avuto i
contatti con le scuole, che gli hanno segnalato gli studenti. Ora promette di
continuare a seguire i “suoi” magnifici quattro, e di aiutarli. Speriamo.
Parte quarta: attività assegnate
-
ascoltare
testi poetici per coglierne il significato, i temi, l’intenzione comunicativa
-
leggere
testi poetici
-
saper
parafrasare testi poetici
-
saper
commentare oralmente
-
scrivere una
parafrasi, un commento
-
confrontare
testi diversi
-
cercare
informazioni biografiche sugli autori
-
conoscere e
utilizzare termini nuovi
-
stendere una
relazione sul lavoro svolto
-
scrivere una
recensione su un film